Cambio al vertice in Fedagri-Confcooperative, la principale organizzazione di rappresentanza delle cooperative agroalimentari: Giorgio Mercuri, 49 anni, già vicepresidente e titolare della cooperativa ortofrutticola pugliese Giardinetto, è stato nominato presidente. Subentra a Maurizio Gardini – alla guida di Fedagri dal 2009 –, che dallo scorso 31 gennaio ha assunto la carica di presidente di Confcooperative. È la prima volta che viene eletto un rappresentante del Sud.
Presidente Mercuri, quali sono le sue priorità?
Agirò in linea di continuità con chi mi ha preceduto, proseguendo il percorso di alleanze con le organizzazioni di rappresentanza e lavorando per favorire l’aggregazione e l’internazionalizzazione delle imprese.
La sua nomina avviene in un momento cruciale per il settore: la riforma della Pac. Qual è il vostro giudizio?
Ci aspettavamo una riforma molto più coraggiosa e credo che ne pagheremo le conseguenze dopo il 2020. Dobbiamo comunque riconoscere che la proposta, grazie all’azione del Parlamento Ue, è molto migliorata. Bisogna accontentarsi e rimboccarsi le maniche: con la riduzione del budget tutti subiranno un taglio del premio diretto. Ma non possiamo permetterci di lasciar perire un comparto per salvarne un altro. L’agroalimentare italiano è uno solo.
Quali sono le vostre richieste?
Per prima cosa chiediamo di essere ascoltati e coinvolti. In questo senso mi aspetto un ministero più attento del passato, che sappia recepire le richieste di chi lavora nel settore. Auspico inoltre una grande attenzione al Sud, non perché vogliamo favoritismi, ma perché dobbiamo consentire all’agricoltura del Sud di rafforzarsi e recuperare il gap.
A livello operativo bisogna agire su innovazione, riorganizzazione delle filiere e coesistenza di programmi di sviluppo regionali e nazionali. Non possiamo avere venti piani slegati. I passati investimenti non hanno portato i risultati sperati proprio perché ogni regione ha scelto in autonomia: dobbiamo invece ragionare per piani di sviluppo di filiera e di macro-aree. Faccio un esempio: una grande opportunità riguarda il piano di gestione del rischio; vorremmo che questo strumento venisse gestito a livello nazionale. Dobbiamo inoltre vigilare sui fondi comunitari: le risorse sono poche, non vanno sprecate. Se qualcuno non riesce a spenderle, vanno rimesse in circolazione. Chiediamo inoltre misure a sostegno dell’aggregazione e un forte aiuto nella fase di start up delle aziende per aiutare i giovani che stanno riscoprendo il settore.
L’internazionalizzazione è una delle priorità di Fedagri: oggi le nostre imprese, specie nell’ortofrutta, stanno soffrendo la concorrenza europea e riducendo i volumi esportati. Che si può fare?
Anzitutto ricordarsi che i mercati sono tanti – dal rionale all’internazionale – e che per arrivare su ognuno di essi occorre avere una struttura e un’organizzazione specifica. E poi dobbiamo abbassare quei costi che ci rendono meno competitivi dei nostri concorrenti e l’unico modo per farlo è aggregandoci, ottimizzando le risorse e unificando parte del processo di commercializzazione. Anche i piccoli, purché organizzati, possono andare all’estero. Ma non basta essere in cooperativa: dobbiamo fare un salto ulteriore. La politica deve però intervenire per abbassare quei costi produttivi – dall’energia al lavoro – che ci penalizzano e per consentire alle nostre aziende di operare alle stesse condizioni delle altre. Penso, ad esempio, alla normativa in materia di agrofarmaci, in Italia più restrittiva che nel resto dell’Ue.
Il mercato del falso non è un problema?
Si, ma è anche un’opportunità. Dobbiamo occupare quegli enormi spazi di mercato col vero made in Italy.
Sui consumi interni non c’è speranza?
È la nostra più grande angoscia. Abbiamo fatto uno studio sull’ortofrutta: ogni famiglia non spende in media più di 1,5 €/giorno per frutta e verdura. L’unica soluzione è lavorare – come stiamo facendo con il programma europeo Frutta nelle scuole – sull’educazione alimentare dei cittadini, in particolare dei giovani.
A proposito di educazione, cosa ne pensa dell’etichetta nutrizionale a “semaforo”?
Siamo assolutamente contrari. Chiediamo un’etichetta trasparente e chiara, ma senza creare barriere che non hanno senso, confondono e si rivelano controproducenti.