I cerealicoltori italiani sono chiamati a compiere una scelta decisiva che potrebbe segnare il futuro di una delle colture più emblematiche del nostro Paese. Continuare a seminare il grano duro, nonostante i costi di produzione elevati, le rese incerte e il mercato volatile, oppure abbandonare una coltura che affonda le sue radici nella storia agricola dell’Italia? Razionalmente, questi problemi potrebbero spingere molti agricoltori a considerare l’abbandono della sua coltivazione, data l’apparente difficoltà nel trovare soluzioni rapide e remunerative.
Ciò che rende particolarmente difficile questa decisione è l’imprevedibilità climatica che si ripete ogni anno in forme e tempi diversi complicando la pianificazione aziendale in quanto a scelta varietale, gestione delle risorse e dei mezzi tecnici. Il cambiamento climatico non è un fenomeno temporaneo, ma una sfida che potrebbe addirittura accentuarsi se le misure di mitigazione, promosse dalle istituzioni europee e internazionali, non produrranno effetti tangibili sui principali indicatori. Ciò significa che in futuro l’unica certezza sarà l’imprevedibilità climatica che accompagnerà ogni fase della produzione agricola e renderà sempre più complessa la pianificazione e la gestione delle colture, non solo del grano duro.
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Di fronte a questa sfida epocale e alla mancanza di alternative colturali redditizie, il grano duro resta la scelta più logica e sostenibile per molte aziende agricole del Sud Italia. È fondamentale però innovare le tecniche produttive e migliorare la gestione agronomica per massimizzarne la redditività e ridurre l’impatto delle variabili climatiche. L’adozione delle tecniche di agricoltura conservativa, delle tecnologie di agricoltura di precisione, l’uso di varietà resistenti e l’adozione dei sistemi di supporto alle decisioni hanno dimostrato, nel corso dell’ultima annata agraria, di poter ridurre l’impatto negativo delle avversità climatiche sulla coltura.
La grande variabilità delle rese del frumento duro osservata all’interno delle province meridionali ha messo in luce proprio l’effetto delle differenti pratiche agronomiche adottate. La capacità di adattare la gestione agronomica alle condizioni specifiche di ciascun terreno ha contribuito a preservare le rese ma anche a ottimizzare l’uso delle risorse, permettendo agli agricoltori di mantenere la redditività in un contesto di crescente incertezza. Tuttavia, questo non è sufficiente, il mercato del grano duro è altamente competitivo e soggetto alla volatilità dei prezzi globali, quindi anche gli agricoltori più virtuosi spesso fanno fatica a coprire i costi di produzione.
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Fino a oggi gli accordi di filiera hanno giocato un ruolo cruciale nel garantire la sostenibilità e l’efficienza della produzione agricola, anche se hanno interessato una parte ridotta delle aziende. Se è vero come è vero che l’incertezza climatica è diventata parte integrante del processo decisionale, i nuovi accordi di filiera devono prevedere specifiche e strumenti in grado di attenuare non solo il rischio legato alla volatilità dei prezzi ma anche quello legato al clima, che potrebbe compromettere seriamente la sopravvivenza delle aziende agricole.
Pertanto, pur consapevoli delle difficoltà oggettive che comporta la coltivazione del grano duro, la volontà di non arrendersi e di adattarsi al cambiamento climatico con strategie innovative di tipo agronomico, genetico, organizzativo e di gestione del rischio è ciò che può mantenere viva la sua coltivazione e garantirne un futuro sostenibile.
di Pasquale De Vita
Crea - Centro di ricerca Cerealicoltura e Colture industriali, Foggia