Il 2022 è stato un anno caratterizzato da incertezze economiche, tra cui difficoltà di approvvigionamento ed elevati costi di produzione, che hanno limitato il potenziale di crescita di numerosi settori economici a livello globale. Tuttavia, il settore del luppolo italiano sembra essere un’eccezione positiva, come evidenziato nel recente report “Birra Artigianale filiere e mercati” di Unionbirrai-ObiArt (www.unionbirrai.it/it/report-2022/), che fotografa la presenza di oltre 1.300 birrifici attivi, con 9.600 addetti diretti.
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In particolare, appare interessante l’andamento del settore della birra agricola (D.M. n. 212/2010) che, negli ultimi sei anni, ha quasi quadruplicato il numero di produttori, con un incremento, dal 2019 al 2022, del 43%, arrivando a fine 2022 a una quota pari al 22% dei birrifici nazionali (fonte: Unionbirrai-ObiArt).
Il trend in crescita dei birrifici italiani in generale, e di quelli agricoli in particolare, che per loro natura riversano “nella bottiglia” più del 50% della materia prima coltivata in azienda, pone l’attenzione sulla disponibilità di materia prima brassicola (orzo e luppolo) coltivata in Italia. Secondo quanto riportato nel citato report – seppur attraverso un campione statistico piuttosto esiguo – emerge come i birrifici agricoli siano sempre più propensi alla coltivazione di luppolo per autoconsumo. Nel 2022 più del 50% delle aziende agricole del campione analizzato, congiuntamente alla produzione di orzo distico necessaria per ottemperare ai requisiti previsti dal D.M. n. 212/2010, hanno prodotto anche luppolo.
Un trend positivo
La luppolicoltura in Italia è considerata una coltura agricola alternativa, di nicchia, salita alla ribalta negli ultimi anni proprio grazie al movimento craft, che lega il valore aggiunto del proprio prodotto al territorio e alle materie prime, puntando ad offrire al consumatore una vasta gamma di gusti e stili unici. Ciò significa che le birre artigianali spesso prendono ispirazione dalle risorse naturali, dai sapori caratteristici e dagli elementi distintivi delle regioni in cui vengono prodotte. Un approccio capace di creare un collegamento più stretto con la comunità locale e che sta guadagnando sempre più popolarità tra gli amanti della birra, che cercano esperienze più autentiche e sostenibili.
Per avere un quadro statisticamente affidabile della coltivazione italiana, abbiamo quindi raccolto ed analizzato i dati messi a disposizione dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea), per le campagne 2015-2022.
L’analisi conferma come, nonostante la congiuntura economica negativa, effetto della triangolazione di più fattori (Covid-19, conflitto tra Ucraina e Russia, caro energia), la coltivazione di luppolo in Italia stia riscuotendo un interesse sempre maggiore. Nel 2022, in particolare, si osserva un aumento sia delle superfici (+23,7% rispetto al 2021), sia della numerosità delle aziende coinvolte (+8,9%), segno del maggior appeal della filiera brassicola in termini produttivi.
In generale, la tendenza registrata nell’arco temporale considerato è positiva per le due variabili esaminate: si osserva, infatti, un costante incremento delle superfici investite, passate da 4,1 ha del 2015 a 97,5 del 2022, così come del numero di aziende, con un incremento medio annuo del 55% (fig. 1). Di conseguenza è aumentata anche la dimensione media aziendale (5mila m² nel 2022).
Fig. 1 Aziende e superfici, il trend del luppolo in Italia
Si tratta, ovviamente, di una coltivazione ancora limitata per l’Italia e i cui quantitativi prodotti non sono certamente in grado di coprire il fabbisogno di luppolo delle nostre imprese. Tuttavia, il trend mostrato è confortante e testimonia lo sviluppo della fase agricola, in parte trainato dalla domanda di birra artigianale. Nello scenario attuale, infatti, il luppolo coltivato lungo lo stivale viene utilizzato quasi interamente per le esigenze del mercato delle birre artigianali e agricole.
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, i dati rilevano una decisa concentrazione degli areali coltivati nelle regioni settentrionali, dovuta a motivi di natura pedoclimatica ma anche in molti casi di produttività brassicola. Nel 2022 Emilia-Romagna, Veneto e Toscana rappresentano oltre la metà della superficie italiana coltivata a luppolo, rispettivamente con 21,9, 18,9 e 10,8 ha, seguite da Piemonte (8,5 ha), Lombardia (7,2 ha), Friuli-Venezia Giulia (4,8 ha) e, nell’Italia centrale, Lazio (6,1 ha). Anche in termini di numerosità aziendale è evidente una maggiore concentrazione nelle regioni del Nord Italia, con quattro regioni (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte) che incidono per una quota del 55%. Tuttavia, preme evidenziare anche la propensione delle aziende del Centro verso la brassicoltura, in particolare Toscana, Lazio, Umbria e Marche (fig. 2).
Fig. 2 Aziende agricole e superfici a luppolo in Italia nel 2022
Sostegno alla filiera, un’occasione mancata
Anche dal punto di vista normativo, negli ultimi anni si sta stimolando lo sviluppo di una filiera nazionale. A tal proposito, uno strumento a favore della crescita delle superfici è rappresentato dall’erogazione di un aiuto in regime de minimis alle aziende produttrici di luppolo. Si tratta, nello specifico, del contributo ettaro/coltura previsto dall’istituzione del “Fondo per la tutela e il rilancio delle filiere apistica, brassicola, della canapa e della frutta a guscio” (L. 178/2020), che prevedeva uno stanziamento di 1,5 milioni di euro suddiviso, per la campagna 2021, in 200 euro ad ettaro per le aziende che coltivano orzo distico, certificato in contratti di filiera di durata almeno triennale, e 300 euro ogni 0,2 ettari per le aziende che coltivano luppolo per uso diretto in birrificazione o certificato in contratti di filiera (DM 24 dicembre 2021, n. 221; GU Serie Generale n. 38 del 15-02-2022).
L’analisi dei dati Agea (fig. 3), relativi ai contributi concessi per il luppolo, mostra un numero di domande pari a 50, per una superficie ammessa di 45 ettari totali corrispondenti ad un contributo erogato di poco inferiore a 68 mila euro. Fatta eccezione per l’Emilia-Romagna, che ha registrato 11 domande di aiuto per un totale di 18 ettari sovvenzionati, si deve rilevare un forte scollamento tra i territori più vocati e il numero di domande/ettari finanziati. Nel caso del Veneto, ad esempio, si arriva ad appena la metà degli areali disponibili (9,1 ha ammessi), anche peggio nel caso della Toscana, dove la superficie ammessa è pari ad 1/3 di quella interessata. La scarsa efficacia della misura di sostegno risulta palese se si somma al contributo erogato per l’orzo distico. Nel complesso, infatti, le due colture hanno intercettato appena il 54% del budget stanziato per la filiera brassicola.
Fig. 3 Contributo ettaro/coltura, beneficiari e superfici (2021)
Certamente, l’inadeguato uso delle risorse destinate allo sviluppo della filiera luppolicola italiana solleva riflessioni importanti sulla definizione delle caratteristiche richieste per l’accesso agli aiuti e, di conseguenza, mette in mostra un atavico punto critico: la mancanza di un asset consolidato “domanda-offerta”. Senza una solida interconnessione tra le due facce del mercato, il contratto di filiera rischia così di perdere la propria efficacia e potenzialità come strumento per lo sviluppo di una filiera italiana del luppolo.
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Prospettive in chiaroscuro
Considerando la domanda latente di materia prima nazionale, stimabile a partire dal numero di birrifici presenti e con riferimento ai volumi di produzione (più di 18 milioni di ettolitri nel 2022, secondo Assobirra), le prospettive future per la filiera sembrano rosee, anche considerando che per un ettolitro di birra si utilizzano in media 300 grammi di luppolo e che la richiesta nazionale è stimata in più di 4.800 tonnellate (Report Assobirra 2022).
Tuttavia, è importante tenere in considerazione i dati pubblicati dall’Usda (il dipartimento dell’agricoltura Usa) che, per il continente americano, principale player mondiale, stimano una contrazione delle superfici coltivate nel 2023, soprattutto per la varietà da aroma. Questo aspetto sottolinea, anche per il nostro Paese, l’importanza di una programmazione di lungo periodo per pianificare il fabbisogno di luppolo nelle prossime annualità.
Con il settore della birra artigianale in stallo ormai da qualche anno e con i birrifici alla ricerca di margini di efficienza, le prospettive di una crescita importante del luppolo potrebbero infatti non concretizzarsi.
Negli ultimi anni, il mercato è stato scosso da grossi mutamenti, con la conquista di segmenti importanti da parte di nuovi prodotti come cocktail pronti da bere, hard seltzer e altre bevande alternative, che stanno guadagnando spazio a discapito della birra artigianale tradizionale e non solo. Inoltre, in Italia, la mancanza di dati di riferimento, riguardanti rese per ettaro, costi di produzione effettivi, prezzi di vendita all’ingrosso e richiesta di quantitativi e varietà, rende il settore particolarmente instabile e con grossi margini di aleatorietà. In tal senso, risulta fondamentale migliorare la disponibilità e l’analisi dei dati strutturali da fonti ufficiali per avere una migliore comprensione della situazione, ridurre le asimmetrie informative e supportare il settore in modo più efficace.
di Katya Carbone (Crea - Olivicoltura, frutticoltura e Agrumicoltura)
e Francesco Licciardo (Crea - Politiche e Bioeconomia)