Laureato in Scienze agrarie, oltre trent’anni di esperienza nel settore dell’agroindustria, dal 2023 Massimo Scaglia è amministratore delegato di Syngenta Italia. Dal suo punto di osservazione internazionale fa qualche considerazione sul presente e sul futuro del settore primario, in particolare per quanto riguarda gli agrofarmaci.
Un recente report di Eurostat ha certificato il drastico calo delle vendite di agrofarmaci in Europa e soprattutto in Italia. Ciò è dovuto all’impegno degli agricoltori che hanno adottato nuove tecnologie per eseguire trattamenti più mirati, ma principalmente alla continua riduzione della lista di molecole ammesse per la difesa delle colture da parte dell’Ue. Il rischio è di perdere produzione.
«Gli elementi che determinano il calo dei consumi, a mio parere, sono tre. Il primo riguarda l’innovazione: di norma le nuove molecole vengono impiegate a dosi più basse per ettaro in quanto hanno una maggiore efficacia rispetto a quelle del passato. Il secondo è la regolamentazione che basa la registrazione dei prodotti non tanto sulla valutazione del rischio ma sulla pericolosità generica delle sostanze attive, per cui i parametri sono molto stringenti e di conseguenza molte molecole sono uscite dal mercato e non hanno un’alternativa valida. Il terzo è l’uso più mirato degli agrofarmaci grazie ai protocolli di produzione integrata e a tecnologie di precisione».
Difatti i campionamenti del Minsal sui prodotti alimentari hanno percentuali bassissime di non conformità.
«Sì sono dello zero virgola… Il che significa innanzitutto che il nostro cibo è sano ma anche che gli agricoltori usano correttamente i mezzi tecnici e questo avviene da molti anni, soprattutto in Italia».
I nostri alimenti sono sani. Ma ne importiamo molti da Paesi che non hanno le nostre regole sull’utilizzo dei prodotti fitosanitari.
«Ma non è detto che le regole di molti Paesi extra Ue siano peggiori o meno attente alla tutela dei consumatori rispetto a quelle comunitarie. Da noi le regole sono più restrittive perché in certi casi c’è un approccio ideologico che mira a ridurre l’utilizzo degli agrofarmaci senza pensare alle conseguenze che l’eliminazione di una molecola senza una valida alternativa provoca per le coltivazioni. E poi con queste regole anche le nuove soluzioni non sono facili da registrare».
Quindi Syngenta rinuncia alla ricerca?
«Assolutamente no. Però si è dovuta riorientare. Quando ero a Basilea ho visto una notevole quantità di progetti di sviluppo abbandonati perché ci si rendeva conto con gli studi preliminari che sarebbe stato impossibile rispettare gli standard imposti dall’Europa. Ma la ricerca prosegue: di recente abbiamo registrato un insetticida che sarà utilizzato in tutto il mondo tranne che nei 27 Paesi Ue e un altro, il Plinazolin, è stato lanciato qualche anno fa».
L’Europa sta per condannare a morte l’Acetamiprid, uno degli ultimi neonicotinoidi rimasti in commercio.
«Se venisse tolto dal mercato non esisterebbero alternative all’altezza. Le autorità non riescono a capire che questa severità nella valutazione dei mezzi tecnici mette in grande difficoltà gli agricoltori».
Cosa dicono gli agricoltori che incontra?
«Proprio qualche settimana fa abbiamo fatto un incontro con alcuni imprenditori agricoli. Quello che sperano è che se non possono più utilizzare prodotti per la difesa almeno arrivi il supporto dalle nuove tecnologie come le Tea che permettono di creare varietà resistenti ad alcune malattie. Oppure, prolungare la possibilità di utilizzare una molecola finché non si trova un’alternativa».
Ma l’Europa frena anche sulle Tea.
«Esatto. Sembra un percorso piuttosto lungo. Mentre sappiamo che le Tea potrebbero migliorare molte caratteristiche delle piante per renderle resistenti a fattori biotici e abiotici e migliorare le caratteristiche organolettiche dei frutti. Oggi la popillia japonica è un problema, ma anche la cocciniglia takahashia».
Oggi nell’opinione pubblica, che poi è il corpo elettorale, c’è anche un elevato scetticismo, per non dire sfiducia, negli organismi di controllo. Penso all’Efsa.
«Una cosa gravissima. Si pensa che le multinazionali possano indirizzare le decisioni dell’Efsa, magari perché ha rinnovato l’autorizzazione al glifosate. Ma se così fosse non avremmo tutte queste difficoltà a registrare un nuovo agrofarmaco e non sarebbero eliminati così facilmente quelli già presenti sul mercato».
In Italia e in Europa c’è un commercio florido di agrofarmaci illegali, forse alimentato anche da tutte queste restrizioni.
«Assolutamente. La mancanza di soluzioni valide potrebbe spingere un agricoltore a utilizzare prodotti illegali aumentando così rischi per l’ambiente e la salute. L’uso di agrofarmaci illegali rappresenta un fenomeno pericoloso che noi combattiamo collaborando con i Nas che sono sempre più sensibilizzati su questo problema».
La Commissione europea che si è insediata un anno fa sembra aver cambiato registro su certi temi.
«Credo che oggi ci sia una grande opportunità: i prodotti di origine naturale. Ma bisogna accelerare sulla registrazione perché i processi sono eccessivamente lunghi. Se ci fosse questo cambio di passo il loro utilizzo potrebbe aumentare, anche perché quasi tutti hanno un minor rischio ambientale e per la salute umana».
Come si potrebbe fare per accelerare questo processo?
«Mah, oggi il Ministero della Salute delega a diversi istituti la valutazione dei dossier. Secondo noi potrebbe aiutare un’agenzia unica come c’è ad esempio negli Stati Uniti e in Inghilterra».
Diamo uno sguardo al futuro. Come dovrebbe essere la nuova Pac?
«Innanzitutto trasformarsi da sussidio in incentivo a produrre in un certo modo e per diffondere le nuove tecnologie».
E l’agricoltura italiana più in generale come la vede?
«Aziende agricole più grandi e strutturate. Anche i canali di vendita per noi cambieranno perché con il consolidamento della distribuzione si potranno fare economie di scala e offrire servizi tecnici migliori. Come altra faccia della medaglia immagino che in alcune zone l’agricoltura diventerà marginale».
Il ricambio generazionale molto lento è un ostacolo all’utilizzo più sostenibile dei mezzi tecnici?
«È un grosso problema anche se poi il mancato o lento ricambio generazionale favorisce il processo di accorpamento e consolidamento delle aziende agricole».
Una cosa che Syngenta fa per la sostenibilità dell’agricoltura?
«Dove possibile promuoviamo i nostri prodotti biologici e i biostimolanti che in alcuni casi possono sostituire quelli convenzionali».
Quali hanno un’efficacia che si avvicina di più ai convenzionali?
«Alcuni insetticidi. Le piretrine, oppure Spinosad o Bacillus Thuringiensis che forniscono una buona efficacia. Per i fungicidi abbiamo prodotti antioidici e antibotritici che funzionano, in particolare se non c’è una pressione elevata della patologia. Mentre quando la peronospora è particolarmente aggressiva il biocontrollo è poco efficace».
Il costo è un ostacolo per la diffusione di questi prodotti?
«In parte si. Ad esempio noi abbiamo l’azadiractina, un insetticida di origine naturale che si ricava dall’olio di Neem che ha un costo a ettaro importante. Inoltre, sono prodotti che richiedono un maggior supporto tecnico rispetto ai convenzionali. Però l’innovazione va avanti».
A proposito di innovazione, Interrascan come sta andando?
«Molto bene. È un dispositivo che interessa molto soprattutto le aziende di dimensioni medie e grandi e le associazioni di categoria, perché realizza una mappa molto accurata che consente di ottimizzare l’uso dei mezzi tecnici»
Se avesse la bacchetta magica qual è la prima criticità dell’agricoltura che risolverebbe?
«C’è un problema di valorizzazione della produzione agricola. Ci sono importanti colture poco remunerative le cui rese in quantità e qualità non compensano i costi di produzione. Ad esempio, il prezzo del grano duro è spesso troppo basso ed esposto a speculazioni finanziarie. Una miglior gestione della risorsa acqua aiuterebbe ad aumentare le rese e quindi la redditività. Syngenta cerca di fare la sua parte con la propria innovazione ma, per un futuro migliore, serve la volontà di lavorare come sistema».













