«Combattiamo per dare voce all’agricoltore e informare il consumatore». È il grido di battaglia con cui i giovani di Confagricoltura dell’Anga hanno organizzato la 37a edizione della Fiera in campo di Caresanablot – Vercelli. Negli ultimi 5 anni, infatti, per effetto dei negoziati di libero scambio, le importazioni europee di risone da Cambogia e Myanmar sono aumentate da 5mila a 180mila tonnellate all’anno. Quantità elevate, che lasciano aperto il sospetto di triangolazioni commerciali con Paesi non a dazio zero (come l’India).
Una questione che interessa da vicino l’Italia, primo produttore di riso in Europa con 1milione e 400mila tonnellate annue su 250mila ettari. «È ora di un’etichettatura più trasparente – ha detto Alice Cerutti, giovane risicoltrice e presidente dell’Anga di Vercelli nel corso della tavola rotonda organizzata la mattina del 23 febbraio in fiera –. La totale assenza di tracciabilità non tutela il produttore e nemmeno il consumatore».
Nuova normativa
Questo è infatti l’anno di applicazione del Reg. 1.169/2011 sull’etichettatura degli alimenti, che impone novità come l’indicazione dei valori nutrizionali e dell’origine di alcune categorie di prodotti (latte, tutte le carni, olio, miele, ortofrutta). «Una normativa – ha puntualizzato Laura Bersani del laboratorio chimico della Camera di Commercio di Torino – che per ora non introduce l’obbligo di indicare l’origine del riso, come è stato previsto per altre categorie di prodotti in seguito ad emergenze fitosanitarie o sanitarie. Prevale quindi la normativa relativa al made in Italy, per la quale basta il territorio dell’ultima trasformazione». «Un’interpretazione che non ci piace – ha sottolineato l’Europarlamentare Lara Comi, membro della commissione Imco (mercato interno e protezione consumatori) – emersa in seguito agli accordi Wto. Il nostro sforzo è stato quello di introdurre, dove possibile, la tracciabilità per alcune filiere “sensibili”, ma nessuna istanza di questo genere ci è pervenuta riguardo al settore del riso da parte del Governo italiano». «Intanto il forte abbassamento del prezzo, soprattutto delle varietà indica – è l’allarme lanciato da Manrico Brustia della Cia – crea forti incertezze per le prossime semine».
Accordi di filiera
«Bisogna inserire il riso – ha detto Paolo Dellarole di Coldiretti – nella lista dei prodotti per cui è prevista la clausola
di salvaguardia e bisogna percorrere con forza la strada degli accordi di filiera».
«Non si tratta – ha affermato Paolo Carrà, presidente di Ente
Risi – di riproporre la ricetta di un incoerente protezionismo, ma di percorrere con forza la strada dell’internazionalizzazione». Il riso è una delle colture più colpite dalla riforma della Pac e soffrirà di un forte calo dei contributi. Deve affidare le proprie chance al mercato e in questo può essere favorito dal crescente successo che riscuote all’estero il “risottò”. «Ma occorre che sia vero made in Italy». «Siamo sicuri – ha ribattutoMario Francese di Airi, l’associazione che riunisce le riserie – che sia questa la strada da percorrere per valorizzare le esportazioni, anche quelle di indica? Il compito delle industrie è quello di interpretare le esigenze del consumatore. Alcune stanno percorrendo la strada della tracciabilità, altre stanno preferendo altre strade». «L’indica – ha risposto Carrà – è una risorsa da difendere anche in Italia, frutto dell’intuizione e degli sforzi dei nostri risicoltori». «La questione della tutela dell’origine – ha concluso Alice Cerutti – deve diventare lo spunto per intraprendere con forza la strada di una politica di filiera condivisa, che parta dal basso».
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