L’azienda Latorrata, situata a Palagiano (TA), sorge su un terreno di circa 150 ettari tra le colline della Murgia e la pianura del Golfo Tarantino. L’attività principale dell’azienda è la produzione di olio evo, tradizione tramandata di generazione in generazione dal 1907. Da tre anni è subentrata in azienda Ludovica Latorrata, 26 anni (terza generazione), col pallino per l’innovazione tecnologica e digitale. La sua scommessa? Avviare una produzione di olio biologico a basso impatto. Tra i prossimi progetti di Ludovica anche la realizzazione di un impianto IoT con sensori in grado di rilevare i parametri fisico-chimici del terreno e identificare quando effettuare interventi di precisione sulla pianta.
Ludovica cosa ti ha spinto a diventare un’agricoltrice? E quali sono le principali attività che svolgi in azienda?
Ho mosso i primi passi in azienda tre anni fa, quando ero ancora una studentessa di economia e commercio. Ho iniziato a collaborare con mio padre e da lì è nata la passione. Sono partita dalle fondamenta. Ho iniziato come operaia di magazzino, principalmente mi occupavo di etichettatura, poi sono passata a gestire gli ordini e le lavorazioni, successivamente mi sono occupata di controllo qualità per il comparto ortofrutticolo dell’impresa. L’anno scorso ho terminato la mia formazione specializzandomi in strategie per i mercati internazionali.
Oggi in azienda mi occupo principalmente di comunicazione e innovazione prodotto, attività quest’ultima che svolgo in collaborazione con l’ateneo di Bari. Penso che la sinergia tra ricerca, università e impresa sia imprescindibile e debba ancora svilupparsi, soprattutto qui al Sud.
Su quali strategie hai scommesso per accrescere produttività e sostenibilità aziendale?
Arrivata in azienda ho iniziato a lavorare alla mia idea di progetto imprenditoriale e ho lanciato “Odo”, un prodotto ottenuto dalla combinazione di olive Leccina e Coratina che conserva le sue proprietà organolettiche e nutrizionali grazie ad un know-how consolidato e, al contempo, guarda al futuro in quanto orientato alla riduzione dell’impatto ambientale e al recupero degli scarti di lavorazione come la sansa, utilizzata per la bio-concimazione. Le olive vengono raccolte manualmente per evitare di stressare la pianta. Per soddisfare il fabbisogno idrico delle piante utilizziamo impianti di microirrigazione al fine di ridurre la perdita di acqua in eccesso.
Contemporaneamente ho puntato molto sulla svolta digitale. Abbiamo implementato un software gestionale per efficientare l’organizzazione dei processi che ci ha permesso di incrementare la produttività. Inoltre ho deciso di occuparmi della gestione del personale che lavora con noi introducendo dei premi produttività.
La tua idea è puntare su una produzione interamente biologica?
Il progetto Odo bio nasce dal fatto che già da diversi anni praticavamo agricoltura biologica, ma non certificata. Il mio impegno è stato dar valore a queste olive che venivano mischiate con le altre provenienti da piante coltivate convenzionalmente. L’uliveto bio è isolato e si trova nel mezzo della Murgia pugliese, dove non ci sono terreni coltivabili quindi è salvo anche da potenziali contaminazioni ambientali provenienti da altre aziende. Ho contattato l’ente certificatore Bios e presentato un campione di questo olio, che è stato ammesso nel mercato bio. Adesso siamo in fase di approvazione dell’etichetta, sono felice di aver riscattato il reale valore di questo prodotto e credo che questa sia la strada da percorrere e ampliare.
Quali tecniche per la difesa delle piante e quali pratiche agronomiche adottate?
Utilizziamo trappole per il monitoraggio dei parassiti in modo da intervenire soltanto alla presenza del parassita e, se necessario, agiamo con prodotti selettivi nei confronti della entomofauna utile.
Seguiamo indicazioni di "buone pratiche agricole generali" con l’obiettivo di ridurre al minimo le lavorazioni del suolo per evitare perdita di sostanza organica e ridurre l’immissione di CO2 nell’atmosfera da parte dei mezzi agricoli (pratica dell’inerbimento stabile). Preferiamo la potatura manuale al fine di ridurre il costipamento del suolo da parte dei mezzi agricoli, quasi annullando i fenomeni di ruscellamento delle acque. La fertilizzazione avviene in modo puntuale ricorrendo a fertirrigazione, ciò garantisce basso inquinamento delle falde acquifere.
Innovazione tecnologica e digitale, l’agricoltura del futuro sarà sempre più smart?
Direi di sì. In questi anni mi sono occupata anche dell’acquisto di macchine agricole 4.0. E sto ottimizzando, dopo aver partecipato a corsi formativi specifici, il sito web e le pagine aziendali sui principali canali social. Credo sia importante per un’azienda, giovane e non solo, investire anche nella comunicazione digitale. La narrazione delle attività, se fatta bene, può diventare un grande vantaggio anche in termini di sostenibilità economica.
La svolta innovativa non può prescindere da quella green. In merito su cosa avete investito?
Le scelte che abbiamo adottato riguardano l’utilizzo dei pannelli solari per l’autoconsumo e la produzione di energia rinnovabile, soluzione che da novembre 2019 ha portato a un risparmio medio del 30% sui costi di approvvigionamento. La sfida è riutilizzare i sottoprodotti per ridurre l’impatto ambientale e allo stesso tempo diminuire i costi legati allo smaltimento dei residui di produzione. Per raggiungere questo obiettivo abbiamo creato un impianto di riscaldamento alimentato da nocciolino di oliva.
Sempre nell’ottica bioeconomica dei criteri di circolarità, ho introdotto una nuova prassi che prevede il riutilizzo delle acque reflue di frantoio e le sanse umide come ammendanti organici del terreno. Questo aspetto è molto delicato: è importante che le acque di vegetazione vengano utilizzate agronomicamente nel modo corretto (in relazione allo stoccaggio, ai tempi e alle modalità di spandimento) altrimenti si rischia un effetto negativo per il terreno e di conseguenza per il prodotto. L’utilizzo di materiali come la plastica è limitato al confezionamento dei prodotti in vetro per le spedizioni ai clienti che acquistano dallo shop online.
Cosa pensi delle Nbt?
Quando ho sentito parlare per la prima volta di tecniche genomiche ero un po’ perplessa, ma informandomi ho capito che utilizzare questa tecnologia non avrebbe trasformato i miei prodotti in Ogm. Credo che qualsiasi soluzione utile a ridurre l’utilizzo di fitofarmaci e pesticidi dannosi sia una scelta etica e necessaria per uno sviluppo ecosostenibile. Purtroppo quando ci si approccia a dei temi così innovativi, di cui non si conosce bene il trade off tra benefici e perdite, si possono avere delle esitazioni, ma non bisogna avere paura, perché l’unica costante della nostra vita è il cambiamento.
E per il futuro della tua azienda quali prossimi cambiamenti/progetti hai in serbo?
In futuro vorrei estendere la produzione bio alla totalità dei terreni messi a coltura e vorrei certificare il prodotto con un sistema di blockchain. A riguardo sto valutando il fabbisogno finanziario per la realizzazione di un impianto IoT con sensori che rilevino i parametri fisico-chimici del terreno e che permettano interventi di precisione sulla pianta. Purtroppo queste tecnologie sono costose da implementare, soprattutto a causa della frammentazione degli appezzamenti sul territorio che non permetterebbe all’investimento di coprire tutto il volume della produzione.
Penso però che gli sforzi da fare non siano non solo di natura economica, ma anche culturale: per incrementare un’agricoltura più smart sul mio territorio serve più associazionismo e la volontà di fare rete tra imprese, queste due azioni porterebbero a un ingente risparmio sull’implementazione di sistemi di produzione sempre più integrati e automatizzati. Il vantaggio di conversione in smart factory, oltre a migliorare la qualità del prodotto e altri aspetti legati al processo operativo, consentirebbe anche di alleggerire i carichi di lavoro dei miei collaboratori, aspetto a cui tengo particolarmente.
Inoltre, in chiave di economia circolare, mi piacerebbe utilizzare i rifiuti organici per la creazione di bio-plastiche, più resistenti e meno inquinanti, da utilizzare nel confezionamento dei pacchi da spedire.
Un altro progetto in cantiere è la realizzazione di una linea di prodotti skin care a base di olio di oliva, sto lavorando alla formulazione di questi prodotti con un’azienda locale che produce cosmetici naturali.
Record produttivi dell’azienda Latorrata
Fatturato 2020
143mila euro, di cui 130mila sul mercato nazionale e 13mila sul mercato internazionale (11.700 euro Germania e 1.300 euro Svizzera).
Produzione 2020
145mila Kg di olive, otre 16mila litri di olio evo.
Coltura di oliva Coratina: 6 ha;
Coltura di oliva Leccina: 7 ha;
Coltura di oliva biologica multicultivar: 8 ha.
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