Glifosate sì, glifosate no. L'attenzione mediatica a cui l'agrofarmaco è sottoposto da qualche tempo e il recente decreto del ministero della Salute che revoca l'autorizzazione all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari contenenti glifosato con il coformulante Ammina di sego polietossilata (n. CAS 61791- 26-2) a partire dal 22 novembre 2016 e il loro impiego a partire dal 22 febbraio 2017, spingono a fare qualche riflessione e a chiedersi se sia possibile sostituire il prodotto con altri, oppure adottare tecniche agronomiche che ne rendano meno indispensabile l'uso.
A sgombrare il campo da ogni dubbio ci pensa Aldo Ferrero, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee all’Università di Torino, che abbiamo interpellato per capire come la ricerca si sta muovendo sul fronte della gestione delle malerbe, questione particolarmente delicata quando si pratica l’agricoltura conservativa e in particolare la semina su sodo. «Per ora non esiste una valida alternativa al glifosate - afferma il docente - questo è un grosso problema soprattutto per l'agricoltura conservativa. Abbiamo prodotti che gestiscono le graminacee, altri disseccanti, ma nessuno capace di agire su tutte le infestanti insieme in modo definitivo. L’acido pelargonico è una soluzione che dà meno problemi dal punto di vista ambientale, ma servono dosi molto elevate perché sia efficace (150-170 litri/ha) e i costi sono nettamente superiori al glifosate».
Alternare le lavorazioni
Ferrero abbozza una possibilità per tenere a bada le malerbe nei campi non sottoposti ad aratura, cioè una gestione variabile dei terreni: «La non lavorazione dovrebbe durare massimo due anni, poi si dovrebbero alternare due anni di minimum tillage e poi di nuovo la non lavorazione, così da poter controllare meglio soprattutto le infestanti poliennali o perennanti. La minima lavorazione – continua il docente – è anche in grado di garantire un maggior equilibrio tra le malerbe, cioè diversità di specie e un numero contenuto di individui, mentre il no tillage tende a far sparire alcune tipologie a scapito di altre che poi diventano più numerose e coriacee da combattere».
A questo proposito, in Piemonte è stato fatto uno studio di 16 anni con l'alternanza tra lavorazioni: per 4 anni si è praticato il minimum tillage, per i successivi 4 la non lavorazione e per altri 4 di nuovo la minima. I risultati hanno mostrato che il minimum tillage è il compromesso migliore per la gestione delle infestanti, proprio perché mantiene l'equilibrio descritto da Ferrero.