Inoculando nelle radici delle barbatelle un mix di microrganismi benefici si possono aiutare le viti a sopportare gli stress idrici sempre più frequenti a cui sono sottoposte per via del climate change? Questa la domanda a cui sta tentando di rispondere il progetto di ricerca “Strategie per il miglioramento della produzione di vitigni autoctonidell’Oltrepò Pavese in condizioni di stress idrico: sperimentazione in campo con microrganismi promotori di crescita radicale su un vigneto di nuovo impianto” in corso tra i filari della tenuta Le Fracce di Casteggio (PV).
La ricerca è finanziata dalla Fondazione Bussolera Branca. A portarla avanti è un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente (DeFNS) dell’Università degli Studi di Milano, coordinati da Sara Borin (docente di Microbiologia ambientale all’Università di Milano) e coadiuvati dall’enologo della tenuta Le Fracce Roberto Gerbino.
Microrganismi, un'idea che parte da lontano
L’utilizzo di microrganismi benefici è un sistema consolidato da decenni in agricoltura, soprattutto per le leguminose. La ricerca scientifica ha dimostrato che i microrganismi vengono richiamati dalla pianta, attraverso l’apparato radicale. Il microbioma contiene microrganismi in grado di esercitare un effetto benefico sulla crescita e stato di salute della pianta ospite, anche in condizioni di stress. Una sperimentazione condotta tra 2010 e 2011 da ricercatori dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con la Fondazione Bussolera Branca e la Tenuta Le Fracce, ha evidenziato che batteri opportunamente selezionati nei vigneti dell’azienda sono in grado di promuovere la crescita della vite coltivata in serra in condizioni controllate di carenza idrica. Tale ricerca è stata presentata alla comunità scientifica internazionale in congressi e pubblicazioni, quali il Congresso mondiale dell’ OIV, World Congress of Vine and Wine, tenutosi a Izmir in Turchia nel giugno 2012.
Dal laboratorio ai filari
Ma la pratica è diversa dalla teoria, quindi Fondazione e DeFNS hanno deciso di procedere con la messa in campo di barbatelle di vite della varietà Chardonnay e Pinot nero su una superficie di 1,5 ettari nei vigneti dell’Oltrepò Pavese. In tutto si tratta di 70 filari, di cui 58 trattati e 12 non trattati. Alle radici delle piantine prima del trapianto è stato applicato il ceppo batterico risultato migliore nella precedente sperimentazione, al fine di valutarne l’effetto benefico in scala reale di campo sulla crescita, la produttività e la qualità del vino. Le barbatelle sono state piantate nel 2018 e quest’anno saranno disponibili i risultati del primo raccolto di uva.
«I ricercatori hanno selezionato e isolato i microrganismi già presenti nei suoli dei vigneti della Fondazione Branca, individuandoli vicino alle vigne che nel tempo hanno mostrato più resistenza alla carenza di acqua – spiega la professoressa Borin – per dare alle viti oggetto dello studio quella carica in più i microrganismi selezionati sono stati inoculati nelle radici delle barbatelle tenendole a bagno per un certo numero di ore in una soluzione ad alta concentrazione di batteri prima di essere piantate. Quello che i ricercatori stanno cercando di capire – precisa Borin – è se questi microrganismi sono stati in grado di adattarsi a una situazione nuova: cioè se sono riusciti a colonizzare la radice delle viti e sono stati in grado di sopravvivere in un ambiente dove sono presenti in una concentrazione più alta rispetto a quella naturale. Finora in laboratorio i risultati sono stati buoni – conclude la docente – ora i ricercatori stanno raccogliendo campioni di suolo intorno alle radici delle piante (rizosfera), sia in piante trattate che non trattate, per cogliere le differenze. Il comportamento delle piante aiuterà a rispondere a queste domande».
Stress idrici, primi segnali incoraggianti
«A occhio nudo lo scorso anno ho già colto qualche differenza tra le viti trattate e quelle non trattate – rivela Roberto Gerbino – l’estate 2019 è stata molto siccitosa, quindi diciamo che si è creata una situazione ideale per la sperimentazione che stiamo facendo. Posso dire che le viti trattate hanno mostrato un’attività di crescita regolare, cioè non c’è stato un rallentamento. Nel 2019 le viti non erano ancora impalcate, c’era solo lo sviluppo verticale, mentre oggi abbiamo fatto l’archetto sul 90% delle piante».
Nell'autunno 2020 ci sarà la prima vendemmia quindi anche un ulteriore stress per la pianta perché subirà l’asporto dei grappoli. I prossimi mesi saranno decisivi per lo studio perché i ricercatori andranno a valutare non solo lo stato vegetativo della pianta ma anche le caratteristiche dell’uva. Saranno quindi in grado di dire se l’uva delle piante trattate è migliore, uguale o peggiore di quella delle viti che non hanno subito l’inoculo.
«Chiederò che il progetto prosegua oltre il 2021 – confessa Gerbino – perché le viti raggiungono una certa stabilità agronomica dopo tre-quattro anni, quindi bisogna monitorare il comportamento delle piante e le caratteristiche dell’uva per qualche anno».
Nel vigneto sperimentale sono stati installati sensori per il rilevamento di importanti parametri ambientali, quali l’andamento stagionale di umidità e temperatura nel suolo, al fine di garantirne il monitoraggio e l’acquisizione di dati integrativi alle analisi.