Mentre negli ultimi decenni l’arboricoltura da frutto italiana ha vissuto straordinarie evoluzioni tecniche, la castanicoltura non ha sviluppato alcun livello di innovazione agronomica.
Inoltre l’Italia, pur essendo uno dei leader mondiali per la produzione di castagne e marroni, continua a perdere competitività: lo dimostrano i dati produttivi e gli investimenti in ricerca e sviluppo di altri Paesi emergenti.
È partendo da queste constatazioni che la castanicoltura italiana deve lavorare a una inversione di tendenza quanto mai urgente.
Tale sollecitazione è venuta da Gabriele Loris Beccaro, docente del Dipartimento di scienze agrarie, forestali e alimentari (Disafa) dell’Università di Torino e responsabile scientifico del Centro regionale di castanicoltura del Piemonte, in occasione del 13° incontro-dibattito sul castagno “Il rinnovo della nostra castanicoltura”.
Un evento organizzato dal Centro di studio e documentazione sul castagno e dal Disafa, insieme con Comune di Marradi, Unione Montana dei Comuni del Mugello, Unione della Romagna Faentina, Regione Toscana, Dipartimento Dagri dell’Università di Firenze, Fondazione CR Firenze, Accademia dei Georgofili, Consorzio Marrone del Mugello Igp e Associazione Strada del Marrone del Mugello di Marradi.
Applicare al castagno i concetti della moderna arboricoltura
«Nell’evoluzione tecnica della castanicoltura mondiale, l’Italia non è un paese protagonista, ma spettatore, – ha introdotto Beccaro –. L’Italia non solo non vanta una castanicoltura evoluta tecnicamente, ma non ha neanche recuperato i livelli produttivi pre-cinipide».
«Dalle circa 55.000 t dei primi anni 2000 si è scesi infatti a 30.000 t nel 2012 per poi risalire a non più di 45.000 t. Però le importazioni di castagne sono cresciute del 70% dal 2011 (da 21.872 t nel 2017 a 36.651 t nel 2018) per più ragioni: carenza di prodotto italiano (fresco e in lavorazione), basso costo di produzione estero, qualità interna scarsa per involuzione tecnica».
«C’è pertanto un forte bisogno di investire in innovazione colturale, applicando al castagno i concetti dell’arboricoltura moderna. Solo per fare alcuni esempi, si sa molto poco sulla risposta fisiologica e produttiva del castagno alla potatura, così come non si sa come affrontare il problema delle nevicate precoci sugli impianti tradizionali e su quelli intensivi e se è possibile ritardare il diradamento nei sesti dinamici».
Innovazione nella potatura
Di particolare interesse è la potatura del castagno, della quale sono noti i vantaggi (riduce i danni meccanici da neve o da carico produttivo eccessivo, contiene il volume in impianti intensivi e sesti dinamici, è utile per rinnovare le strutture produttive, favorisce l’intercettazione luminosa e l’aerazione della chioma), ma anche gli svantaggi (il costo della manodopera, i tagli come potenziali vie d’ingresso per il cancro corticale, il calo produttivo iniziale in relazione alla tipologia di potatura).
«Riguardo alla potatura, prove condotte presso il Centro regionale di castanicoltura del Piemonte hanno riguardato l’applicazione di diverse tecniche: tagli di ritorno, speronatura, incisione anulare».
«I risultati preliminari indicano che un’adeguata potatura su piante dell’età di 4 anni delle cultivar Volos (Castanea sativa) e Bouche de Bétizac (C. sativa x C. crenata) con sesto di impianto 4x8 m dinamico non determina importanti cali di produzione l’anno successivo all’intervento. Su C. sativa abbiamo effettuato a fine inverno tagli di ritorno e speronature sul 40-60% della chioma: l’aspetto positivo è che, senza rinunciare alla produzione, abbiamo ridotto la chioma e avvicinato il gradiente vegetativo al tronco, mettendo così i presupposti per una produzione maggiore per l’anno successivo».
«L’incisione anulare l’abbiamo compiuta a inizio primavera, durante il germogliamento, quando la corteccia si stacca agevolmente, con l’obiettivo di inibire la crescita vegetativa e favorire una maggiore induzione fiorale, quindi accelerare l’entrata in produzione. I risultati che ci aspettiamo sono una maggiore produzione, di minore pezzatura. Intanto, però, abbiamo monitorato le condizioni funzionali dell’albero attraverso un indice di vitalità/stress fornito dall’analisi della clorofilla e della fluorescenza fogliare. Sono risultati incoraggianti per la gestione sia dei nuovi impianti sia di quelli tradizionali».
Per rinnovare la castanicoltura italiana,
ecco le cose da fare
Sotto il profilo agronomico, ha concluso Beccaro, la castanicoltura italiana ha urgente bisogno di rinnovare gli impianti, in genere vecchi, tradizionali e a bassa densità, trasferire/adattare al castagno tecniche colturali prese dalla moderna frutticoltura, meccanizzare la raccolta e altre operazioni colturali, realizzare la massima applicazione di ICT (sensoristica per monitoraggio agronomico e irriguo, implementazione di monitoraggio e gestione da remoto), riflettere sulle cultivar per i nuovi impianti, investire in ricerca e sviluppo di competenze specifiche del frutticoltore/castanicoltore (no a una castanicoltura basata esclusivamente su hobbisti), avviare progettualità condivise a livello nazionale, senza sovrapposizioni. «In sostanza dobbiamo applicare il know how della frutticoltura alla castanicoltura per apportare innovazione. A questo scopo sono numerosi gli esperimenti in itinere presso il Centro di castanicoltura piemontese».