Luppolo, alternativa dal grande potenziale economico

luppolo
Due giovani agronomi emiliani stanno contribuendo alla rinascita della coltivazione del luppolo, ingrediente sempre più richiesto dall'industria della birra e capace di remunerare in maniera adeguata gli imprenditori agricoli

Una coltura molto simile alla vite per ciclo colturale, impianto, lavorazioni e difesa. Un’alternativa che può dare soddisfazioni ad aziende agricole che vogliano diversificare il loro portafogli produttivo, soprattutto in un periodo nel quale i grandi classici dell’agricoltura italiana, come cereali e mais, segnano il passo, con risultati economici scarsi e a volte addirittura negativi. Stiamo parlando del luppolo, pianta appartenente alla famiglia delle Cannabacee, coltivata un po’ in tutto il mondo e fino all’Ottocento anche in Italia. Poi venne abbandonata, ma ora si sta riscoprendo, grazie anche a due giovani imprenditori modenesi che qualche anno fa hanno iniziato la coltivazione in via sperimentale e a un deciso interesse dei birrifici, soprattutto artigianali, per materie prime del territorio.

1. L’idea di due giovani modenesi

Eugenio Pellicciari e Gabriele Zannini

Nata come spin off dell’Università di Parma, Italian Hops Company è la società fondata nel 2014 da Eugenio Pellicciari e Gabriele Zannini, due agronomi che freschi di laurea hanno deciso di puntare sul luppolo, piantando un paio di ettari a Marano sul Panaro, in provincia di Modena. «Mentre frequentavo Agraria all’Università di Parma scoprii da alcune fonti storiche che tra Settecento e Ottocento proprio nella zona di Marano sul Panaro si coltivava il luppolo – racconta Pellicciari – così decisi di buttare giù un progetto per riprendere la coltivazione, coinvolgendo l’ateneo e il Comune. Ottenemmo l’attenzione di entrambi e all’inizio del 2012 mettemmo a dimora il primo campo sperimentale con 70 genotipi autoctoni e 10 di luppoli esteri. Il primo raccolto con le varietà Cascade e Nugget risale al 2015».

2. Come fare per coltivare il luppolo

L’impianto di IHC a Marano sul Panaro

Italian Hops Company offre un servizio di consulenza agli imprenditori agricoli che vogliano cimentarsi con la coltivazione di luppolo, inoltre, possiede un impianto per processare il raccolto, che può essere conferito direttamente dagli agricoltori. «L’importante è che i luppoleti siano non troppo lontani da qui – spiega Eugenio, per non compromettere le caratteristiche del prodotto – mentre se qualcuno volesse realizzare anche gli impianti per la lavorazione e il confezionamento, gli investimenti sarebbero molto ingenti». Difatti è necessario creare poli di essiccamento distanti al massimo una decina di km dai campi per non compromettere la qualità organolettiche dei fiori raccolti.
Oggi sono poco meno di tre gli ettari coltivati da IHC a Marano sul Panaro, ma presto si aggiungeranno cinque ettari di un agricoltore di Campogalliano e entro il 2018 altri due ettari, sempre in zona.
Oltre a coltivare e offrire consulenza tecnica, IHC importa macchine e tecnologie ma si occupa anche di importazione e commercializzazione di luppolo tedesco e statunitense.
«La gestione degli impianti è molto simile a quella dei vigneti – precisa Pellicciari – infatti per un’azienda viticola è più facile avvicinarsi a questo tipo di coltura. Tra marzo e maggio c’è il grosso del lavoro, con potatura e trattamenti vari. Poi ogni anno bisogna aggiungere un filo di crescita per seguire lo sviluppo della pianta. Da giugno si fa solo mantenimento con gestione delle infestanti, a settembre si raccoglie. Le malattie a cui è più sensibile il luppolo sono Peronospora e Oidio».
Attenzione: al di sotto di certe latitudini il luppolo inizia ad avere qualche problema, quindi è una coltivazione non adatta al sud, più che altro per una questione di caratteristiche: con climi caldi si rischia sia troppo amaro. Secondo Pellicciari in Italia il limite oltre il quale non andare è il Lazio, anche se esistono coltivazioni più a meridione.

3. Quanto rende un luppoleto

4. Le macchine

5. Un prodotto sempre più apprezzato

L'interno di un birrificio

Il luppolo è un ingrediente essenziale nella produzione della birra. I birrai lo utilizzano da secoli per donare amaro e aroma alle proprie birre, bilancia la dolcezza del malto – altro ingrediente fondamentale – e aggiunge un bouquet unico. Inoltre, ha qualità conservanti, stabilizza e rafforza la formazione della schiuma. La coltivazione di luppolo commerciale è diffusa in tutti i continenti. Oltre a Stati Uniti, Germania e Cina – primi produttori mondiali - si trovano distretti più o meno sviluppati in Repubblica Ceca, Polonia, Slovenia, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Ucraina, Giappone, Belgio e addirittura in Spagna, Francia e Portogallo. Esistono molte cultivar ed ogni Paese ha le proprie con peculiari caratteristiche in base alle quali vengono suddivise in aromatiche con alta concentrazione di oli essenziali, o amaricanti con alta percentuale di alfa acidi. Grazie alla propria rusticità e alla grande capacità di adattamento questo rampicante si è sviluppato nelle più disparate condizioni evolvendo e diversificandosi. L'Italia non ha campi coltivati commercialmente a luppolo ormai da quasi un secolo, però il numero di produttori di birra sul territorio nazionale è aumentato da una decina nel 1996 agli ottocento di oggi. Questo aumento e il desiderio di utilizzare per la produzione di birra materie prime di produzione locale hanno fatto crescere la domanda, dando ai coltivatori la sicurezza di vendere i raccolti e di farlo a prezzi più che soddisfacenti.
Per approfondimenti si può consultare anche il portale creato dal Crea.

Se sei un agricoltore innovativo e vuoi raccontarci la tua storia scrivi a: simone.martarello@newbusinessmedia.it

Luppolo, alternativa dal grande potenziale economico - Ultima modifica: 2017-11-20T16:23:43+01:00 da Simone Martarello

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