«La canapa è una pianta che offre moltissime applicazioni e che attira investimenti e aziende in quanto c’è un mercato in forte crescita interessato ai molti prodotti che ne possono derivare. Creare confusione a livello mediatico e legislativo non fa che ostacolare lo sviluppo di imprese come la nostra, nate con l’obiettivo di ridare dignità a una coltivazione così interessante e creare occupazione in modo serio e con il supporto della ricerca». Sono le parole di Marco Martinelli, biotecnologo e fondatore di Canapisti, spin-off Universitario della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa nata nel settembre 2018 per la produzione di piantine di Cannabis light e prodotti derivati. Raccontare la storia di Canapisti proprio nei giorni in cui il dibattito sulla Cannabis light si è rianimato a seguito della direttiva del 9 maggio scorso del Ministero dell’Interno e soprattutto alla sentenza delle Sezioni Riunite della Corte Suprema di Cassazione del 30 maggio, aiuta a fare chiarezza e a sottolineare come una battaglia politica combattuta sulle spalle di un settore produttivo promettente come questo, rappresenti unicamente un freno allo sviluppo e alla nascita di imprese giovani e innovative, dotate di competenze di primissimo livello. L’idea di Canapisti si deve allo stesso Martinelli che, mentre sta completando il suo dottorato di ricerca alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dopo aver svolto due tesi sugli usi e le azioni delle varietà terapeutiche di Cannabis nel trattamento del dolore neuropatico nella sclerosi e nei casi di cancro, decide di sfruttare l’expertise maturata nella coltivazione e nel settore della canapa e insieme a Marco e Luca Pacini, florovivaisti, e a Matilde Finocchi, tecnologa alimentare ed esperta in “regulatory affairs”, fonda la nuova società.
Alta qualità e sicurezza
«Canapisti è uno spin-off della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa che si prefigge di diffondere piante e prodotti a base di cannabis light legale, caratterizzati da alta qualità e sicurezza per il consumatore. Abbiamo cominciato con la produzione delle piantine in vaso e dei microgreen e siamo in attesa dei chiarimenti legislativi necessari per poterci dedicare in futuro anche alla produzione di derivati come gli oli essenziali e le tisane» racconta Marco. La scelta di non entrare nel mercato delle infiorescenze, quello che al momento ha portato i maggiori ricavi come testimonia il successo di aziende leader come Easy Joint, ma che presenta allo stesso tempo le zone grigie più critiche dal punto di vista regolatorio (e di conseguenza più attaccabili come dimostra la sentenza del 30 maggio), è voluta, spiega Marco, alla luce di due considerazioni “La prima è che il nostro claim è “coltiviamo il benessere” e offrire un prodotto destinato a essere fumato, dal momento che il fumo fa comunque male, non era coerente con i nostri obiettivi. Il secondo motivo per cui non vendiamo infiorescenze è che vogliamo dare al consumatore tutte le sicurezze sulla qualità del prodotto, non solo il contenuto in Thc ma anche quello in metalli pesanti o in micotossine ad esempio, analisi che a parte la prima, al momento, non sono richieste e che comportando dei costi aggiuntivi ci avrebbero portato fuori mercato”.
Le piantine sono prodotte a San Giuliano Terme in vasetto da 10 o da 14 cm e sono contrassegnate da una fascetta non trasferibile che ne garantisce la tracciabilità dalla semente certificata acquistata dalle ditte sementiere autorizzate, fino al campo e l’idoneità alla vendita e alla coltivazione. La varietà Carmagnola è quella attualmente coltivata mentre altre varietà come la Zenith adatte a climi più freddi sono in corso di valutazione.
Per prodotti sicuri e benefici
Tutti i prodotti di Canapisti sono sviluppati in stretta collaborazione con gli Istituti di Ricerca. Con la Scuola Superiore Sant’Anna il contatto è continuo sia per le analisi di controllo sui prodotti, sia per la messa a punto di pratiche e metodi adatti a contenere a livello metabolico l’incremento di Thc nelle infiorescenze, che è quanto preoccupa maggiormente il legislatore. «L’obiettivo per noi è quello di avere piante con infiorescenze quanto più possibile prive di Thc. Non abbiamo nessun interesse a produrre piante che lo contengano e da biotecnologo posso dire che, se fosse possibile, l’ideale sarebbe poter sviluppare delle varietà mutanti, ottenute con tecniche di genome editing, che siano incapaci di produrre la molecola di questo cannabinoide», aggiunge Martinelli.
Oltre alle piante in vaso Canapisti produce microgreen, piantine di dieci giorni con foglioline già aperte e ben formate a uno stadio di sviluppo immediatamente successivo al germoglio e vendute in vaso anche queste come prodotto tecnico. «I microgreen di canapa presentano una composizione fitochimica molto interessante e sono adatti al consumo alimentare. I contenuti in Thc e in Cbd sono estremamente bassi. Molto elevati sono invece i contenuti in cannaflavine, molecole della classe dei flavonoidi con azione antiossidante e anti-infiammatoria, che come alcune pubblicazioni riportano sarebbero ancora più efficaci dell’aspirina. Per la loro idoneità, non esistendo in Italia un limite in Thc negli alimenti, ci siamo riferiti al limite vigente in Germania, il più stringente tra quelli presenti nei paesi europei». Per lo studio sugli oli essenziali, una volta chiariti gli aspetti legali, l’azienda pisana si sta invece affidando all’Università di Pisa «La finalità è di mettere a punto un protocollo di estrazione efficace per dare un prodotto che sia sicuro per il consumatore e per farlo stiamo lavorando con Luisa Pistelli e Roberta Ascrizzi della Facoltà di Farmacia, che sono state le prime a pubblicare un manuale sugli oli essenzali della canapa».
La sentenza della Cassazione del 30 maggio cosa cambia?
La nostra intervista a Marco Martinelli risale ai primi di maggio ma a distanza di poche settimane, il 30 maggio, la sentenza delle Sezioni Penali Riunite della Corte Suprema di Cassazione sembra mettere in discussione lo sviluppo del settore e soprattutto la legalità della commercializzazione di alcuni prodotti derivati dalla Cannabis sativa, riportando che “…la commercializzazione in particolare di foglie, ingiorescenze, olio, resina ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016…” che “….pertanto integrano il reato di cui all’art 73 commi 1 e 4, dPR n.309/1990 (Testo Unico sugli stupefacenti ndr), le condotte di cessione, di vendita e, in genere la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della Cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”.
Abbiamo raggiunto Martinelli per chiedere come questa sentenza possa avere effetti sulle attività dei Canapisti e sul settore della Cannabis light in generale ed è sottolineando quell’ultima frase “salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante” che il ricercatore e imprenditore pisano invita a non cadere in un facile allarmismo e a non dare una lettura politica alle parole dei giudici -«I prodotti ai quali si riferisce la sentenza sono quelli che la legge non definiva in modo chiaro e dice che è vietato vendere le parti verdi e i loro derivati salvo che non abbiano principi attivi droganti. Occorre attendere la sentenza completa e le motivazioni per capire come i giudici intendano definire quella che riportano come “efficacia drogante”. Questo è il punto chiave, perché nel caso in cui questo sia un riferimento al limite dello 0,2%, significherebbe che tutti i prodotti anche i prodotti tecnici e le parti verdi con un contenuto in Thc inferiore allo 0,2% potrebbero essere definitivamente legali».
La sentenza non riguarda comunque i prodotti commercializzati dai Canapisti, piante e microgreen, già perfettamente tutelate dalla legge, che ne prevede sia la vendita sia l’acquisto. La preoccupazione sarebbe stata maggiore per le le tisane o gli oli di Cbd che l’azienda stava progettando di realizzare e che per il momento restano in stand by in attesa di chiarimenti. E indipendentemente da quella che sarà l’interpretazione della sentenza è proprio di un chiarimento basato per una volta su pareri esperti conclude Martinelli, che c’è definitivamente bisogno - «Noi speriamo che il Governo prenda in mano la situazione e che il ministro della Salute e dell’Agricoltura si trovino a un tavolo tecnico al quale come spin-off della Scuola Superiore Sant’Anna parteciperemmo volentieri, ma la cosa fondamentale sarebbe che per una volta il legislatore faccia riferimento agli scienziati e agli esperti prima di pronunciarsi. Quel che è certo è che occorre una normativa omogenea per tutti, che specifichi come possa essere utilizzato anche il fiore, perché non è possibile ed è assurdo continuare a vietare l’utilizzo di prodotti che comunque sono acquistabili su Internet all’estero, bloccando invece la produzione italiana».