L’origine e la provenienza della frutta a guscio obbligatoria sulle etichette è un passo in avanti per la produzione campana. Con l’entrata in vigore il 1° gennaio scorso del Regolamento Europeo che prevede l’indicazione obbligatoria in etichetta del luogo di provenienza si aprono importanti spiragli sull’affermazione della reputazione dei prodotti e dei lavorati, che si consolida con la tutela del consumatore e con la valorizzazione delle tipicità. L’arricchimento della carta di identità della frutta a guscio rappresenta un'opportunità non solo per coltivatori e imprenditori già affermati sul mercato, ma soprattutto per quanti tentano l’apertura di corridoi commerciali sui mercati internazionali.
In Campania l’interesse è alto non solo per le riserve di noci e nocciole, ma anche per le mandorle e i pistacchi. Ma – come è noto – sono oggetto del provvedimento europeo anche i prodotti di quarta gamma come funghi coltivati, zafferano e capperi. Le banane, gli agrumi essiccati e i fichi secchi. Un paniere ampio, che apre di fatto una nuova politica di marketing nel settore della trasformazione. Se fino a oggi i produttori campani hanno fatto fede sulla capacità di riconoscere il tricolore sulle confezioni di nocciole in vendita presso la grande distribuzione, al dettaglio o nei mercati ortofrutticoli, la connotazione del luogo di provenienza è destinata a guidare il consumatore nella scelta.
Rubinaccio: «Ma serve un prodotto eccellente»
Lo sa bene Giampaolo Rubinaccio, coordinatore nazionale di Ortofrutta Italia, pronto a sottolineare la responsabilità assegnata ai produttori. Lui stesso rileva che non bisogna trascurare il fatto che la messa a nudo del comparto corilicolo presupponga autorevolezza espressa in qualità, salubrità e quantità.
«Bisogna offrire un prodotto al top di gamma. Ora non ci sono più scuse: le nocciole campane sono chiamate a fare la differenza e confrontarsi con la dura legge del mercato – spiega l’esperto –. In Campania bisogna lavorare anche sulla quantità, oltre che sulla garanzia di salubrità. I produttori hanno davanti una strada nuova, e finalmente potranno posizionarsi sul mercato per essere concorrenziali. Ora il mondo produttivo deve fare uno sforzo per farsi trovare pronto a settembre e aderire agli standard qualitativi».
Così mentre le aziende della filiera produttiva cantano vittoria per il risultato raggiunto, c’è chi le richiama al rigore e alla necessità di definire una strategia di produzione agricola che mira ad azzerare i nervi scoperti e le criticità. «La patente ce l’abbiamo, ma adesso bisogna guidare bene – continua Rubinaccio –. La scelta che potrebbe privilegiare i nostri prodotti non è dettata solo dal sentimento di appartenenza, ma deve essere una scelta consapevole e guidata da un corollario di aspetti».
La Campania produce 450mila quintali di nocciole all’anno, di cui l’80% viene assorbita dall’industria dolciaria regionale e il restante 20% è relegato allo sgusciato tostato. La nocciola campana attrae acquirenti dalla Germania, dalla Francia, dalla Svizzera, dalla Spagna e dal Marocco. «A Palma Campania risiede la sesta azienda nazionale di trasformazione delle nocciole» ricorda Rubinaccio.
La produzione corilicola regionale si distingue per il taglio «e per il fatto che le nocciole non perdono la cuticola: questo conferisce un sapore eccezionale» aggiunge il coordinatore di Ortofrutta Italia, che cita la mortarella di Avellino e la Giffoni del salernitano. «Le nostre varietà sono particolarmente concorrenziali all’estero. La tonda di Giffoni è una delle cultivar più diffuse come estensione territoriale e quantità. Inoltre è particolarmente gradita all’industria dolciaria mondiale».
Altra questione è la Giffoni connotata da marchio Igp, che viene prodotta in appena dieci comuni e ha una tutela che oggi viene valorizzata nel prezzo. «L’orizzonte a cui i produttori campani devono ambire è l’aumento della qualità del prodotto, che sarà inevitabilmente riconosciuto dal prezzo. Oggi la nocciola campana vale 3 euro al chilo, mentre la Giffoni Igp si aggira intorno ai 4,50 euro. Infine la nocciola bio si attesta ad un valore di 5,20 euro. La garanzia erga omnes sulla certificazione di provenienza è un valore aggiunto per le produzioni» puntualizza.
Le cultivar campane potrebbero rientrare nella strategia di affermazione delle produzioni intensive pianificate fuori dai confini nazionali ed europei. Rubinaccio ricorda l’esperimento di Ferrero sulle piante di nocciolo campano in Australia, dove il governo aveva concesso addirittura la modifica del corso fluviale. A oggi è il Marocco a destare interesse: Monte Atlante presenta le stesse condizioni climatiche campane e non si esclude una nuova esplorazione.