Crisi del latte sardo, gli accordi sul prezzo sono leciti

Le proteste dei pastori di febbraio
Mentre in Sardegna tornano a rullare i tamburi della protesta, l’antitrust assolve gli accordi sul latte ovino, ma suggerisce interventi strutturali. Intanto i pastori si interrogano sul reale ammontare del conguaglio del prezzo promesso per novembre

Sono passati cinque mesi dalle proteste degli allevatori sardi contro il crollo del prezzo del latte di capra e di pecora (leggi qui le cronache di quei giorni). A sedare tali proteste era volato in Sardegna direttamente il ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Matteo Salvini, un selfie con i pastori nei giorni successivi all'accordo del 9 marzo

I pastori sardi tornano sul piede di guerra

La trattativa da lui avviata tra pastori e industriali aveva trovato un accordo su un prezzo di 74 cent al litro come forma di acconto. Il conguaglio è fissato a novembre e molti pastori in lotta temono di non potere arrivare all’1 euro al litro promesso. Promesse avvenute in campagna elettorale per le regionali vinte da Christian Solinas, il candidato sostenuto dalla Lega. Per questo a inizio luglio il movimento dei pastori sardi a cominciato a riorganizzarsi. Anche perché sull’accordo raggiunto pendeva finora la Spada di Damocle dell’intervento dell’antitrust, con una soluzione della vertenza giuridica e non politica. Un effetto che pare ora scongiurato.

L’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si era infatti attivata sull’accordo del 9 marzo 2019 sul prezzo del latte ovino ceduto dagli allevatori sardi ai caseifici per la produzione del pecorino romano per valutare se tale accordo non si configurasse come un’intesa restrittiva della concorrenza.

Intese restrittive, ma giustificate

Il giudizio dell’Authority è stato pubblicato sul bollettino del 22 luglio 2019 e nelle sue conclusioni  si afferma che tali accordi si configurano astrattamente quali intese restrittive della concorrenza ai sensi e per gli effetti degli artt. 2 della Legge 287/1990 e/o 101 del TFUE, sia con riferimento alla fissazione congiunta tra imprese di trasformazione concorrenti di un prezzo di acquisto omogeneo del latte ovino, sia in relazione alla fissazione comune dell’obiettivo di un prezzo all’ingrosso del pecorino romano non inferiore ai 6 euro al kg.

Il parere prosegue, però affermando quindi che tali accordi non appaiono nello specifico caso concreto censurabili in quanto non sono frutto di autonome scelte imprenditoriali dei soggetti coinvolti.

Gli accordi infatti sarebbero stati stipulati oltre che per ragioni economiche ma anche per gravi ragioni sociali e di ordine pubblico e proprio per tali motivi con validità limitata al superamento di tali situazioni.

I fattori economici e sociali che giustificano astrattamente l’accordo

L’accordo raggiunto nella sede della Prefettura di Sassari, deve essere infatti valutato alla luce della crisi del settore lattiero caseario sardo e delle caratteristiche peculiari del mercato del pecorino romano DOP. Tenendo anche conto della natura eccezionale e transitoria degli impegni assunti dai trasformatori “su imposizione della pubblica autorità” per far fronte ad una situazione emergenziale determinata dalla violenza delle proteste dei pastori dei primi mesi del 2019, scaturite in “episodi criminali o comunque ai limiti della legalità”.

Proprio per tale motivo l’Autorità ritiene al fine di scongiurare che situazioni come quelle oggi in esame si possano ripresentare in futuro, di dover svolgere alcune considerazioni in merito alle possibili misure da adottare, in una logica strutturale di lungo periodo, al fine di far fronte alle fluttuazioni del mercato del pecorino romano DOP e di garantire una maggiore stabilità complessiva del sistema, a vantaggio dell’intero comparto e, in particolare, di consentire meccanismi di soluzione di eventuali future crisi che non implichino necessariamente interventi finalizzati a sospendere i meccanismi di mercato nella filiera interessata.

Interventi sulle aziende ovine e sulla produzione del pecorino

In questa prospettiva, secondo l’Antitrust, si potrebbero ipotizzare diversi interventi volti ad una ristrutturazione e razionalizzazione del comparto primario dell’allevamento ovino. Che appare oggi eccessivamente frammentato. Occorre invece raggiungere una maggiore efficienza, organizzazione e competitività delle imprese che operano sul mercato della produzione del latte ovino.

Altro suggerimento è quello di coinvolgere maggiormente le imprese di allevamento. La pianificazione dell’offerta del pecorino romano DOP si può infatti raggiungere attraverso un ripensamento delle previsioni del Piano di regolazione adottato dal Consorzio di tutela. A tal fine occorrerebbe monitorare costantemente il rispetto della rappresentatività della componente agricola nell’ambito delle decisioni assunte dal Consorzio. Con riferimento sia agli obiettivi produttivi individuati sia alle concrete modalità con cui i Piani di Regolazione vengono attuati ed applicati.

Infine, ad avviso dell’Autorità, sarebbe auspicabile, per un verso, una maggiore diversificazione della destinazione del latte ovino, investendo sulla produzione di formaggi alternativi rispetto al Pecorino Romano DOP, a denominazione di origine protetta o generici, per l’altro, procedere alla ricerca di nuovi mercati di sbocco, sia per la materia prima che per i prodotti caseari da essa derivati, al fine di contribuire ad una maggiore stabilità del sistema nel suo complesso.

Crisi del latte sardo, gli accordi sul prezzo sono leciti - Ultima modifica: 2019-07-23T19:38:49+02:00 da Lorenzo Tosi

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