Il 15 marzo scorso è entrata definitivamente in vigore la norma che impone di indicare sulle confezioni dei prodotti alimentari la sede e dell’indirizzo dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento così come previsto dal Decreto legislativo 15 settembre 2017 n. 145.
Il Decreto non fornisce una definizione di sede di confezionamento, nonostante l’obbligo sia riferito alternativamente a quella “di produzione” o, se diversa, “di confezionamento” per cui sembrerebbe che, in caso di diversità, si dovrebbe indicare l’ultima sede, e cioè quella di confezionamento. Tale interpretazione è consonante alla finalità sanitaria che il legislatore ha inteso riconoscere a questo obbligo e cioè quella di favorire una migliore capacità di rintracciabilità degli alimenti insicuri.
Per gli operatori del settore agroalimentare che non ottemperano a tali prescrizioni sono previste pesanti sanzioni pecuniarie che vanno da un minimo di 2.000 euro fin a un massimo di 15.000 euro. Inoltre, sempre a far data dal 15 marzo 2018, è venuta, a cessare qualsiasi norma derogatoria in vista dell’eventuale esaurimento di scorte di prodotti confezionati secondo la vecchia normativa che non prevedeva tale obbligo.
La regola generale è che l’indicazione di legge deve essere riportata sulla confezione del prodotto alimentare e quindi sull’etichetta in quanto l’indicazione resa obbligatoria rientra tra le menzioni da riportare in etichetta come la denominazione di vendita, l’elenco degli ingredienti, il peso netto del prodotto contenuto nella confezione e tutte le altre indicazioni obbligatorie previste per ciascuna categoria merceologica.
Deroga fuori dall'Italia
Ma sono previste anche deroghe all’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione e cioè nel caso in cui i prodotti siano destinati ai mercati di altri Stati membri e di paesi extracomunitari ove tale obbligo non è previsto. L’obbligo vale, quindi, esclusivamente per i prodotti alimentari preimballati, fabbricati in Italia e destinati al consumatore finale oltre che alle collettività in Italia.
In particolare, in questo ultimo caso, se gli alimenti sono preimballati e destinati a una collettività per esservi preparati, trasformati, frazionati o tagliati, l’indicazione del luogo di confezionamento potrà essere riportata sui documenti commerciali e sempre che tali documenti accompagnino l’alimento cui si riferiscono o siano stati inviati prima o contemporaneamente alla consegna; lo stesso vale per i prodotti preimballati commercializzati in una fase precedente alla vendita al consumatore finale, la cui indicazione, una volta apposta sui documenti commerciali, consentirebbe all’acquirente di adempiere a sua volta all’obbligo di etichettatura in parola.
Vi sono, infine, alcune deroghe secondo cui l’indicazione obbligatoria può essere omessa se:
- la sede dello stabilimento coincide con la sede dell’operatore del Settore Alimentare Responsabile delle Informazioni, già indicato in etichetta ai sensi dell’art. 9, para. 1. lett. h) del reg. n. 1169/2011;
- per i prodotti di origine animali preimballati su cui sia riportato il marchio di identificazione di cui al regolamento n. (CE) 853/2004 o della bollatura sanitaria ai sensi del reg. 854/04;
- se l’informazione relativa alla sede dello stabilimento è comunque contenuta all’interno di un marchio di impresa riprodotto sull’etichetta.