I tannini nella dieta dei suini, una strategia nutrizionale a impatto positivo

Eleonora Seoni
Lo studio sulla somministrazione di estratti polifenolici vegetali su suini Large White condotto da Eleonora Seoni, presso il centro di ricerca sperimentale in agricoltura di Agroscope in Svizzera, ha dimostrato che i tannini possono avere diversi effetti positivi, attribuibili alle molteplici proprietà biologiche proprie dei composti

Oggi è sempre più importante nella nutrizione animale sostenere processi di crescita equilibrati, favorire il benessere animale e trovare soluzioni in grado ridurre l’impatto ambientale. I tannini, a tal riguardo, rappresentano una risorsa importante capace di agire sul metabolismo dell’animale in modo naturale.

Cosa sono i tannini?

I tannini sono un gruppo eterogeneo di sostanze organiche di natura fenolica con funzione di difesa dei tessuti. Le due classi più importanti sono: i tannini idrolizzabili e i tannini condensati. I primi sono estratti dalle galle, i secondi sono presenti nel legno di quercia e di castagno. I tannini condensati sono costituiti da diverse molecole di flavonoidi che, se sottoposte a idrolisi acida, liberano antocianine e altri composti insolubili, hanno un ridotto potere astringente e sono naturalmente presenti nelle bucce e nei vinaccioli uva oltre che nelle leguminose da pascolo quali, lupinella, ginestrino e trifoglio.

I tannini sono degli "antinutrienti"?

I tannini si combinano in modo aspecifico con i componenti alimentari formando dei complessi resistenti alla digestione enzimatica, principalmente la proteolisi, data l’elevata reattività verso le proteine. Per questa loro proprietà, in letteratura, sono definiti fattori “antinutrienti” nell’alimentazione dei monogastrici, per via dei loro effetti spesso negativi sulle performance di crescita. In particolare sono considerati responsabili di ridurre l’ingestione alimentare, la palatabilità, i tassi di crescita, nonché l’efficienza alimentare.

La ricerca di Eleonora Seoni dimostra che i tannini non interferiscono con i tassi di crescita dei suini

Lo studio, condotto dal 2015 al 2019 nell’ambito del dottorato di ricerca dalla 33enne sarda Eleonora Seoni presso la stazione sperimentale di Agroscope (Posieux, Svizzera) e in collaborazione con il gruppo di ricerca di suinicoltura del dipartimento di agraria dell’università degli studi di Sassari, ha dimostrato, tra le altre cose, come il fattore “antinutriente” dei tannini nell’alimentazione dei suini sia del tutto irrealistico.

«I tannini - afferma Seoni - utilizzati nella giusta quantità e modalità si comportano non solo da nutriente ma riescono anche a scatenare un metabolismo complessivamente favorevole».

Suini inizio prova

L'esperimento

Per l’esperimento sono stati utilizzati 48 suini non castrati di razza Swiss Large White con peso vivo iniziale di circa 25 kg. Gli animali sono stati suddivisi in 4 gruppi sperimentali da 12 animali ciascuno. La prova è stata frazionata in due fasi: accrescimento (da 25 a 60 kg BW) e finissaggio (da 60 a 110 kg BW). Per ogni fase sono stati formulati 4 mangimi che contenevano rispettivamente 0, 5, 10 e 15% di farina di fieno di lupinella che ha un contenuto di proteina grezza superiore al 22% ed un elevato contenuto di tannini ≥50g per kg. La lupinella è stata introdotta per sostituire in parte la soia.

«Contrariamente a quanto riportato in letteratura riguardo agli effetti “antinutrizionali” attribuiti alla somministrazione dei tannini nell’alimentazione dei monogastrici, abbiamo osservato - spiega Seoni - che l’inclusione dei diversi livelli di farina di fieno di lupinella nel mangime non ha fatto osservare differenze fra i gruppi sperimentali per il ritmo di accrescimento ponderale, ingestione di mangime e conversione dell’alimento in peso vivo».

Come l’utilizzo dei tannini nelle diete dei suini può avere degli effetti positivi?

«I tannini, pur avendo in comune la reattività verso le molecole proteiche, mostrano proprietà biologiche diverse dovute alla loro struttura complessa e variabile. E i loro effetti cambiano a seconda della specie vegetale, del tipo di tannino, della struttura chimica, della quantità somministrata e specie animale coinvolta. Nello specifico - incalza Seoni - una volta ingeriti dall’animale i tannini si legano alle molecole proteiche riducendo la degradazione proteica e inducendo sia l’aumento del flusso abomasale di proteine sia l’assorbimento di aminoacidi essenziali a livello intestinale. In questo modo una maggior quantità di aminoacidi può arrivare nell’intestino per essere utilizzata dai tessuti dell’animale ospite per le proprie esigenze produttive dopo la digestione e l’assorbimento».

La riduzione della degradabilità della proteina tende a diminuire la produzione di ammoniaca, causando minori condizioni di stress a carico del fegato del suino.

L’assunzione di tannini provoca il ribilanciamento dell’azoto tra urine e feci

L’indagine sperimentale nel centro Agroscope ha anche testato l’impatto ambientale delle deiezioni dei suini alimentati con l’inclusione del tannino condensato. Il risultato ha evidenziato che il gruppo di suini che ha ricevuto maggiore quantità di tannini condensati, a parità di azoto escreto, ha mostrato un’escrezione di azoto urinario inferiore - rispetto al gruppo di controllo – e contemporaneamente un’escrezione di azoto fecale maggiore.

«Da un punto di vista ambientale questo cambiamento nelle frazioni azotate è considerato molto positivo perché – specifica Seoni - mentre l’azoto contenuto nelle urine dà luogo a perdite di volatilizzazione di ammoniaca e ossidi di azoto durante la raccolta e lo stoccaggio delle deiezioni, l’azoto fecale è più stabile e contribuisce maggiormente all’accumulo di materia organica del suolo e quindi è considerato meno dannoso per l’ambiente».

I tannini idrolizzabili utili a controllare l’incidenza dell’odore di verro nella carne

Interessante si è dimostrata, nell’ambito della ricerca, anche l’inclusione del tannino idrolizzabile nella dieta del suino non castrato principalmente per scopi qualitativi al fine di controllare l’incidenza dell’odore di verro. Il caratteristico odore di verro sprigionato dalla carne suina al momento della cottura dipende dalla concentrazione e combinazione di alcune sostanze sintetizzate dall’animale e accumulate nel tessuto adiposo, quali l’androstenone (un metabolita steroideo di origine testicolare prodotto dalle cellule di Leydig in gran parte sotto l’influenza genetica) e lo scatolo e l’indolo (due composti derivanti dalla degradazione del triptofano a livello intestinale). «Alimentando i suini con mangimi che includevano fino al 3% di tannino idrolizzabile – spiega Seoni - abbiamo osservato una tendenza a ridurre i livelli di scatolo e indolo nel tessuto adiposo viscerale senza compromettere le performance di crescita».

I tannini nella dieta dei suini, una strategia nutrizionale a impatto positivo - Ultima modifica: 2019-10-12T10:33:58+02:00 da Laura Saggio

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