Il tema della distribuzione dei prodotti fitosanitari si è imposto all’attenzione dell’opinione pubblica a causa dell’elevato impatto ambientale che questa operazione comporta quando viene eseguita senza le dovute attenzioni. In Italia si registra ogni anno un elevatissimo consumo di mezzi chimici per la difesa delle colture: secondo l’Istat, nel 2013 sono state impiegate oltre 118.000 t di prodotti, oltre la metà dei quali nelle regioni settentrionali.
Un quantitativo così elevato deve far riflettere, in particolare considerando che la distribuzione dei prodotti fitosanitari sulle colture è un processo decisamente poco efficiente: durante un trattamento effettuato con macchine e tecniche tradizionali, che sono ancora le più diffuse nella frutticoltura italiana, raramente la quantità di prodotto effettivamente depositato nella vegetazione supera la metà di quanto distribuito, mentre si assiste a dispersioni che possono superare l’85-90% nei trattamenti al bruno o nelle prime fasi vegetative della coltura all’inizio della stagione primaverile (fig. 1).
Fig. 1 - Nei trattamenti alle colture frutticole e viticole la dispersione per deriva dei prodotti fitosanitari supera quasi sempre la metà di quanto distribuito.
Una così scarsa efficienza dipende quasi completamente sia dalla diffusa inadeguatezza (almeno in rapporto alla realtà operativa) delle attrezzature, sia da metodi e tecniche di distribuzione scorrette. Dal punto di vista delle macchine, oltre all’età media elevata del parco circolante, si osservano frequenti carenze nello stato di manutenzione e, soprattutto, regolazioni quasi sempre inaccurate.
Questo argomento, di grande importanza nell’ambito della sostenibilità della difesa fitosanitaria, è uno degli ambiti di applicazione della normativa europea contenuta nella Direttiva 128 sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari del 2009, recepita in Italia a seguito dell’approvazione del DL 150 del 2012 e successivo Piano di Azione Nazionale, entrato in vigore nel febbraio 2014. Tale quadro normativo viene a colmare una grave carenza legislativa in materia di agrofarmaci relativamente al controllo della fase della distribuzione, che è di fatto quella più delicata dal punto di vista dell’inquinamento ambientale. La nuova legislazione introduce l’obbligo di importanti adempimenti per gli utilizzatori professionali di attrezzature per la distribuzione di prodotti fitosanitari, in particolare per quanto riguarda il rispetto delle aree sensibili, i controlli funzionali periodici, l’obbligo per gli operatori di acquisire una specifica formazione per essere in grado di effettuare le previste operazioni di regolazione e manutenzione.
Considerando le condizioni del parco macchine circolante, caratterizzato da un gran numero di mezzi obsoleti e inadeguati ai requisiti di attenzione all’ambiente imposti dalle nuove regole, l’obbligo dell’ispezione periodica potrebbe verosimilmente indurre nei prossimi anni un’accelerazione del loro rinnovamento. Tuttavia, anche con macchine datate non è impossibile ottenere sensibili miglioramenti nell’efficienza della distribuzione e nella riduzione dell’inquinamento, spesso anche solo con un’accurata regolazione ed eventualmente con la semplice sostituzione degli ugelli e alcune modifiche al ventilatore degli atomizzatori.
Il problema della deriva
La deriva è convenzionalmente definita come “il movimento del fitofarmaco nell’atmosfera dall’area trattata verso qualsivoglia sito non bersaglio, nel momento in cui viene operata la distribuzione” (Iso 22866), intendendo quindi la frazione di miscela erogata dall’irroratrice che non viene intercettata dalla coltura e viene dispersa nell’ambiente circostante, sia per trasporto a distanza da parte del vento, sia nelle vicinanze dell’area trattata per caduta a terra. Con particolare riferimento alla distribuzione su colture sviluppate in volume come i frutteti, la deriva trae origine sostanzialmente dalla necessità di portare la miscela fitoiatrica sulla parte apicale della vegetazione irrorando le piante dal basso verso l’alto. In questo modo, inevitabilmente, una quantità più o meno elevata di liquido oltrepassa la sommità della vegetazione finendo dispersa nell’aria.
Il problema risulta davvero evidente nei trattamenti su vigneto o frutteto, dove la quota di liquido trattenuto dalla vegetazione raramente raggiunge il 50%, mentre spesso avviene che solo il 15-30% di quanto distribuito raggiunga la coltura. In questo modo, oltre la metà del prodotto fitosanitario distribuito finisce a terra, direttamente per una quota del 30-40%, a seguito di ricaduta per deriva (il cosiddetto “fall-out”) la restante parte.
Per ottenere una riduzione del rischio di deriva è fondamentale conoscere i meccanismi coinvolti nella genesi del fenomeno, in modo da intervenire opportunamente sui parametri operativi del trattamento:
- la quantità di miscela distribuita per unità di superficie (volume) e qualità della polverizzazione;
- il trasporto delle gocce sul bersaglio, ad opera dell’energia cinetica o della corrente d’aria a seconda del tipo di irrorazione
Volume e polverizzazione
Per quanto riguarda il volume, la scelta della quantità di miscela da distribuire deve necessariamente essere commisurata allo sviluppo della vegetazione da trattare: un volume eccessivo provoca un aumento delle perdite a terra per gocciolamento, mentre se è troppo basso può comportare una copertura insufficiente. Il volume è poi strettamente legato alla polverizzazione, che è il primo dei fattori operativi da valutare.
La formazione della deriva, infatti, dipende sempre dall’emissione da parte delle macchine di una nube di goccioline molto fini che, una volta rilasciate nell’atmosfera, a causa della loro limitata velocità di caduta, sono soggette ad essere trasportate dal vento a distanze che possono raggiungere centinaia di metri dal punto di emissione. Ciò comporta la necessità di evitare la produzione di gocce troppo fini, ma senza eccedere nella direzione opposta con gocce troppo grandi. La dimensione delle gocce, infatti, influenza anche il modo con cui esse impattano sulla foglia: le gocce più fini rimbalzano o scivolano sulla lamina d’aria che le trasporta senza essere trattenute, quelle di medie dimensioni aderiscono alla superficie della foglia, quelle più grandi rotolano sulla superficie inclinata e cadono a terra dilavando la lamina fogliare (fig. 2).
La polverizzazione ottimale dipende sostanzialmente dal tipo di bagnatura che si vuole effettuare, in base al meccanismo di azione della sostanza attiva: i prodotti sistemici possono essere applicati con una copertura meno uniforme e continua (irrorazione “bagnante”) rispetto a quelli di contatto; a loro volta, per questi ultimi è importante la copertura (irrorazione “coprente”), quindi la scelta della polverizzazione dipende dal volume e dal numero di goccioline per unità di superficie del bersaglio (fig. 3).
A parità di volume, gocce più piccole consentono di coprire una superficie maggiore, ma sono soggette a deriva, mentre gocce più grandi sono meno facilmente trasportate dal vento, però coprono una superficie minore (fig. 4).
La scelta dovrà quindi tener conto di queste tendenze contrastanti, adottando una soluzione di compromesso che, in genere, si concretizza nella scelta di ugelli caratterizzati dalla produzione di gocce di medie dimensioni a pressioni ridotte. Sintetizzando, nel caso di sostanze attive che agiscono per contatto e che richiedono quindi una buona copertura del bersaglio vanno assicurati 70÷100 impatti/cm2, con dimensioni delle gocce di 300÷400 µm (micron, millesimi di millimetro); per i formulati traslocabili all’interno della pianta, per i quali è meno importante la completa copertura del bersaglio, sono sufficienti 30÷40 impatti/cm2 con dimensione delle gocce di 400÷600 µm. Dunque, volume e polverizzazione sono le prime scelte da compiere per una corretta regolazione.
La ricerca ha ormai ampiamente dimostrato l’opportunità di ridurre i volumi abitualmente in uso, che non di rado superano i 1.500 l/ha in frutteto e 1.000 in vigneto. Tuttavia, data la necessità di evitare la polverizzazione troppo fine e quindi dovendo ricorrere a gocce piuttosto grandi, per garantire la copertura non è il caso di eccedere nella riduzione del volume. Esistono metodi per la scelta del volume basati sullo sviluppo in volume della coltura, come ad esempio il metodo “Tree Row Volume” (TRV), che si basa sulla misurazione approssimativa del volume della vegetazione presente su un ettaro dosando il liquido in base a questo, nella misura di circa 30-40 litri di miscela ogni 1.000 m3 di chioma; per un frutteto di medio sviluppo ciò si traduce in circa 300-400 l/ha (fig. 5).
Quantitativi questi che li fanno attribuire alla categoria “basso volume”.
Il ruolo dell’aria
L’altro parametro operativo fondamentale per una corretta irrorazione in frutticoltura è la produzione dell’aria, dalla quale dipende il trasporto delle gocce nella vegetazione e, di conseguenza, la loro penetrazione entro gli strati fogliari. La dinamica dell’aria nella vegetazione è quasi interamente responsabile della riuscita del trattamento e le possibilità di intervenire su di essa sono legate alle caratteristiche costruttive della macchina. Ormai da diversi anni il mercato mette a disposizione diverse tipologie di atomizzatori che consentono di direzionare e frazionare efficacemente il getto d’aria nei confronti della parete vegetativa: maggiori sono le possibilità di intervenire in tal senso, più efficiente ed efficace risulterà il trattamento.
Gli atomizzatori più semplici sono tuttora equipaggiati con semplici ventilatori assiali che producono un getto avente una grande portata, fino a 70.000 m3/h con una velocità di uscita relativamente bassa, indicativamente fino a 40 m/s; i ventilatori radiali montati sulle macchine pneumatiche, invece, hanno caratteristiche opposte: essi generano una corrente d’aria ad alta velocità (fino a 150 m/s) con una portata piuttosto bassa, intorno ai 10.000–15.000 m3/h (in realtà, la portata effettiva sulla chioma è superiore a causa del richiamo di aria dall’ambiente che si verifica quando il getto esce ad alta velocità dai diffusori).
Indicativamente, il fabbisogno d’aria di un frutteto in condizioni colturali medie si può quantificare in 28.000–32.000 m3/ora, quindi un ventilatore da 800 mm di diametro, che può arrivare a erogare oltre 40.000 m3/ora, è più che sufficiente.
Oltre alla portata dell’aria è ancora più importante la possibilità di dirigere i flussi adeguando la distribuzione al profilo della chioma (il cosiddetto “getto mirato”). Sotto questo aspetto gli atomizzatori tradizionali mostrano i loro limiti, in quanto offrono pochissime o nulle possibilità di intervenire sulla direzione dei flussi d’aria, mentre per le forme di allevamento a parete tipiche dei frutteti la scelta è molteplice, tra atomizzatori aeroassistiti munite di diffusori laterali variamente conformati, le cosiddette “torri antideriva” (fig. 6),
e macchine a polverizzazione idraulica o pneumatica con ventilatore centrifugo da cui si dipartono tubi, rigidi o flessibili, che permettono il posizionamento degli erogatori in prossimità della vegetazione di erogatori terminali in cui sono alloggiati i diffusori o gli ugelli (fig. 7).
In tutti i casi, il principio è quello di ridurre la quota di “aria inutile” avvicinando e frazionando il getto in rapporto alla chioma per minimizzare la quota di nebulizzato oltre i limiti della parete vegetale (fig. 8).
Per quanto riguarda la velocità di lavoro ottimale, dipende ovviamente dallo sviluppo vegetativo della chioma in relazione alla portata erogabile dal ventilatore. Idealmente l’aria satura di gocce prodotta dall’atomizzatore deve saturare la massa vegetale, depositandovi il fitofarmaco senza oltrepassare il filare. Normalmente ciò si ottiene facilmente lavorando a velocità intorno a 5-6 km/h; solo in presenza di chiome molto dense e sviluppate da trattare con irroratrici pneumatiche, meno performanti in termini di portata d’aria, potrà essere necessario ridurre la velocità di lavoro per consentire al getto di penetrare efficacemente la vegetazione.
La regolazione
Stabiliti tutti i parametri operativi necessari, è possibile procedere alla regolazione vera e propria; nel caso di irroratrici a polverizzazione pneumatica si dovrà semplicemente regolare la portata dei diffusori in accordo con le indicazioni del manuale di uso della macchina, mentre per gli atomizzatori occorre conoscere alcune informazioni sulla funzionalità degli ugelli. Innanzitutto, va tenuto presente che la portata (ossia la quantità di liquido che passa per l’ugello in un minuto) dipende dalle dimensioni dell’orifizio e dalla pressione, ma la variazione di quest’ultima agisce sulla portata in modo non proporzionale. In termini pratici, per raddoppiare la portata occorre aumentare la pressione di quattro volte e ciò ha importanti conseguenze sulla polverizzazione, che vede aumentare la quantità di gocce fini. Per questo motivo è importante scegliere il giusto campo di funzionamento degli ugelli.
Consideriamo un atomizzatore che deve trattare un frutteto con interfila di 2,7 m distribuendo 400 l/ha ad una velocità di 6 km/h e usando in totale 12 ugelli. La formula da usare per il calcolo della portata è semplice:
V · v · L
q =
600 · n
dove: q = portata dell’ugello (l/min); V = volume (l/ha); v = velocità (km/h); L = larghezza dell’interfila; n = numero di ugelli aperti.
Inserendo i dati nella formula, la portata richiesta q risulta (fig. 9):
q = (400 · 6 · 2,70) / (600 · 12) = 0,9 l/min
Consultando le tabelle tecniche, si osserva che tale portata si può ottenere con i seguenti ugelli: Iso giallo (110-02) a 4 bar; Iso verde (110-015) a 7 bar; Iso arancio (110-01) a 16 bar (fig. 10).
A parità di portata espressa, cambia in modo rilevante la qualità della polverizzazione. L’ugello arancio va scartato per la pressione eccessiva; tra le altre due alternative, nel caso di un trattamento con un prodotto ad azione sistemica si potrà optare per la prima soluzione, meno problematica anche dal punto di vista della deriva, mentre se si usa un prodotto di contatto è senz’altro più adatto l’ugello verde a 7 bar, che garantisce una polverizzazione soddisfacente per una buona copertura. Si può eventualmente ricorrere agli ugelli antideriva a cono, eventualmente aumentando leggermente il volume per maggior sicurezza in caso di densità fogliare elevata.
*Università di Padova
L’articolo è tratto dalla rivista Frutticoltura n. 3/2016