La semina diretta su sodo, introdotta nei nostri areali da circa una quindicina di anni, si è dimostrata una metodologia di semina più rispondente all’obiettivo di contenimento dei costi e di aumento del dominio di superfici da seminare, nella finestra temporale idonea, rispetto alla semina convenzionale su terreno lavorato. Queste peculiarità ne hanno permesso un’ampia diffusione nell’ultimo decennio, il cui utilizzo ha, però, talvolta evidenziato dei limiti di resa produttiva rispetto alle semine tradizionali. Con la semina diretta, infatti, il successo produttivo è subordinato alla qualità della struttura del terreno che, se compromessa da compattamenti e/o ristagni, non ottiene le rese auspicate, ottenibili in condizioni di terreno idonee.
Purtroppo le condizioni del terreno ottimali non è sempre possibile riscontrarle, in quanto conseguenti alla esecuzione delle operazioni colturali precedenti che, specialmente per le raccolte, a volte devono essere forzatamente eseguite anche con terreno bagnato. Pertanto, di sovente, anche nelle aziende preparate alla gestione delle semine dirette si riscontra la necessità di ripristinare la struttura di terreni la cui pianificazione colturale invece avrebbe previsto la semina su sodo. In questa situazione la lavorazione profonda del terreno, che ripristina le condizioni di struttura agronomicamente idonee, rappresenta il primo passo di un percorso che se condotto correttamente per l’intero, evita debacle produttive, ponendo le basi per l’ottenimento della resa auspicata. La preparazione di un buon letto di semina, caratterizzato da zolle che ospitano il seme di dimensione più contenute rispetto a quelle ottenute con l’aratura e/o estirpatura profonda, rappresenta il secondo passo del percorso. Teoricamente l’affinamento delle zolle di aratura si può ottenere anche durante le operazioni di semina eseguite con seminatrice combinata dotata di erpice rotante che precede gli elementi di semina, oppure più diffusamente con un’operazione estiva di sgrossatura determinata da erpice a dischi trainato. La diffusione di quest’ultima metodica è motivata dal fatto che l’operazione di sgrossatura è veloce, in quanto il cantiere di lavoro esprime produttività di circa oltre 5-6 ha/ora, viene eseguita con terreno asciutto e soprattutto migliora significativamente la produttività oraria della seminatrice combinata che in autunno eseguirà le semine.
L’arco temporale utile alle semine autunnali negli ultimi anni risulta sempre più stretto e seguito da stagionalità particolarmente avverse alle operazioni colturali, fino a impedire in alcuni areali la semina medesima. Pertanto, la produttività oraria e conseguentemente il dominio di ampie superfici del cantiere di semina, in tempi sempre più stretti, rappresenta una salvaguardia a questo fenomeno sempre più frequente.
FILOSOFIA PROGETTUALE
L’idea di combinare tout-court a una seminatrice tradizionale degli organi lavoranti il terreno che preparano il letto di semina non è nuova, ma l’evoluzione dell’idea originaria è particolarmente interessante. Alcuni costruttori, infatti, hanno studiato l’implementazione dei cantieri di semina con caratteristiche innovative e particolarmente utili a soddisfare i bisogni di qualità di semina e produttività del cantiere a costi sostenibili in un contesto di pianificazione di resa della produzione medio-alta. È evidente, infatti, lo sforzo progettuale del costruttore che ha contemplato la possibile attenuazione delle maggiori criticità agronomiche e operative innovando gli elementi tecnici della seminatrice rispetto al mero accoppiamento di un erpice e una seminatrice flangiati assieme.
Semplificazioni operative, precisione e posa del seme in un substrato idoneo, diminuzione dei compattamenti, polifunzionalità di molti componenti utilizzabili in altre e ulteriori attività aziendali sono i principali elementi che portano qualità del lavoro ed economia di esercizio in un contesto di attività ove la semina tradizionale e/o diretta non assicurano il risultato.
CARATTERISTICHE TECNOLOGICHE
Le dimensioni del fronte di lavoro che arrivano sino a 5 m contribuiscono ad assicurare performance produttive congrue ai bisogni descritti. È ovvio che proporzionalmente al fronte si richiedono idonee potenze, assorbite principalmente dall’erpice rotante deputato ad affinare il letto di semina, partendo dal grado di zollosità del terreno in essere al momento della operazione. È pertanto immaginabile che quest’ultimo fattore rappresenta il principale elemento condizionante la produttività oraria del cantiere. Infatti, le caratteristiche tecnologiche degli elementi di semina con distribuzione pneumatica non pongono limiti alla produttività, così come la capacità della tramoggia (fino a 10-12 q) contiene i fermi per i riempimenti necessari ogni 5-6 ettari circa.
La dislocazione della tramoggia del seme anteriormente alla trattrice determina una migliore ripartizione dei pesi del cantiere, rispetto a quanto avviene con tramoggia sulla seminatrice che aggrava ulteriormente il carico sull’asse posteriore. Non dimentichiamo che in questa ultima configurazione il complesso erpice rotante – elementi di semina – tramoggia, determina una sommatoria di pesi che in circolazione su strada richiede un’indispensabile e congrua zavorratura anteriore. Nella configurazione moderna la zavorra anteriore viene sostituita dalla tramoggia che controbilancia un posteriore sgravato dalla medesima, oltre a facilitare e velocizzare le operazioni di carico. Possiamo quindi considerare di utilizzare trattrici con peso significativamente inferiore a quanto richiesto dalla configurazione tradizionale, a tutto vantaggio del minore compattamento. Le performance produttive giornaliere del cantiere su scala reale ricevono contributi anche da ulteriori elementi derivati dal layout progettuale nel suo insieme che integrano il fattore ampiezza del fronte di lavoro. Ai fini della circolazione stradale necessaria ai trasferimenti, infatti, i tempi di approntamento sono modesti, in quanto gli ingombri si riducono grazie alla chiusura degli erpici e degli elementi di semina. L’operatore, senza scendere dalla cabina, effettua l’operazione di traslazione degli organi dalla posizione orizzontale a quella verticale, facendoli rientrare, come la tramoggia anteriore, nelle dimensioni della trattrice e permettendo transiti stradali senza l’ausilio della scorta tecnica. Il riempimento della tramoggia anteriore posta a un’altezza inferiore di quanto non avviene per quelle allocate posteriormente, permette il riempimento anche con seme sfuso su rimorchi senza l’ausilio di coclee indispensabili per altezze superiori. A fine campo, con la seminatrice combinata accoppiata al sollevatore che la alza integralmente dal terreno, all’operatore è permesso di effettuare manovre strette, veloci e soprattutto di procedere affiancando “alla pari” le passate di semina evitando i tempi improduttivi dei percorsi a bordo campo.
ULTERIORI EVOLUZIONI
Nei contesti ove le performance produttive e i domini di superfici descritti non risultassero sufficienti (vedi aree estensive del Nord-Est Europa o similari), l’indispensabile ulteriore aumento del fronte di lavoro sarebbe difficilmente compatibile con la tipologia descritta. Non sarebbero, infatti, tecnicamente percorribili, viste le masse e gli ingombri in gioco, soluzioni portate al sollevatore.
Pertanto, alcuni costruttori hanno iniziato a produrre seminatrici semiportatetrainate dotate di telaio e ruote che permettano di aumentare il fronte di lavoro. Queste soluzioni aumentano significativamente il fronte di lavoro fino a circa 6-8 m e generalmente vedono posta sulla seminatrice, quindi posteriormente rispetto alla trattrice, la tramoggia del seme con capacità fino a 25 q.
Evidentemente si parla di cantieri da contestualizzare in areali di campo aperto di notevoli dimensioni, viste anche le potenze richieste alle trattrici.
Assieme alla ricerca estrema di performance e domini, i costruttori sono impegnati a risolvere il problema derivato dalla presenza sul terreno da seminare di stoppie di grano e/o mais residuale alla trinciatura del mais o del sorgo, residui colturali della soia, ecc. che, pur non evidenziando dimensioni elevate come invece hanno gli stocchi del mais trebbiato, creano difficoltà all’avanzamento e al lavoro dell’erpice rotante. In questa ottica lo studio di denti per erpici rotanti con sagomature specifiche in molti casi evita inopportuni intasamenti, molto sgraditi agli operatori che debbono fermare il cantiere, scendere e sgolfare manualmente gli organi della seminatrice.
VANTAGGI E SVANTAGGI
È evidente che, rispetto alla semina tradizionale su lavorato, il cantiere di semina combinato è di maggiori dimensioni, richiede maggiori potenze e sottende maggiori costi iniziali e non aumenta le performace produttive a parità di fronte di lavoro. Anche rispetto al cantiere di semina diretta su sodo le performance produttive sono inferiori e i costi di esercizio sono superiori, ma entrambi i cantieri descritti possono assicurare qualità del lavoro e conseguentemente rese produttive ponderali buone, solo in condizioni ottimali del terreno.
In condizioni di terreno bagnato e con presenza di residui le seminatrici tradizionali e quelle a semina su sodo evidenziano difficoltà di avanzamento, non sufficiente copertura del seme e ingolfamenti, tutte premesse che pregiudicano il raccolto e dominio di superfici. Con l’introduzione delle moderne seminatrici combinate, i costruttori vogliono permettere agli operatori di seminare in un range di condizioni del terreno molto più ampio, mantenendo comunque aspettative di resa produttiva medio-alta. È infatti sempre più frequente, per quanto non auspicabile, la necessità di operare in condizioni non ottimali del terreno, in quanto il tempo a disposizione diminuisce all’avanzare dell’autunno. Pertanto, la seminatrice combinata è un utile strumento che permette l’ottenimento di un letto di semina accettabile nelle più frequenti condizioni di criticità. I maggiori costi di esercizio possono essere mitigati con un utilizzo in contesti che ne permettano un congruo volume annuo di utilizzo, meglio ancora se limitatamente alle superfici che evidenziano le criticità descritte.
L’autore è coordinatore del settore agromeccanizzazione Legacoop