La viticoltura moderna fa ampio ricorso ai prodotti fitosanitari per la protezione delle piante da organismi dannosi e, in particolare, dalle principali malattie, peronospora, oidio e muffa grigia. Per i patogeni che causano queste malattie (rispettivamente Plasmopara viticola, Erysiphe necator e Botrytis cinerea) si eseguono ogni anno numerosi trattamenti fungicidi, spesso in modo tale da garantire una costante protezione del vigneto, anche in periodi in cui non c’è un reale rischio d’infezione. Le modalità d’impiego dei fungicidi, le loro quantità e i mezzi di distribuzione utilizzati, non sempre garantiscono una sufficiente protezione della salute degli operatori agricoli e dei consumatori, dell’ambiente e della biodiversità. Quindi è sempre più necessario mettere a disposizione degli operatori viticoli conoscenze e strumenti per implementare una viticoltura più sostenibile, in termini economici, sociali e ambientali.
Le nuove regole per la difesa delle colture
Le normative comunitarie, e in particolare la Direttiva 2009/128/CE sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, introducono l’obbligo di attuare una difesa integrata delle colture. A livello nazionale, il Piano d’Azione Nazionale indica gli strumenti con cui perseguirla. Tra questi, un ruolo importante è occupato dall’uso di varietà resistenti alle malattie. In viticoltura, i genotipi resistenti provengono da lunghi lavori di ibridazione di viti selvatiche americane e asiatiche con varietà di Vitis vinifera, che mirano a ottenere viti che uniscano le caratteristiche di resistenza alle principali malattie della vite ereditate dalle varietà selvatiche e gli elevati standard agronomici e qualitativi ereditati dalla V. vinifera. La resistenza a peronospora e oidio di questi nuovi genotipi è conferita da geni situati in diverse parti del genoma, denominati Rpv (Resistance to Plasmopara viticola) o Ren (Resistance to Erysiphe necator), a seconda che siano coinvolti, rispettivamente, nelle risposte all’infezione di peronospora e odio.
Alcuni di questi genotipi resistenti sono oggi iscritti nel Registro Nazionale delle varietà coltivate come “ibridi”, di cui è ammessa la coltivazione in via sperimentale sul territorio nazionale. Solo in Friuli Venezia Giulia e in Veneto ne è consentita la coltivazione per produrre uve e vini da tavola Igt. Non è invece ancora consentita la produzione di vini Doc e Docg. In altri Stati europei, al contrario, questi genotipi sono ammessi alla coltivazione per la produzione di vini di qualità, rendendo vantaggi ai produttori, ai consumatori e all’ambiente. L’impiego di questi genotipi su larga scala richiede comunque che siano approfonditi alcuni aspetti. In primo luogo, seppur resistenti a peronospora e oidio, questi genotipi necessitano di essere protetti con fungicidi. Rimane da capire quali criteri debbano essere usati nella scelta dei periodi d’intervento e dei prodotti da usare. Inoltre, resta da accertare la durabilità di queste resistenze, poiché è possibile che le popolazioni dei patogeni si adattino e riescano a superarle.
Un approccio innovativo per la ricerca
Il Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali Sostenibili (Diproves), dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza sta studiando questi aspetti nell’ambito del progetto europeo InnoVine (progetto collaborativo europeo che ha ricevuto finanziamenti dal FP7 dell’Unione europea per la ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione con la convenzione di sovvenzione n° 311775) nell’ambito dei programmi di Knowledge Based Bio-Economy. Il progetto coinvolge 27 partner di 7 Stati europei e mira a sostenere la viticoltura in un’ottica di cambiamento degli scenari, non solo climatici, e di sostenibilità. La valutazione della resistenza di questi genotipi è solitamente espressa, a livello fenotipico, basandosi esclusivamente sull’osservazione delle macchie di peronospora o oidio visibili sui tessuti infetti, attribuendo un “grado di resistenza” in base all’estensione dei sintomi di malattia e della fruttificazione del patogeno, secondo alcuni semplici descrittori predisposti dall’OIV (1: molto debole; 3: debole; 5: medio; 7: elevato; 9: molto elevato).
Il lavoro svolto dal Diproves segue un approccio innovativo, volto a studiare la resistenza alle malattie in maniera analitica, distinguendo cioè le varie componenti che caratterizzano un’infezione, quali: i) efficienza d’infezione delle spore; ii) durata dei periodi d’incubazione e di latenza, che rappresentano l’arco di tempo che intercorre tra l’infezione e, rispettivamente, la comparsa dei sintomi e l’evasione del patogeno; iii) l’intensità della sporulazione, sia contando il numero di sporangi o conidi (a seconda che si tratti di peronospora o oidio) al microscopio sia attribuendo un valore da 1 a 9 secondo i descrittori OIV; iv) l’infettività delle spore prodotte sulle varietà resistenti, re-inoculandole su una varietà sensibile; v) il periodo infettivo, ovvero l’arco di tempo durante il quale una lesione continua a produrre spore. Queste componenti di resistenza vengono valutate mediate esperimenti monociclici in condizioni controllate, con l’inoculazione dei patogeni su dischi fogliari e su porzioni di grappolo, in diverse fasi fenologiche della vite. Lo studio dettagliato delle singole componenti di resistenza permette di meglio caratterizzare i genotipi, comprendere i meccanismi della resistenza e il loro controllo genetico.
I risultati e la loro utilità
I risultati ottenuti hanno finora evidenziato: i) differenze significative nell’espressione delle componenti di resistenza nelle diverse varietà resistenti e in confronto con Merlot, varietà sensibile a peronospora e oidio; ii) variazioni della resistenza in rapporto alle fasi fenologiche della vite (la resistenza sembrerebbe maggiormente espressa dalle piante in fioritura); iii) non pare esistere una stretta relazione tra varietà con gli stessi loci per la resistenza e la risposta fenotipica per le varie componenti di resistenza.
I risultati della ricerca condotta dal Diproves permetteranno anche di gestire al meglio la difesa fitosanitaria delle varietà resistenti. Le varie componenti di resistenza, infatti, sono state inserite in modelli matematici capaci di seguire il susseguirsi dei cicli infettivi e l’andamento delle epidemie sui singoli genotipi resistenti. Ciò consentirà d’individuare i momenti di rischio infettivo per ciascun genotipo e, quindi, di programmare l’intervento con fungicidi per ciascun genotipo in ogni situazione colturale.
*Studente Ph.D. presso la scuola di Dottorato Agrisystem presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza
** Professore ordinario di Patologia Vegetale presso la Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza