Trentacinque anni di silenzio e disinteresse. Tanti ne sono passati prima che l’Assemblea Regionale Siciliana, il più antico Parlamento d’Europa, potesse approvare la prima legge regionale sul tartufo. La norma è composta da 28 articoli che hanno come riferimento la Legge quadro nazionale licenziata nel lontano 1985, tanto da essere considerata da tutti ormai obsoleta. Non a caso in era pre-Covid già circolava una proposta di legge per modificarla.
A causa della pandemia, anche il Ddl nazionale sul tartufo, insieme a tanti altri, ha però subìto uno stop e, sebbene da tempo abbia concluso l’iter delle audizioni da remoto, non è potuto approdare in Commissione Agricoltura. «In questo momento – ha spiegato la presidente del Senato, Elisabetta Casellati − ci sono altre priorità». È stato disposto così che tutte le commissioni legislative sospendessero le attività non pertinenti all'emergenza Covid e alla legge di Bilancio.
Nata vecchia, sarà da modificare a breve?
Tornando alla legge siciliana, quindi, non è escluso che dovrà essere modificata non appena la legge quadro nazionale subirà gli aggiornamenti già in cantiere che tengono conto delle mutate condizioni del comparto. Se così fosse, i cavatori isolani di tartufo confidano, ovviamente, in una maggiore tempestività dell’Assemblea regionale.
Adesso che la legge è stata approvata a Sala d’Ercole, sono in tanti − ex parlamentari e deputati regionali in carica − a rivendicarne la paternità. Ma sono gli atti dell’Assemblea a parlare: la legge votata il 15 dicembre scorso è la proposta di iniziativa parlamentare depositata il 19 gennaio 2020 che ha come primi firmatari due deputati del Pd, Nello Di Pasquale e Michele Catanzaro.
La proposta è stata elaborata grazie alla collaborazione del Centro di ricerca tartufo e tartuficoltura Sicilia, del Dipartimento Saaf dell’Università di Palermo e di alcune associazioni micologiche siciliane (“La Ferula“ di Mazara del Vallo, il Gruppo Micologico Siciliano onlus di Palermo, l’Associazione Micologica Econaturalistica Trinacria onlus di Palermo, l’Associazione micologica Padre Bernardino di Ucria, l’Associazione Micologica e naturalisica onlus “Micelia” di Palermo e il Gruppo Micologico Akrense di Palazzolo Acreide).
Cavatori, tesserino obbligatorio
Poi durante l’iter nelle Commissioni legislative è stata arricchita con quanto di simile era sollecitato in analoghi e precedenti Ddl. C’era pure una proposta di legge a firma di un deputato “governativo” in cui era prevista l'individuazione di ambiti di raccolta sub-regionali in cui avrebbero potuto recarsi a cavare solo i residenti, ipotesi poi scartata perché avrebbe generato forti disparità. La legge approvata, invece, prevede che la ricerca e la raccolta dei tartufi spontanei si possa fare in tutto il territorio regionale. Ma per fare ciò bisogna avere il permesso (tesserino) rilasciato dall’Assessorato regionale dell’agricoltura che poi, come accade per quello dei funghi epigei, delegherà gli enti locali.
Il tutto per la soddisfazione dei cavatori siciliani di tartufo dal numero imprecisato − forse 250 o 300 − e attualmente solo in minima parte provvisti di permesso di raccolta. In assenza di una normativa regionale, infatti, avrebbero dovuto richiederlo nel Lazio dopo avere seguito lì un apposito corso di formazione, affrontando quindi spese per molti proibitive. Due i tipi di tesserino previsti dalla normativa siciliana: l’amatoriale, che consente al titolare di raccogliere ogni giorno fino a mezzo chilo di tartufo del gruppo “bianchi” e fino a un chilo e mezzo di tartufo del gruppo “neri”, e il professionale, che consente di raccogliere fino a 1,2 chilogrammi grammi al giorno di “bianchi” e fino a 4 chili al giorno di “neri”. La tassa di concessione regionale è di 50 euro per il tipo amatoriale e di 150 euro per quello professionale.
La commercializzazione
Fin qui la raccolta. La legge ha previsto regole anche per la commercializzazione, la lavorazione e conservazione dei preziosi funghi ipogei e dei prodotti a base di tartufo. Per la commercializzazione del prodotto tal quale, la legge regionale si richiama alla normativa fiscale nazionale per cui i raccoglitori devono munirsi di partita Iva se superano i settemila euro di reddito derivante dalla vendita dei tartufi e devono dotarsi del tesserino di tipo professionale. Altrimenti è sufficiente versare l’imposta sostitutiva di 100 euro (entro il 16 febbraio dell’anno di riferimento) prevista dal comma 692 dell’art.1 della legge di bilancio per il 2019. E in questo caso è sufficiente avere il tesserino di tipo amatoriale.
In ogni caso la vendita è subordinata alla certificazione di commestibilità che verrà rilasciata - previa identificazione delle specie di tartufi - da parte dagli ispettori micologici in forza presso i dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali e dai micologi iscritti all’albo nazionale e regionale. Sia i primi che i secondi sono obbligati a partecipare a corsi di aggiornamenti periodici certificati, e potranno essere inseriti, se lo richiedono, in un apposito registro.
Tartufo, il calendario di raccolta
Per quanto riguarda le specie e la dimensione degli esemplari da potere immettere sul mercato (almeno 2 centimetri di diametro), la legge siciliana richiama quella nazionale. Mentre per quel che riguarda il calendario di raccolta la legge ha individuato le date che possono variare in presenza di particolari situazioni climatiche. Sarà l’assessore regionale per l’Agricoltura a stabilire le modifiche al calendario di raccolta, purché non ne derivi danno alla capacità riproduttiva della specie. Le modifiche, comunque, avranno validità limitata all’anno in cui viene assunta la decisione.
Queste le date entro cui, di norma, possono essere cavati in Sicilia gli esemplari delle diverse specie: Tuber magnatum pico dal 1 ottobre al 20 gennaio; Tuber macrosporum dal 15 settembre al 20 gennaio; Tuber uncinatum dal 1 ottobre al 31 gennaio; Tuber melanosporum dal 1 novembre al 31 marzo; Tuber borchii dal 15 dicembre al 15 aprile; Tuber brumale dal 1 novembre al 15 aprile; Tuber aestivum dal 15 maggio al 15 agosto; Tuber mesentericum dal 1 novembre al 31 marzo; Tuber brumale var. moschatum dal 1 gennaio al 31 marzo.
Le tartufaie
Infine, le norme sulle tartufaie distinte in naturali, controllate e coltivate. Le prime ricadono in terreni demaniali e pertanto di libera fruizione comunque vincolata al possesso dell’autorizzazione alla raccolta e ad eventuali limitazioni imposte per motivi ambientali dall’amministrazione regionale (Assessorato Ambiente).
Le tartufaie controllate (non più di tre ettari nella maggior parte dei casi contemplati dalla legge) sono quelle naturali su fondo privato e sono oggetto di miglioramento mediante operazioni di incremento e lavorazioni agronomiche, che verranno indicate nel regolamento di attuazione emanato entro 120 giorni dall’approvazione della legge dall’Assessorato agricoltura. Infine la terza categoria di tartufaie, quelle coltivate, cioè gli impianti specializzati, realizzati ex novo, con piante tartufigene la cui micorrizazione sia certificata, disposte con sesto regolare e sottoposte a cure colturali ricorrenti.
Grazie a queste disposizioni sarà anche meno complicato accedere ai finanziamenti del Psr che finora, nelle misure dedicate alla forestazione, non ha previsto sostegni ad hoc per la tartuficoltura.