Il recente report “Global Food Security Index 2012: accessibilità, disponibilità e qualità alimentare” dell’Economist intelligence unit, ha evidenziato che il problema della disponibilità alimentare non è più confinato ai soli paesi del terzo mondo, dove la Fao ha stimato che 44 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà, ma anche di paesi più avanzati.
L’Usda (Dipartimento agricoltura Usa) ha infatti stimato che quasi il 15% delle famiglie americane ha problemi di sicurezza alimentare, cioè di accesso al cibo. La stessa Fao ha valutato l’esigenza di aumentare del 50-70% la produzione agricola per soddisfare la domanda alimentare del 2050.
Finora in Italia avevamo inteso il termine sicurezza nel solo significato sanitario (in inglese: safety) e mai per l’accessibilità (inglese: security). In base all’indice dell’Economist intelligence unit, su 105 paesi l’Italia è ben 7a per la qualità dei prodotti, ma scende al 19° posto, dietro ai principali paesi occidentali fra cui la Grecia, per quanto riguarda disponibilità e accessibilità dei prodotti alimentari a causa della non autosufficienza e della limitata ricerca e innovazione.
SOTTO LA SOGLIA DEL 25%
Le scorte delle materie prime agricole sono infatti inferiori al livello critico del 25% sul consumo in tutto il mondo per la soia. In Europa, in particolare, sono appena al 6% per il mais, 9% per il grano e 2% per la soia, cioè ben al di sotto del 25% considerato soglia critica sotto la quale i mercati sono esposti a forte volatilità e di conseguenza speculazioni.
In Europa, complessivamente, è prevista una produzione (nel 2012 rispetto al 2011) di cereali in aumento del 2,3% come superfice coltivata, ma con una produzione in calo del 2,2% (e una punta di -11% per il mais).
Esistono poi differenze forti fra i vari paesi europei: aumento del 9% in Francia e dell’8% Italia, ma forti cali in Spagna -19% e nei paesi dell’Est: -19% in Ungheria, -36% in Romania
Gli stock sono complessivamente appena l’11% rispetto al consumo, soglia ritenuta critica e che espone alle diverse oscillazioni dei mercati internazionali. L’Ue è poi un importatore netto di proteine vegetali (per il 73%) da Usa e Sud America dove è sempre più difficile avere garanzia di tracciabilità e ogm-free.
A questo scenario si aggiunge la forte volatilità dei prezzi delle materie prime della mangimistica che mettono in grave sofferenza la zootecnia italiana.
La sostenibilità di un gran numero di aziende zootecniche è perciò seriamente minacciata dalla recente impennata dei prezzi dei cereali e soia nell’Ue, causate sia dalle condizioni climatiche avverse sia dalla speculazione finanziaria. Allo stesso tempo la produzione zoo-tecnica è strettamente connessa ai costi dei mangimi e l’Italia dipende fortemente dalle importazioni di soia e mais da paesi terzi e tali importazioni stanno conquistando quote di mercato dell’Ue ed esercitano ulteriori pressioni sui prezzi di mercato dei prodotti di origine animale.
I prezzi dei mangimi sono aumentati mediamente del 15% in Italia sia nel mese di luglio sia nel mese di agosto raggiungendo un +30% rispetto allo stesso periodo 2011. Questa situazione accomuna i vari paesi europei. Occorre poi tenere presente che la mangimistica incide per oltre il 50% dei costi di produzione dei suini e di oltre il 60% nel caso degli avicoli. Di conseguenza, anche in una situazione positiva di mercato per i prezzi di vendita finali, la marginalità è corrosa dai maggiori costi di allevamento dovuti alle materie prime.
Come spesso accade in situazioni difficili, la prima reazione è la ricerca del colpevole. In questo caso viene spesso additato il settore delle energie rinnovabili. Esiste un’effettiva relazione fra costo energetico (petrolio) e costo del mais (Zimmer Y, 2012 Workshop on the outlook for Eu agriculture”), ma un valore del petrolio di 100 $/barile determina un costo del mais di circa 150 $/t, livello ben inferiore a quelli raggiunti ora. Anzi, è opportuno individuare l’utilità dei biodigestori nell’utilizzare anche mais con problemi di aflatossine che aggraverebbe invece i problemi mangimistici.
LE VERE CAUSE
È forse più opportuno individuare le cause in tre ordini di fattori: cambiamento climatico; cambiamento della domanda mondiale; mercati finanziari. Infatti, la stessa Ue aveva negli ultimi anni avviato analisi su scenari di impatto del cambiamento climatico (Climate-Adapt, Avemac...), ritenuti forse troppo futuribili ma che stanno ora trovando riscontro nella realtà: riscaldamento graduale dei paesi nordici, minori precipitazione nel sud Europa con conseguenti problemi di siccità sono alcuni fattori emersi dalle analisi. Tale scenario trova ora riscontro nella stessa analisi dell’Arpa Emilia-Romagna che ha mostrato un trend di aumento della temperatura media estiva di 0,13 °C annui negli ultimi 25 anni pari a circa 1,3 °C ogni dieci anni.
A questo fattore si aggiunge il cambiamento della domanda nei paesi emergenti per cui si prospetta una carenza di produzione agricola necessaria per soddisfare la maggior richiesta di cibo.
LA SPECULAZIONE
Su questi due aspetti di tipo strutturale (cambiamento climatico e maggiore domanda mondiale) si innesta poi la speculazione finanziaria. I mercati finanziari internazionali (fondi di investimento, hedge funds, etc..), a seguito della crisi economica e della ricerca di investimenti rapidi e di basso rischio, hanno focalizzato l’attenzione sulle derrate agricole. L’aumento dei prezzi è poi accentuato in modo esponenziale dalla leva finanziaria data dai contratti futures e dalle opzioni e dalle contrattazioni allo scoperto per cui la merce è comprata e venduta da 5 a 10 volte sulla carta prima di esserlo fisicamente sui mercati. Gli effetti sono facilmente visibili: nell’estate 2012, oltre il 90% dei contratti delle materie prime è passata dai produttori internazionali agli investitori finanziari già sotto raccolto alzando immediatamente il prezzo sulla borsa di Chicago. Chi è tagliato fuori da questi meccanismi sono gli stessi utilizzatori della filiera (mangimisti, panifici e allevatori) senza però che il beneficio finanziario ricada sui produttori agricoli originari.
L’aspetto critico è che tali contratti finanziari non richiedono proporzionati esborsi monetari da parte degli investitori finanziari, ma con limitati depositi o marginature questi operatori possono tenere aperte le posizioni merci. Il mercato Otc (over the counter) è così in primo luogo un mercato tra istituzioni finanziarie, società industriali e gestori di fondi, che negoziano tra loro per mezzo del solo rapporto telematico, senza il coinvolgimento di nessuna borsa. Il mercato Otc è molto più grande del mercato di borsa.
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