Produrre cibo di qualità attivando un ciclo di rigenerazione delle risorse e limitando al massimo la produzione dei rifiuti. È l’obiettivo della start up Circular Farm, fattoria urbana senza terra situata a Scandicci (Fi), nata nel 2020 dall’ambizione del trentasettenne Antonio Di Giovanni (di Agia) che, dopo una laurea presso la facoltà di agraria dell’Università di Firenze e diversi studi sul riciclo dei rifiuti organici, ha deciso di scommettere nel settore primario in modo ‘alternativo’: producendo funghi Pleurotus dai fondi del caffè recuperati dai bar del territorio.
L’azienda, realizzata dalla ristrutturazione di un ex vivaio abbandonato di 1500mq, ha al suo interno due container per la coltivazione di funghi, due serre per la coltivazione di micrortaggi e per l’impianto acquaponico, una serra laboratorio, il pollaio, un magazzino e uno spazio dedicato alla didattica.
Il progetto, che raccoglie l’eredità di una precedente esperienza imprenditoriale di Di Giovanni -“Funghi Espresso”- è basato su un modello altamente sostenibile e innovativo di agricoltura circolare.
Il ciclo produttivo si basa su diversi step tutti interconnessi.
Come spiegato da Di Giovanni, il progetto di rigenerazione inizia con la raccolta dei fondi di caffè effettuata con bici-cargo ad una distanza massima di 20km dalle serre aziendali. Il substrato esausto della fungicoltura viene rigenerato attraverso il processo di vermi-compostaggio e trasformato in humus di lombrico (impiegato come ammendante per l’orto sinergico presente in azienda). Una piccola parte dei lombrichi viene utilizzata per originare un nuovo ciclo, quello dell’acquaponica dove i pesci trasformano questo apporto proteico in sostanza organica fertilizzante utilizzata nella coltivazione di microgreens con il metodo idroponico (fuori suolo).
A partire da uno scarto, e con l’impiego di input interni al sistema, il modello Funghi Espresso è in grado di generare quindi: funghi edibili, humus di lombrico e ortaggi.
Dal fondo del caffè al fungo, dov’è il trucco?
Il fondo di caffè viene inoculato con il micelio (il seme del fungo) selezionato e miscelato ad un altro scarto del processo di torrefazione, il silver skin: ossia il tegumento del chicco di caffè verde. Si parte da qui.
Questo processo avviene in un ambiente controllato?
Per favorire la crescita del micelio, il substrato inoculato viene trasportato all’interno della cella d’incubazione, una stanza al buio con una temperatura costante di 20° C: vi rimane per 25 giorni, fino a quando tutto il substrato sarà colonizzato dal fungo. Quando i sacchetti diventano completamente bianchi vengono portati nella stanza di fruttificazione. La serra di fruttificazione ha una temperatura compresa tra i 15°C e i 20°C, con umidità del 90% e concentrazione di CO2 dell’aria inferiore ai 1000ppm. Le serre di incubazione e fruttificazione sono riscaldate mediante termocompostaggio.
Dopo quanti giorni è possibile effettuare la prima raccolta di funghi?
I sacchi incubati vengono appesi e aperti con delle incisioni: dopo circa 7-10 giorni avviene la prima raccolta di funghi. I sacchi rimangono in questa stanza per 30-40 giorni, producendo fino ad un massimo di 3 cicli di fruttificazione.
Terminata la produzione di funghi inizia un nuovo ri-ciclo?
Esattamente. Una volta terminata la produzione di funghi, i substrati esausti vengono sbriciolati all’interno del lombri-compost, dove rimarranno per almeno sei mesi. Durante i primi tre mesi, la sostanza organica ancora fresca viene degradata dai batteri presenti (organicazione dei minerali). Successivamente, il compost viene unito ai lombrichi: la sua maturazione (umificazione) proseguirà per altri 3 mesi.
L’humus di lombrico ha un’elevata concentrazione di sostanza organica, paragonabile a quella che troviamo nel sottobosco: per questo viene chiamato anche “oro nero”. Ne bastano poche manciate per concimare un vaso da 30 litri di terreno.
Una piccola parte dei lombrichi viene quindi utilizzata per originare il ciclo dell’acquaponica. Il tutto avviene in un circuito chiuso di vasche comunicanti. La popolazione di lombrichi impiegata nel lombri-compost, crescendo in modo esponenziale, rappresenta un’ottima fonte proteica per l’allevamento di pesci. All’interno di un’apposita vasca (biofiltro), batteri "benefici" dei generi Nitrosonomas e Nitrobacter trasformano l’azoto contenuto nelle deiezioni dei pesci dalla forma ammoniacale a quella nitrica: questa è assimilabile dai micrortaggi presenti nella vasca successiva.
Dove termina il ciclo della sostanza organica all’interno di Circular Farm?
Nel nostro bio-orto rialzato. L’humus di lombrico derivato dagli scarti di lavorazione della funghicoltura fertilizza i nostri ortaggi in modo biologico e naturale. Il terreno è stato creato utilizzando paglia e tronchetti di legno, compost maturo da substrato esausto di funghi, compost da sfalci di potature, humus di lombrico e torba. Questa composizione crea condizioni ottimali per la vita di quei microrganismi (batteri e funghi simbionti) che, a livello radicale, migliorano l’assorbimento dei nutrienti da parte delle piante.
Abbiamo inoltre adottato consociazioni che favoriscono l’effetto sinergico tra le diverse piante, rafforzandone la resistenza a malattie fungine e parassiti (afidi, acari etc.). Per contrastare la crescita delle erbe infestanti viene praticata la tecnica della pacciamatura con teli di yuta o paglia.
Quali sono i punti di forza di questo modello a circuito chiuso?
Permette di risparmiare il 90% di acqua rispetto ad una coltivazione irrigua su suolo, coltivare in assenza di terra in ambienti urbani, praticare il metodo biologico senza l’impiego di concimi sintetici e prodotti antiparassitari, utilizzare ammendanti organici autoprodotti.
Investire su questa produzione di nicchia è vantaggioso?
Siamo ancora una piccola realtà in termini di dimensioni. Produciamo 250 kg di funghi al mese e circa 300 vaschette di micrortaggi al mese. È un progetto in divenire, abbiamo iniziato da poco anche la produzione di funghi utilizzati per gli integratori alimentari, con l’obiettivo di intercettare un nuovo mercato: il parafarmaceutico. Ad oggi posso ritenermi molto soddisfatto, sia per la resa che per la qualità delle nostre produzioni.
Come vedi la tua azienda nei prossimi anni?
Ancora più sostenibile. Abbiamo il compito di rispondere alla sfida dei cambiamenti climatici e della popolazione che aumenta. Dobbiamo puntare su un modello di agricoltura che non utilizzi in modo intensivo gli input chimici ma che invece rispetti la rigenerazione del suolo limitando inquinanti. Il nostro obiettivo prossimo in chiave green, considerando anche l’aumento dei costi energetici causati dalla crisi, è installare un impianto fotovoltaico di 5 kW per l’autosufficienza produttiva dei nostri container.
Inoltre a novembre arriverà in azienda un nuovo container trasportabile iper tecnologico per la coltivazione biointensiva in verticale di funghi e ortaggi fuori suolo con metodo idroponico. All’interno del container avremo luci a led, sensoristica avanzata, ambiente controllato e intelligenza artificiale monitorabile a distanza. Il futuro della nostra azienda, ma anche dell’agricoltura, è descrivibile con due parole: sostenibilità e innovazione.
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