Che cosa sappiamo del settore agricolo italiano? Molto, ma non abbastanza. Se considerassimo il numero delle imprese attive (1,6 milioni secondo il Sistema statistico nazionale), ricoprirebbe ancora un ruolo di primo piano nell’economia italiana, dato che si tratta di poco più del 30% del totale delle imprese. Tuttavia, le tare di questo dato sono molte. Infatti, sul totale delle aziende agricole solo 740.000 circa fatturano più di 8.000 euro l’anno (dati Infocamere), il che significa che il 54% circa, sono un’attività (si spera) hobbistica. Secondo l’Istat, circa la metà di queste (325.000), generano una Plv tra 15 e 50.000 euro; 98.000 dichiarano una Plv tra 50 e 100.000 euro e solo lo 0,5% (circa 9.000 imprese) ha una Plv superiore a 500.000 euro. Questi primi dati già rendono visibili due dei problemi principali dell’agricoltura italiana: la sua frammentazione e la molteplicità di fonti informative che si sovrappongono, nel tentativo, fino a oggi fallimentare, di darne un’immagine completa. Un profilo che risulterebbe molto utile per facilitare l'accesso al credito.
Difficile fotografare
L’Agri Lab di SdA Bocconi ha condotto un’indagine sulle fonti informative sul settore agricolo, nel tentativo di discriminare quali dati si possano considerare affidabili e quali no. Il risultato è inequivocabile: di 11 database istituzionali analizzati, la diversità dei dati sugli stessi argomenti da un set all’altro, induce a pensare che si tratti in molti casi di stime, ipotesi se non addirittura congetture. La realtà è che a fronte di infiniti dati disponibili non siamo in grado di fotografare il settore, soprattutto per tutto quel che concerne gli aspetti economici e finanziari, quasi completamente assenti. La causa è da cercare nell’evoluzione degli assetti societari delle aziende agricole e della normativa in materia.
La forma e la sostanza
Il 99% circa delle imprese attive nel primario in Italia sono ditte individuali, società di persone o altre forme che, per la normativa vigente, non sono obbligate a tenere i registri contabili, a differenza delle società di capitali. Questo significa che qualsiasi dato sulla loro situazione economica è frutto di una stima. Considerando poi la caratteristica variabilità dei risultati dell’attività agricola dovuta ai fattori esogeni, tali stime perdono ulteriore affidabilità.
Le implicazioni di questa impostazione che riguarda l’intero settore, spesso a prescindere dalla dimensione aziendale, inficia non solo la capacità di rilevare con esattezza gli andamenti, i punti di forza, di debolezza e le necessità dell’attività imprenditoriale agricola, ma anche la possibilità di attuare soluzioni di sistema efficaci. La mancanza di dati è una delle principali cause di fragilità del settore rispetto al futuro.
Misurare la redditività
Grazie alle innumerevoli fonti di dati sopra citate e grazie al lavoro di approfondimento realizzato da Bocconi e Crédit Agricole Italia, possiamo stimare ricavi e costi di un’azienda agricola. Tale stima viene normalmente fatta a partire dal dato tecnico relativo alle produzioni. Non avendo a disposizione un bilancio da consultare per fare una stima dei ricavi si sono considerate le quantità prodotte in base alle coltivazioni dichiarate e moltiplicate per il prezzo medio di mercato nella stagione di interesse. Si ottiene così la Plv, un’approssimazione dei ricavi da cui sono escluse ad esempio le attività connesse o quelle commerciali.
Per fare una stima dei costi si sono considerate le medie di input necessari per ciascuna attività agricola, moltiplicate per il prezzo medio della stagione: ad esempio il costo medio dell’urea o dei trattamenti per i vigneti. Sottraendo i costi dai ricavi ci si avvicina a una sorta di margine operativo lordo (Mol).
L’anello debole
Le aziende agricole, paragonate agli altri attori della catena del valore, non hanno seguito un percorso di sviluppo altrettanto rapido, né altrettanto profittevole, divenendo inevitabilmente l’anello più debole della catena. Inoltre, quando si passa da un’economia principalmente agricola a una industriale e dei servizi, il valore aggiunto del settore primario, di regola, si riduce: l’agricoltura è diventata oggi l’attività che contribuisce di meno al Pil dei Paesi più industrializzati. In Italia, circa il 73% della ricchezza è generato dai servizi, il 24% dal manifatturiero e dall’edilizia, circa il 3% dall’agricoltura (Istat, 2021). La stessa dinamica è riflessa nella distribuzione degli addetti: solo il 3% della forza lavoro nazionale è impiegata in agricoltura a fronte del 22,7% impiegato nel settore agribusiness (Istat, 2021).
Pac come una droga
È riduttivo pensare che questa debolezza derivi solo da uno sbilanciamento dei rapporti di forza nella catena del valore o ridurre le sfide che oggi un’azienda agricola si trova ad affrontare a un problema di prezzi, rese e clima. Parte della strutturale debolezza del mondo agricolo è da cercare nella carente cultura manageriale. Caratteristica che a sua volta affonda le radici nella storia e nello sviluppo della Pac. L’insieme delle regole europee volte a incrementare la produttività dell’agricoltura, stabilizzare i mercati, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori, ha avuto l’effetto collaterale di creare dipendenza e drogare il mercato, proprio come una sorta di stupefacente. Come spesso accade per le forme di sostegno pubblico nella competizione in libero mercato.
Con la Pac, rafforzata poi dalla politica nazionale assistenzialista, il reddito degli agricoltori è stato sostenuto dagli anni Sessanta fino a metà degli anni Novanta con prezzi calmierati, mercato protetto, pagamenti diretti, contributi, tassazione e previdenza agevolate. In condizioni simili, le motivazioni per sviluppare competenze e conoscenze al di là di quelle strettamente necessarie per produrre, sono state troppo deboli e questo ha sfavorito lo sviluppo del management nelle aziende agricole. Inoltre, con gli avanzamenti della chimica e della tecnologia, anche le competenze legate alla produzione sono andate affievolendosi a favore della conoscenza delle macchine e degli input produttivi.
In tutte le altre realtà dell’agribusiness la competizione ha invece spinto verso un continuo sviluppo delle competenze gestionali, utili a crescere in mercati sempre più complessi e globali. Grazie a queste conoscenze, le aziende della catena agroindustriale hanno disegnato strategie di crescita per adattarsi in maniera dinamica alle mutevoli condizioni del mercato e della tecnologia.
Il metodo e le criticità
Grazie all’elaborazione dei dati acquisiti dal portafoglio clienti, corroborati con quelli presenti in Cocoa di Agrilab Bocconi, è stato possibile discriminare un campione significativo sul quale Crédit Agricole ha segmentato mercato e clientela. A un primario e provvisorio adattamento rispetto ai dati disponibili, la banca transalpina ha fatto corrispondere una suddivisione di massima delle aziende.
Il tema del posizionamento non sfugge a una logica analitica pregnante la struttura di mercato in tempi e modalità dedicati. È necessario quindi partire da una segmentazione di fondo che consenta di impostare la propria idea di presenza sul mercato differenziandosi dalla concorrenza. Cementando di conseguenza la creazione del valore su principi e direttive stabili, prevedibili e ripetibili.
Il processo di posizionamento di mercato delle banche rispetto al variegato mondo agricolo e dell’agribusiness non sfugge alle logiche preponderanti richiamate.
Come noto le banche segmentano la clientela in ordine a criteri basilari, immediatamente riconoscibili come quello geografico, demografico, nell’ambito della macro distinzione, per canali, fra soggetti giuridici (privati e imprese). A loro volta i canali sono ulteriormente suddivisi in conseguenza di scelte di marketing strategico a monte del processo di distribuzione commerciale.
Analogamente, all’interno dei criteri di base vigono, di caso in caso, ulteriori processi di raffinazione che tengono conto di criteri psicografici e, per gli istituti di credito maggiormente orientati al cliente, analisi dei comportamenti d’acquisto dei clienti.
Il portafoglio prodotti quindi viene proposto alla clientela sulla base di un approccio orientativo già codificato con la segmentazione.
I concetti classici di famiglia di bisogni, famiglia di prodotti, classe, linea, tipo e, infine, referenza, che, con semplificazioni più o meno ampie, vengono utilizzati comunemente da tutti i gruppi, attivano le offerte sul mercato.
In tema di agribusiness, le connessioni fra segmentazione e gerarchia dei prodotti bancari tendono a complicarsi e ad evolvere a seconda della vocazione commerciale e del territorio sul quale opera la banca.
Avremo quindi prodotti generalisti applicati ad aziende o prodotti specializzati che trovano applicazione solo in questo ambito, senza possibilità di sviluppi su mercati esterni.
La carente scalabilità dei prodotti rispetto a una segmentazione accurata in agribusiness non si risolve nemmeno con il ricorso a prodotti personalizzati a forte vocazione business, nell’ambito delle possibilità offerte dal mercato corporato all’interno della banca. Permangono, infatti, problematiche legate alla natura del fido, a quella del prodotto di investimento e a quella della controparte. Perlomeno in ambito prettamente agricolo.
Finalizzazione dei fidi, garanzia statale di seconda istanza, privilegio legale implicito, finalizzazione prodotto di investimento.
Stanti questi aspetti, si complica l’attività di segmentazione in riferimento alla maggiore enfasi sul prodotto, rispetto al cliente target, ovvero una maggiore personalizzazione di prodotti di credito che non possono a questo punto dirsi standard. Nonostante tutte queste difficoltà, l’indagine condotta da Agri Lab Bocconi e Credit Agricole ha abbozzato una suddivisione delle aziende agricole.
I dati, pur provisori, indicano chiaramente una strada. Un posizionamento quindi figlio della presenza reale sul mercato, su tutto il territorio nazionale, con prodotti dedicati ed expertise forte. Marchio con un suo forte appeal a livello non solo di produttori ma anche in riferimento a enti locali o governativi. Il posizionamento è naturalmente basato sulla forte conoscenza del mercato e quindi sull’affidabilità come partner privilegiato per sostenere il settore al fianco dei produttori.
Conservatori
Aziende sotto forma di ditte individuali per la grande maggioranza dei casi (oltre 90%). Conduttore di età media 58 anni. Ha rapporti con una sola banca con un’interrogazione annuale a sistema. Lavorano direttamente, con nessun collaboratore o manodopera avventizia, per una Plv da conferire interamente a commercianti o mediatori. Concetto portante è il presidio del territorio. Orientativamente il mercato è rappresentato da 100mila aziende.
Progressisti
Aziende condotte da operatori con età media di 45 anni. Ditte individuali ma anche società semplici. Pluribanca, tre interrogazioni a sistema per anno. Conduzione diretta con avventizi. Lavorano per una Plv da conferire in accordi di filiera, sistemi di conferimento nell’ambito della cooperazione o vendita diretta. Concetto portante in questo caso è la sostenibilità sul medio termine. In questo insieme rientrano 190mila aziende italiane.
Innovatori
Aziende condotte da agricoltori con una media di 32 anni. Forma giuridica ditta individuale ma anche società semplice e Srl agricola. Quindi aziende orientate a segregare il capitale proprio in contrapposizione alla promiscuità dei cluster precedenti. Hanno rapporti con più di una banca, 4 interrogazioni a sistema per anno, conoscenza dei sistemi di conferimento e lavoro in ambito contrattualizzato in filiera. Spesso praticano trasformazione e vendita diretta sempre nel contesto fiscale dell’agricoltura. Concetto portante è lo sviluppo in termini di posizionamento di mercato. Innovazione spinta su meccanizzazione e tecniche colturali. Marcato rappresentato da 110mila aziende.
Dreamers
Segmento marginale con conduttori di età intorno ai 40 anni. Spesso provenienti da esperienze di lavoro diverse. Senza rapporti bancari o eventualmente solo rapporti in promiscuità con altre attività come il lavoro dipendente. Dimensione veramente modesta, con incertezza sulla sostenibilità nel lungo periodo. Ospitalità come sotto settore trainante. Contesto di mercato che non supera la decina di migliaia di aziende in Italia.