Prosegue la folle corsa degli ungulati a discapito delle colture lucane. I cinghiali non vanno per il sottile: mangiano, si strofinano e distruggono tutto quello che di buono gli agricoltori provano a coltivare sui loro terreni. Si muovono con la logica del branco, si riproducono in continuazione come pochi altri esseri viventi al mondo: «Assistiamo a parti pluriannuali, la moltiplicazione è spaventosa per l’abbondanza numerica – afferma sconsolato Girolamo Costanzo della Cia Basilicata –. Siamo inermi davanti alla ripopolazione di questa specie di fauna selvatica».
La Cia, al pari di altre associazioni di categoria, lancia il suo grido d’allarme ma è poca roba rispetto all’immanenza della problematica. «Stiamo forzando la mano con la raccolta delle firme – prosegue Costanzo –. Vogliamo arrivare in Regione con 20.000 autografi per chiedere alla Giunta reginale da poco insediata di porre la questione cinghiali in cima all’agenda dei lavori». Anche Coldiretti si sta muovendo su questo fronte e sta organizzando una manifestazione davanti al Palazzo della Regione per chiedere l’abbattimento dei cinghiali anche nei parchi protetti, permesso dalla modifica della legge dello Stato n. 157 del 1992.
Comuni indifferenti
I soldi ci sono ma i Comuni non li utilizzano. È il paradosso del contrasto alla fauna selvatica in Basilicata, così come altrove. Da un lato la rabbia degli agricoltori che chiedono misure più incisive nell’affrontare il fenomeno, dall’altro le poche domande per ottenere contributi per l’acquisto e l’installazione di dispositivi di cattura da parte delle Amministrazioni comunali lucane. Nei mesi scorsi, infatti, la Regione ha stanziato, con un avviso pubblico, 200mila euro per i Comuni che vogliono dotarsi di gabbie, recinti, trappole e chiusini che consentano la cattura degli ungulati. L’obiettivo è contenere il numero dei cinghiali nelle aree urbane e periurbane e di conseguenza i relativi rischi per i cittadini, per gli automobilisti e gli agricoltori con l’intento anche di limitare la diffusione della peste suina africana.
Sui 94 comuni lucani che hanno registrato incidenti stradali con cinghiali, però, solo 15 hanno fatto richiesta di quei fondi, spendendo quasi 45mila euro dei 200mila a disposizione. Una somma esigua rispetto all’importo stanziato, che ha spinto la Giunta regionale a presentare un nuovo avviso per l’assegnazione dei fondi residui, pari a poco più di 155mia euro. La decisione è contenuta in una delibera di Giunta che è stata già approvata e punta a rafforzare le sinergie tra le istituzioni interessate, mediante l’adozione di misure dirette, da attuare da parte delle amministrazioni comunali in collaborazione con la Regione, finalizzate a interventi di controllo mediante sistemi di cattura per prevenire o limitare il rischio di penetrazione dei cinghiali nel tessuto urbano e periurbano.
Insomma, i Comuni potranno fare richiesta di quei fondi (fino a un massimo di tremila euro per ciascuna amministrazione) per acquistare dispositivi di cattura e di foraggiamento attrattivo degli ungulati da sistemare nelle diverse aree del territorio. Dati i risultati del precedente avviso resta da capire se lo faranno. Di certo, l’iniziativa è solo un tassello di un mosaico più ampio legato all’emergenza cinghiali. Una questione finita anche al centro delle richieste del movimento spontaneo degli agricoltori lucani che lamentano una condizione insostenibile per i danni a terreni e colture a causa dei cinghiali. Di qui, l’avviso per i Comuni voluto dal Dipartimento agricoltura della Regione a cui si dovrebbero aggiungere ulteriori stanziamenti per i risarcimenti, dei quali però attualmente non ci sono evidenze.
I danni nell’area Vulture-Melfese
Giuseppe Mecca è un giovane imprenditore, agronomo di professione, a lui abbiamo chiesto di raccontarci la sua storia aziendale e la difficile convivenza con gli ungulati. «Ci sono colture a zero, tipo quelle dei ceci che non coltivo più da quando le scorribande dei cinghiali sono di casa nella Valle di Vitalba, un’estesa area a cavallo tra Atella e Filiano nel nord della Basilicata, dove sorge la mia azienda agricola a conduzione familiare – afferma –. In termini di perdite economiche registrate ci aggiriamo su 30-40% di fatturato in meno, ora stiamo terminando la trebbiatura di tutti i trifogli e di avena seminati nella parte che si estende a ridosso dei corsi d’acqua, che sono la vera panacea per gli ungulati e della loro prossima genia ossia i maialini neri con cui di sovente si accoppiano per riprodursi in una sottospecie che vanta di 12-13 nuovi cuccioli ad ogni nuovo parto».
La misura regionale pro Comuni del 4 luglio 2024 con una dotazione finanziaria di 3.000 euro per ogni Amministrazione richiedente allontana gli agognati risarcimenti ai privati. Cosa risponde l’agricoltore danneggiato?
«Alla Regione Basilicata chiedo, come agricoltore danneggiato, un piano di abbattimento speciale, per la fauna selvatica, soprattutto per i cinghiali che hanno una popolazione demografica fuori controllo e che non hanno più un predatore naturale – ribadisce Mecca –. In questo piano di abbattimento si deve riconoscere quanto meno un ampliamento del periodo di caccia: attualmente è aperto da fine settembre a inizio gennaio, ma tre mesi e mezzo non sono sufficienti! I soli cacciatori e gli agricoltori con possesso di porto d'armi non bastano e penso vadano incentivati in qualche modo, anche economico. Gli indennizzi per gli agricoltori per il risarcimento dei danni da ungulati sono limitati e insufficienti e inoltre vi è la beffa che l’indennizzo viene erogato, se riconosciuto, solamente dopo 2-3 anni, a me è successo in passato».
«La misura che aiuta i Comuni all'acquisto delle gabbie per i cinghiali potrebbe sì essere utile, ma penso vada ripensata: difatti è stato riproposto per la terza volta. Come consigliere comunale di Filiano (Pz), posso anche affermare che il Comune, in seguito alla cattura di un ungulato, avrebbe difficoltà a gestire l’animale o la sua carcassa, o a quel punto entrerebbe in gioco l’Asl, ma non viene specificato chi e in che modo si farebbe carico dello smaltimento e del trasporto della carcassa».
Infine, va promossa la filiera della carne di questo animale, che se ben conservata ha sapori particolari. «Andrebbero studiate anche forme di marketing e promozione della stessa nei ristoranti e agriturismi della Lucania – conclude Mecca – promuovendo così i consumi e la richiesta di questo prodotto».