Riportare la birra in una dimensione più consona, legata alla terra e alla produzione delle materie prime in una filiera completamente controllata, dal campo alla bottiglia.
Birrificio Baladin, uno dei portabandiera della rivoluzione brassicola in atto, che sta portando l’Italia nel novero delle nazioni “della birra”, con i suoi oltre 350 microbirrifici artigianali sparsi da Nord a Sud, affina ulteriormente il suo progetto, assumendo la denominazione di società agricola. «Finalmente – dichiara Teo Musso, mastro birraio e creatore di Baladin – oggi la birra ha la possibilità di essere considerata prodotto agricolo. Da 5-6 anni portavo avanti un percorso agricolo, lavorare con materie prime italiane, per dare concretezza a un nuovo modo di intendere la birra. Un percorso per certi versi un po’ utopico, ma che per me è il massimo come orgoglio. Io figlio di contadini, sono riuscito a riportare all’agricoltura un prodotto come la birra».
A 360 gradi
Un cambiamento non da poco: si sta attenti al clima, ci si trova a pensare come starà l’orzo durante la giornata, magari quando c’è il gelo. «Per me che da bambino andavo per i campi con i miei parenti è stato un ritorno alle origini».
Dalla produzione alla sperimentazione sino alla vendita: in 25 anni Musso ha messo in piedi un sistema che si occupa di birra a 360 gradi.
Nato nel 1986 con un pub, proseguito 10 anni dopo con la creazione del microbirrificio ha poi ha visto l’instancabile Musso aprire caffè e birrerie (tra cui quella dentro Eataly a New York), riad e locande, e a varare sperimentazioni insolite, come le birre del progetto Cantina Baladin, maturate nelle botti fornite dai 30 più noti produttori di vini pregiati italiani. Oggi il gruppo fattura circa 10 milioni di euro, di cui 2,5 provenienti dal birrificio e 4,5 da Selezione Baladin, la società che si occupa di distribuzione delle birre e di altre specialità.
Un precursore
Tra gli addetti ai lavori Musso è considerato un precursore in fatto di filiera controllata e materie prime a Km zero per le proprie birre: fin dal 2006 ha avviato la sperimentazione per coltivare orzo da malto su 4 ha dei terreni di famiglia a Piozzo (Cn), seguito, l’anno dopo da un altro progetto-pilota avviato in Basilicata. 10 ha che diventano 25 nel 2009 e 68 nel 2011. L’obiettivo è quello di arrivare a 100 ha dedicati all’orzo distico primaverile selezionato per la produzione della birra.
Terreni affittati e coltivati in esclusiva da Birrificio Baladin Società Agricola, mentre la loro conduzione è affidata ad agricoltori integrati nel personale del birrificio.
L’obiettivo è arrivare ad una produzione quanto più possibile “bio” partendo dalla selezione delle sementi. Ne risulta una produzione non intensiva ma qualitativamente e biologicamente superiore. In una stagione buona si ottengono circa 50 q/ha di orzo da maltare.
«Da anni – prosegue Musso – portiamo avanti una filiera coltivando orzo distico in Basilicata, regione scelta per le sue caratteristiche e per la presenza di una delle due malterie italiane che ci permette di lavorarlo in un’ottica di chilometro zero».
Malti speciali
«Certo, in tutti questi anni abbiamo incontrato difficoltà dal punto di vista agronomico e come quantità e qualità del cereale. Oggi l’orzo nazionale copre l’85% del nostro fabbisogno, ma in futuro vogliamo arrivare al 100%, creando una filiera di lavorazione che ci permetta di ottenere malti speciali, quel 15% che ancor oggi acquistiamo all’estero. Il nostro obiettivo vero è creare una micromalteria da 20 q di capacità all’interno del nostro birrificio, così da poter lavorare l’orzo per nostro conto, tenendo sotto controllo diretto tutte le variabili qualitative».
Nel 2011 sono stati raccolte 320 t di orzo, diventate poco più di 200 t (due batch o lotti di maltatura) di malto “pils”, più che sufficienti per gli attuali 9.400 hl prodotti dal birrificio nello stabilimento di Farigliano.
Questo malto è la “base” delle birre Baladin; il processo di maltazione segue dei parametri stabiliti direttamente dal birrificio per soddisfare le esigenze di disgregazione per l’estrazione delle sostanze proteiche. «Per quanto riguarda il luppolo, invece, 4 anni fa sono partito con questo progetto in collaborazione con Tecnogranda, un’azienda che si occupa di ricerche agronomiche. Abbiamo realizzato a Cussanio (Cn) un campo sperimentale di 1 ha dove abbiamo piantato filari di luppolo per fare analisi su tre varietà europee. A distanza di tre anni abbiamo fatto ad agosto il primo raccolto che ci ha permesso di capire come avviare una produzione effettiva, non solo le 10 piante per fare 1.000 litri di birra, ma una filiera produttiva e qualitativamente eccellente». L’impianto prevede una coltivazione diradata, non intensiva che rende la metà di quello che in effetti dovrebbe. In totale sono state piantate 600 piante scegliendo come qualità di piante l’Hallertau Mittelfrüh di origine tedesca. L’impianto ha richiesto pali di 7 metri di altezza di cui due interrati per sostenere la pianta di cui si raccoglie solamente il fiore. Valutati i risultati iniziali, l’obiettivo è di impiantare altri da 5 a 10 ha di coltura intensiva a conduzione diretta, per ottenere i primi frutti nel 2017. Un grande investimento un cui il birrificio crede fermamente. In un primo momento i fiori di luppolo ottenuti verranno trattati in Belgio per trasformarli in “pellet” più pratici per la produzione, con la prospettiva di creare un ciclo di lavorazione completo in Italia in funzione della messa a regime della nuova piantagione.
«Diventare un’azienda agricola non è semplice – spiega Musso – per essere sostenibile il progetto ha bisogno di capacità produttiva, ma riteniamo che sia un passaggio epocale che ci permette di legarci alla materia prima del territorio, un concetto del terroir non così marcato come nel vino, ma che, soprattutto sul luppolo, potrà permetterci di lavorare su una differenziazione geografica del prodotto».
Prodotto nazionale
«Oggi, con la nostra birra NazionAle, vogliamo lanciare un messaggio, portare avanti questo concetto, cercando le zone più adatte per uno sviluppo sostenibile di una filiera di produzione di luppolo, per arrivare ad essere totalmente indipendente sulle materie prime, cereali e luppolo».
Ma l’atteggiamento “autarchico” del Birrificio Baladin comprende tutti gli step produttivi, rivisti anche per essere meno impattanti sull’ambiente. Un impianto depura le acque di lavorazione, per premettere di scaricarle in natura senza alcun inquinante, mentre il grande impianto fotovoltaico rende il birrificio autonomo a livello energetico. A questo si abbina un attento utilizzo del calore generato dai frigoriferi per la conservazione di parte delle materie prime e dei fusti, per scaldare la cella di rifermentazione del prodotto finito e per climatizzare gli ambienti di lavoro.
Per trattare gli scarti solidi di lavorazione, è allo studio, in collaborazione con il Politecnico di Torino, un impianto di generazione di calore che sarà attivato a breve in modo da produrre calore bruciando le trebbie, materia di scarto della lavorazione della birra. Inoltre, queste ultime saranno utilizzate in parte come mangimi per il bestiame mentre una parte, opportunamente selezionata e lavorata, diventerà un ottimo biscotto dolce e salato. Per quest’ultimo progetto si sta realizzando una pressa per disidratare le trebbie e renderle stabili per la lavorazione.