Il 2024 si è aperto con le manifestazioni degli agricoltori in tutta Europa, innescate da alcune misure fiscali decise in vari Paesi. Ciò testimonia la presenza di un substrato latente di malcontento ad alta infiammabilità, favorito dalle politiche comunitarie pensate per ridurre le emissioni inquinanti e contrastare il cambiamento climatico, animate però da una visione dell’agricoltura come “nemica”, invece che come una possibile alleata per risolvere i problemi ambientali. Un malessere per politiche decise in nome della sostenibilità, ma insostenibili per gli imprenditori agricoli. Queste dinamiche rischiano di stendere un velo di negatività non solo sulle misure ambientali ma anche sull’intero agire dell’Unione europea e dei suoi pilastri operativi: Parlamento e Commissione.
Volgendo lo sguardo al futuro, quindi alla necessità di dare risposte concrete al malessere diffuso, un aiuto può venire dal filo delle Indicazioni geografiche che lega tanti territori agricoli d’Europa: dalle Ardenne allo Jura e dalla Borgogna all’Aquitania in Francia. Dalla Campania all’Emilia, dalle colline trevigiane alle Langhe e alla Val di Non in Italia. Dalla valle del los Pedroches in Spagna alla Penisola del Mani in Grecia. Tante regioni d’Europa, con migliaia di produttori agricoli legati al modello Ig, grazie al quale ottengono dignità sociale e un reddito equo. Per questo, grazie alla funzione di ammortizzatore svolta da Dop e Igp, in questi territori sono meno presenti i cortei di trattori.
Anteprima di Terra e Vita 7/2024
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Partendo da questo dato di fatto possiamo approfondire una prima chiave di lettura verso il futuro, con prospettive interne ed esterne al sistema Ig. Quella interna parte dai numeri. Il sistema Dop e Igp pesa in Europa oltre 80 miliardi di euro l’anno, di cui 20 in Italia. Con un indotto occupazionale molto rilevante. La Plv agricola italiana si avvicina a 60 miliardi di euro. Quindi Dop e Igp, pur non essendo la parte prevalente, sono un pilastro fondamentale dell’agroalimentare europeo e ancor più di quello italiano. Un modello con margini di espansione molto importanti, sia per le denominazioni già affermate, sia per le tante allo stato embrionale ma con grandi potenzialità. E molte di queste sono presenti nelle aree fragili della nostra agricoltura, comprese quelle che oggi protestano con maggior forza.
Ragionando in una prospettiva di business plan agricolo italiano, a 4-5 anni è plausibile un’espansione del giro d’affari Ig del 30-40%, cioè 6-8 miliardi. Sarebbe una prima risposta concreta ai temi sollevati, peraltro seguendo un modello che non assorbe finanza pubblica diretta.
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L’altra opportunità è trasferire il modello Ig verso i settori non-Ig oggi in difficoltà. Le indicazioni geografiche dimostrano che, anche senza interventi di natura fiscale o di sostegno diretto al reddito, è possibile garantire dignità ed equa remunerazione del lavoro agricolo e del fare impresa in agricoltura. Oltre al legame al territorio, le Ig vincenti sono state capaci di coordinare un modello di filiera con visione economica e commerciale. La contaminazione di tale modello verso le filiere oggi in difficoltà, pur nel quadro di una doverosa calibrazione delle politiche “estremiste” degli ultimi anni diviene la strada per promuovere nuove efficaci risposte.
Il modello Ig è oggi la realtà che conosciamo grazie al ruolo che l’Europa ha saputo giocare a partire al 1992 con il Reg. 2081, migliorato e integrato fino alla Riforma varata a ottobre 2023, il cosiddetto “Testo Unico della qualità”. Un giacimento di strumenti e regole in grado di rafforzare ulteriormente le prospettive del settore. Partendo da queste basi è possibile guardare con rinnovata fiducia alle sfide che attendono l’agricoltura europea.
di Riccardo Deserti
presidente di Origin International