Il mercato dei foraggi, così come quello della paglia, è fortemente dipendente dal costo dei trasporti ed è quindi molto legato al territorio. Tutto ciò che non può essere trasportato alla rinfusa, e non è facilmente conservabile, è limitato nei tempi di viaggio e nel costo; quando poi ha l’ulteriore difetto di ingombrare molto e valere poco, l’area in cui può essere venduto si restringe ulteriormente. Se, per i motivi più vari, tende a prevalere un diverso indirizzo produttivo, domanda e offerta devono trovare nuovi equilibri, con immediati effetti sui prezzi. Le aziende agricole sono particolarmente sensibili a queste scelte collettive, legate soprattutto alle scarse possibilità di accedere alle informazioni: in quel 20% della popolazione che non ha accesso alla banda larga si colloca oltre l’80% del territorio rurale.
Una voce infondata - Un caso recente ha riguardato la voce, infondata, che i terreni investiti a foraggere poliennali non avrebbero goduto dei contributi della Pac. In pochi mesi, da Nord a Sud, migliaia di ettari di prati, in prevalenza di medica, sono stati riseminati a frumento, talora oltre i limiti temporali più ragionevoli, per non “perdere la Pac”. Chi ha distrutto un medicaio giovane e ancora da ammortizzare ha bruciato ben più del “diritto” che avrebbe ipoteticamente perduto; una bella lezione per chi si ostina a negare che vent’anni di dipendenza dai contributi hanno di fatto “anestetizzato” gli agricoltori. La perdita di superfici foraggere che ne è derivata potrebbe comunque aiutare la bilancia dei pagamenti, se si pensa che il nostro Paese è fortemente deficitario di cereali vernini, con un tasso di copertura dei fabbisogni che non arriva al 50%. Una situazione singolare, considerando che le strutture presenti sul territorio avrebbero una capacità di stoccaggio assai superiore ai cereali attualmente conferiti e proporzionata al grano impiegato dalla nostra industria di trasformazione
Quotazioni insufficienti - L’andamento dei prezzi ha certamente aiutato questa contrazione, con un mercato dei fieni che sembra essersi stabilizzato sulle quotazioni, insufficienti, dello scorso anno. Bisogna poi aggiungere che, per quanto indispensabile per il mantenimento di un soddisfacente stato di salute del rumine, il fieno migliore non può valere quanto un cereale: con il mais al di sotto di 150 €/t non si può pretendere la luna.
Arrivati ad aprile, non sembra possibile che la superficie foraggera possa espandersi in misura significativa quale effetto indotto dall’applicazione delle regole del greening. Questi fattori contingenti si sommano alla perdurante contrazione della zootecnia e alla sua concentrazione in alcune aree ben definite, talvolta diverse o distanti dal luogo di produzione.
Macchine in difficoltà - Date le premesse, è difficile attendersi una ripresa del mercato delle macchine per i foraggi, anche se una quota importante è legata al tasso di rinnovamento del parco circolante. Gli effetti psicologici determinati dalle quotazioni di mercato agiscono in modo indipendente rispetto a come ci si dovrebbe realmente comportare. In questa situazione infatti il prodotto migliore può arrivare a valere il doppio di quello ordinario, mentre il prodotto scadente non interessa a nessuno, se non ad aziende in difficoltà finanziarie e senza prospettive. Il fieno di bassa qualità non interessa a nessuno e può rimanere invenduto, o finisce “regalato” per sgombrare il fienile, una prospettiva non particolarmente invitante considerando che è stato tagliato, lavorato e pressato in balle.
Ottenere un buon prodotto - L’impiego di macchine moderne ed efficienti è fondamentale per ottenere un buon prodotto: con le attrezzature più adatte e impiegandole al momento giusto è possibile ridurre al minimo la perdita dei fattori nutrizionali. Negli allevamenti di bovini da latte, ove è possibile quantificare con precisione la relazione fra produzione e qualità degli alimenti, gli allevatori preparano la razione in funzione del foraggio, che resta uno dei fattori basilari; questa dipendenza dai foraggi essiccati si manifesta al massimo grado dove sono limitati – o banditi, come per il Parmigiano-Reggiano – gli apporti di insilati. Purtroppo ancora oggi si vedono aziende agricole che imballano fieni scadenti, già ossidati o danneggiati da eventi atmosferici, o che ritardano la raccolta oltre i limiti della logica, nella speranza di aumentare il contenuto di sostanza secca, pur perdendo in qualità. Le anomalie climatiche della scorsa stagione hanno fatto il resto: ben pochi sono coloro che, pur operando correttamente e facendo ricorso alle migliori tecnologie, sono riusciti a fare un bel fieno con il 100% della produzione.