«Si vince se si riesce a fare squadra, anche in ottica societaria. BF Spa racchiude l’agricoltura, l’industria alimentare, il mondo finanziario e componenti distributive che hanno scelto di lavorare con noi nella massima integrazione. Oggi il mercato chiede un controllo totale delle produzioni e una capacità di esprimere qualità sotto tutti i punti di vista che per un singolo operatore potrebbe risultare inefficiente». Questi gli ingredienti del piano industriale dell’amministratore delegato di BF Spa Federico Vecchioni, svelati facendo il punto sui risultati raggiunti e sui traguardi ancora da tagliare per una realtà che ha superato i novemila ettari di Sau, dà lavoro a oltre 200 persone e che nel 2019 ha sfiorato i 100 milioni di euro di fatturato.
«Si vince se si riesce a fare squadra, anche in ottica societaria. BF Spa racchiude l’agricoltura, l’industria alimentare, il mondo finanziario e delle componenti distributive che hanno scelto di lavorare con noi nella massima integrazione. Oggi il mercato chiede un controllo totale delle produzioni e una capacità di esprimere qualità sotto tutti i punti di vista che per un singolo operatore potrebbe risultare inefficiente». Questi gli ingredienti del piano industriale dell’amministratore delegato di BF Spa Federico Vecchioni, che fa il punto sui risultati raggiunti e sui traguardi ancora da tagliare per una realtà che ha superato i novemila ettari di Sau, dà lavoro a oltre 200 persone e che nel 2019 ha sfiorato i 100 milioni di euro di fatturato.
Dottor Vecchioni, Bonifiche Ferraresi sembra aver lanciato un sasso nello stagno dell’agricoltura italiana
«Dobbiamo aggredire il mercato con aziende più competitive sotto il profilo economico e oggi c’è un solo modo per raggiungere questi risultati: stringere solidi e duraturi accordi tra gli operatori della filiera. Per troppo tempo in Italia abbiamo avuto più antitesi che alleanze».
Crescerete ancora o avete raggiunto il limite?
«Non ci poniamo limiti, ma credo che per quanto riguarda la Sau diecimila ettari in conduzione diretta siano una dimensione adeguata. Ormai ci siamo. Però, per molte colture come cereali, riso, frutta e officinali, oltre alla nostra, lavoriamo e trasformiamo anche prodotti agricoli di tante aziende medie e piccole. Ad esempio, per il riso produciamo 41mila quintali ma ne lavoriamo altri 171mila».
Com’è il rapporto con i territori dove siete presenti?
«Quando decidiamo di andare in un posto non ci accontentiamo di essere presenti, vogliamo essere protagonisti. Per questo sia in Emilia-Romagna, che in Toscana e Sardegna abbiamo pensato a piani industriali per valorizzare questi territori. Le agricolture e i contesti sociali sono molto diversi. Ma al centro dei nostri investimenti c’è la valorizzazione della terra, ma non solo per gli aspetti produttivi, devono esserci ricadute positive per chi vive e lavora in quei luoghi. Quindi generare valore ma anche recuperare intere comunità. In Val di Chiana, ad esempio, abbiamo recuperato colture autoctone come l’olivo. Abbiamo dotato l’area di risorse idriche e di un piano colturale che, oltre a generare occupazione, ha aumentato la reputazione aziendale. In Sardegna abbiamo preso in mano un’area che era abbandonata da parecchi anni. Non siamo arrivati da colonizzatori ma da alleati del contesto produttivo locale. Oggi a Bonifiche Sarde abbiamo 1.100 ettari biologici coltivati a erbe officinali, con dipendenti che hanno ritrovato l’orgoglio di lavorare per questa azienda».
Oltre all’Italia state mettendo radici all’estero.
«È una sfida appena iniziata ma parte da una visione di medio-lungo periodo e rappresenta la nostra visione di un mondo che sta radicalmente cambiando. Anche in questa fase emergenziale l’agricoltura è tornata centrale nelle agende economiche dei Paesi. Noi ci confrontiamo con tanti operatori sul mercato e ogni giorno ci poniamo l’obiettivo di fare di Bf un soggetto capace di crescere e confrontarsi con i grandi player che operano nel mercato internazionale. Lo abbiamo fatto in Kazakistan e negli Stati Uniti e ora lo faremo in Ghana, valorizzando quasi cinquemila ettari da dedicare alle economie locali e per produzioni da destinare al mercato europeo. Abbiamo scelto Eni come partner perché in quel Paese ha un’esperienza imprescindibile».
Cosa coltiverete in Africa?
«Riso e ortaggi, in particolare pomodoro. E poi tutti i cereali dal mais al frumento. Stiamo testando varietà di grano locali, tra l’altro in secondo raccolto, che offre rese molto interessanti. L’esperienza potrà essere replicata anche in altri Paesi, perché vogliamo consentire alla rete dei consorzi agrari di essere un fornitore per il continente africano così come fanno i grandi operatori internazionali francesi e tedeschi».
A proposito di consorzi agrari. Ci spiega l’obiettivo dell’operazione Cai?
«C’è un obiettivo della quotata, quindi di BF, che è generare il maggior valore possibile da questa operazione per tutti gli azionisti a cominciare dagli agricoltori. Mi aspetto che entro il 2021 BF raggiunga una capitalizzazione che sfiori il miliardo di euro. Questo deve andare in parallelo con la capacità di generare margini e di valorizzare la rete. Con questa operazione vogliamo andare oltre a steccati che spesso hanno fatto male all’agricoltura. È un progetto che deve saper guardare al mercato con una logica nuova, deve avere un rapporto diverso con le multinazionali. I nostri clienti sono gli agricoltori ma anche i consumatori che vanno nei garden dei consorzi agrari. Secondo me è una straordinaria opportunità per l’agricoltura italiana avere una rete che si riformula in una logica competitiva pur preservando quei principi di mutualità e storia dei consorzi agrari che non sono assolutamente compromessi dall’arrivo di una società quotata nel capitale di una holding di controllo. Anche per Cai l’obiettivo è ambizioso: confrontarsi con operatori molto più grandi di noi che operano nei mercati di tutto il mondo».
Più in concreto cosa farà Cai?
«Continuerà a svolgere funzioni storiche di raccolta e stoccaggio e fornitura di mezzi tecnici per l’agricoltura. Ma ci sarà anche ricerca e innovazione oltre a una riorganizzazione logistica che riguarderà vaste aree del Paese. Questa iniziativa ha attratto risorse dal mercato non pubbliche. BF Spa deve sviluppare con Cai un piano industriale che nei prossimi anni sia appetibile anche per nuovi investitori. Credo sia il miglior modo di dimostrare che questo progetto è valido e darà modo di camminare da solo a un settore che in passato, seppur legittimamente, è stato assistito».
Le due insegne, Cai e Bf, saranno insieme o separate?
«Le agenzie avranno il nuovo logo di Consorzi agrari d’Italia, perché un agricoltore va al consorzio seguendo un principio di fidelizzazione che noi non vogliamo intaccare. Poi ci saranno occasioni in cui Cai e Bf si presenteranno insieme. Tra l’altro Bf Spa avrà un nuovo logo. Poi Bonifiche ha il marchio “Le Stagioni d’Italia” che sarà presente nei negozi dei consorzi agrari, integrato anche con Campagna Amica».
Quali vantaggi avranno gli agricoltori da questa operazione?
«Una rete come quella dei consorzi che fino a oggi è stata in grado di fornire dei servizi in una determinata condizione con un assetto polverizzato e frazionato vedrà un consolidamento in un gruppo che assume dimensioni e capacità importanti quindi la rete sarà più efficiente. Ci saranno coesione e condivisione del futuro agricolo del Paese».
Che autonomia avranno i consorzi nella scelta dei fornitori? Ad esempio per le macchine agricole.
«Su questo risponderà l’amministratore delegato di Cai Gianluca Lelli nelle prossime settimane, quando presenterà il piano industriale. Però mi preme ricordare che questo è un progetto pensato per i consorzi in salute e che non intacca le autonomie delle singole realtà territoriali».
Al di là delle resistenze culturali, in Italia sono soprattutto le dimensioni ridotte delle aziende agricole a ostacolare la diffusione dell’agricoltura di precisione. Di certo i soci dei consorzi potranno beneficiare dei servizi di Ibf.
«Le sinergie industriali sono funzionali al miglior servizio. Quindi se BF ha creato uno spin off come IBF Servizi è chiaro che intende fornire un servizio alle migliori condizioni possibili. E poi vogliamo rendere la precision farming scalabile. Già oggi con IBF Servizi gestiamo circa 110mila ettari con una fornitura che va dai singoli agricoltori a realtà come ad esempio Coprob per la barbabietola da zucchero. Lavoriamo con pomodoro, grano, frutta, ulivi. Il fattore limitante della dimensione di supera con piattaforme che consentano ad aziende agricole di qualsiasi dimensione di poter avere un supporto tecnologico e di meccanizzazione esterno e non essere costrette a caricarsi di investimenti».
Non c’è precision farming senza connettività. Il recente accordo con Tim serve a questo?
«Certo. Per usufruire di servizi evoluti è necessario che le aziende siano connesse. Quindi l’obiettivo dell’accordo è dare una connettività diffusa e per poter offrire piattaforme compatibili con questa connettività».
Secondo lei gli agricoltori italiani sono pronti per tutta questa tecnologia?
«Da agricoltore dico che siamo più pronti di quanto non si pensi. Siamo riusciti a creare Bonifiche Ferraresi anche perché abbiamo dato un’immagine evoluta del settore primario. Se uno conosce l’agricoltura sa che oggi c’è già molta tecnologia, in campo e in stalla. Poi il cambiamento generazionale in corso dà una mano».
Che giudizio dà alla nuova Pac in via di approvazione a Bruxelles? La svolta verde la convince?
«Bisogna capire bene quali ricadute avrà per le nostre attività in campagna. La verifica dell’impatto è ancora in corso quindi faccio fatica oggi a dare un voto. Di certo la Pac deve rimanere uno strumento competitivo anche per aziende come Bonifiche Ferraresi. Le misure sulla sostenibilità sono strumenti di mercato che dobbiamo saper utilizzare al meglio. Oggi i consumatori chiedono questo».