Le varietà antiche e moderne di grano duro hanno la stessa capacità di entrare in simbiosi con i microrganismi benefici del suolo per estrarre grandi quantità di nutrienti minerali fondamentali per la loro crescita, primi tra tutti fosforo e azoto. È quanto emerge da uno studio pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature, e condotto dai microbiologi agrari dell'Università di Pisa e del Cnr, coordinati da Manuela Giovannetti, e dai genetisti del Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, coordinati da Pasquale De Vita e Luigi Cattivelli.
Selezioni ininfluenti per il "metabolismo"
La ricerca, condotta su 108 diverse varietà di grano duro sia antiche che moderne, ha dimostrato per la prima volta, spiega una nota dell'ateneo pisano, che le ripetute selezioni a cui il grano duro è andato incontro nel corso degli anni, mirate a ottenere varietà più produttive e a taglia ridotta, non hanno provocato effetti negativi sulla sua capacità di entrare in simbiosi con particolari microrganismi benefici attraverso i quali le piante si assicurano il nutrimento dal terreno: i ricercatori hanno infatti verificato che i geni responsabili della riduzione della taglia e associati all'aumento del raccolto nelle moderne varietà di grano, non interferiscono con lo sviluppo della simbiosi.
Un contributo per l'agricoltura sostenibile
La collaborazione tra genetisti e microbiologi ha inoltre permesso di individuare alcuni marcatori genetici, presenti in diversi cromosomi, coinvolti nei cambiamenti fisiologici che avvengono nella pianta durante lo sviluppo della simbiosi. «La mappatura dei tratti genetici associati alla simbiosi micorrizica, individuati per la prima volta nel grano duro - sottolinea Manuela Giovannetti - potrà permettere la selezione di piante altamente suscettibili alla simbiosi, da impiegare in agricoltura sostenibile, e migliorare la comprensione delle relazioni tra caratteri fenotipici e genetici in questa importante pianta alimentare».