Nell’ultimo decennio (2010-2019) la superficie agrumicola nazionale è diminuita del 16% e il calo ha riguardato arance, clementine, mandarini e limoni. Sulle ragioni di tale forte diminuzione e sulla ricerca di prospettive di ripresa del comparto agrumicolo ha indagato la “XXIV Giornata di Agrumicoltura” organizzata dall’Agenzia lucana di sviluppo e di innovazione in agricoltura (Alsia).
Il seminario ha trattato gli aspetti economici e commerciali del comparto e le criticità relative sia alla produzione sia alla commercializzazione degli agrumi, ma anche le novità riguardanti varietà e portinnesti da introdurre negli agrumeti per rispondere alle nuove esigenze dei mercati e consentire un’adeguata redditività alle aziende agrumicole.
L'agrumicoltura in Italia
«L’Italia è uno dei primi dieci Paesi produttori di agrumi nel mondo – ha introdotto Filippo Radogna, del Servizio fitosanitario della Regione Basilicata –. Dopo Brasile, Cina, Stati Uniti, Messico, India, Spagna, che negli ultimi decenni ha saputo attuare importanti piani nazionali di sviluppo del comparto, e Iran, all’ottavo posto c’è l’Italia, seguita da Nigeria e Turchia. L’Italia non ha più i 160-170mila ettari ad agrumi dei decenni scorsi.
Secondo i dati Istat 2019 comprende oggi circa 145mila ettari coltivati ad agrumi, di cui 80mila ha ad arancio, 25-26mila a clementine e altrettanti a mandarino, poi vengono limone e specie minori. La produzione complessiva di agrumi si attesta intorno a 2,5-3,5 milioni di tonnellate.
Calo delle superfici, in Italia e in Basilicata
L’agrumicoltura italiana, per le caratteristiche pedoclimatiche di cui hanno bisogno gli agrumi, è concentrata quasi totalmente nel Mezzogiorno.
«Prima regione è la Sicilia, seguono Calabria, Puglia, Basilicata, Sardegna e Campania. La Basilicata, in sintonia con l’andamento decrescente nazionale, ha una superficie agrumetata in calo rispetto a qualche decennio fa. Attualmente si attesta su circa 5.800 ha, dei quali 3.800 ad arancio, 1.300 a clementine, 650 a mandarino e 50 a limone, con una produzione pari al 4% di quella nazionale, ossia circa 130.000 quintali.
Anche in Basilicata la superficie investita ad agrumi è in calo. Le motivazioni sono diverse: in primo luogo varietà obsolete, che arrivano sul mercato in un periodo centrale, quando esso è congestionato da un eccesso di offerta italiana ed estera, mentre sarebbero preferibili varietà che si posizionano sul mercato in periodi in cui non c’è surplus di prodotto; poi i problemi fitosanitari, come la Tristeza degli agrumi, il costo del lavoro, il costo dei mezzi tecnici, l’interesse degli agricoltori a investire in specie frutticole più redditizie, l’indebolimento delle politiche agricole comunitarie di sostegno al comparto».
Superficie media aziendale di appena 2,5 ha
«Secondo dati del 2013, ma tuttora validi per la struttura rigida del comparto agrumicolo, l’80% della superficie e il 65% delle aziende sono concentrate in due regioni, Sicilia e Calabria – ha comunicato Piermichele La Sala, docente del Dipartimento di Economia dell’Università di Foggia –.
Ma ciò che balza di più all’attenzione è la superficie media aziendale, pari ad appena 2,5 ha. Infatti le aziende con Sau investita ad agrumi fino a 3 ha costituiva l’83% delle aziende agrumicole e il 27,8% della superficie nazionale agrumetata; invece la tipologia aziendale con Sau compresa fra 3 e 20 ha costituiva il 15,3% delle aziende agrumicole e il 43,6% della superficie italiana investita ad agrumi; infine le aziende con Sau maggiore di 20 ha rappresentavano solo l’1,7% delle aziende agrumicole e il 28,6% della superficie italiana investita ad agrumi.
Una dimensione aziendale così bassa è chiaramente svantaggiosa in termini di economia di scala, capacità di ammortizzare i costi di produzione e forza contrattuale sul mercato. Inoltre la superficie agrumetata nazionale si è contratta dai 172.444 ha del 2010 ai 145.465 del 2019, con cali in tutte le regioni (-34% in Basilicata) e per tutte le specie agrumicole più importanti (-19% arancio, -9% clementine, -9% mandarino, -14% limone).
Tuttavia al calo delle superfici si contrappone negli ultimi anni, sia in Italia sia, ad esempio, nel Materano, un aumento della produzione, legato probabilmente a impianti giovani, a innovazioni varietali, a nuove forme di investimento».
Prezzi medi all’origine bassi e prospettive
Il vero punto debole del comparto agrumicolo è l’andamento basso dei prezzi medi all’origine, ha sottolineato La Sala.
«Ma è pure evidente che i prezzi aumentano, e con essi la redditività, se si destagionalizzano la produzione e, quindi, l’offerta, rispetto all’attuale calendario varietale molto concentrato.
Ebbene, prospettive per il comparto agrumicolo esistono, ma nelle seguenti direzioni: innovazioni varietali legate agli specifici areali, destagionalizzazione dell’offerta, concentrazione e programmazione dell’offerta, miglioramento dell’utilizzo degli strumenti offerti dalla politica agricola, sfruttamento delle opportunità offerte dalla Pac 2021-2027 e dal Green Deal europeo».
Mercato globalizzato, innovazione varietale e politiche di comunicazione
In un mercato globalizzato, quale è quello attuale, con agrumi disponibili 12 mesi l’anno, sia pure non con le stesse quantità in estate, il prezzo è legato a fattori qualitativi, ha affermato Carmelo Mennone, responsabile dell’Azienda agricola sperimentale dimostrativa “Pantanello” dell’Alsia Basilicata, presentando le innovazioni varietali in agrumicoltura.
«È il caso del clementine comune e del limone, come abbiamo visto quest’anno. Però possiamo mettere in atto una serie di politiche di comunicazione, previste dall’organizzazione comune di mercato, che consentano di promuovere gli agrumi, anche le clementine piccole di calibro, ugualmente buone, se non di più in termini di gusto, di quelle di grossa pezzatura.
Concludo evidenziando come anche in agrumicoltura, come in altre comparti frutticoli, si stiano diffondendo le varietà club, che consentono di limitare la produzione ma di mantenere prezzi alti, a vantaggio del produttore».