Irrigare e concimare con la stessa acqua

acque reflue
Risorsa importante nei periodi di siccità. Contribuisce ad aumentare la sostanza organica del terreno. Ma c'è da risolvere il nodo della salinità elevata

In campagna, in azienda e nell’industria il consumo di acqua è elevatissimo. Oggi solo una quota ridotta di questa è riutilizzata. Si sono esaminate tutte le prospettive offerte dal riuso delle acque reflue nel workshop organizzato da Cer e Anbi che si è tenuto di recente nella sede Gruppo Orogel a Cesena.

Il quadro normativo

«Il riutilizzo delle acque reflue affinate è una misura di economia circolare che il nostro Paese attua da tempo, in attuazione del Dlgs 152/1999 (poi confluito nel TU Ambiente Dlgs 152/2006) – ha introdotto Marianna Ferrigno del Crea –. La norma di riferimento è il Dm 185/2003 recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue a scopo irriguo, civile, industriale di acque reflue affinate di origine urbana e industriale (più origini, più destinazioni). A partire da giugno 2023, tuttavia, è entrato in vigore il nuovo regolamento Reg. (Ue) 2020/741 recante prescrizioni minime per il riutilizzo dell’acqua che, per la prima volta, definisce a livello europeo i requisiti minimi per l’utilizzo a scopi agricoli delle acque reflue urbane trattate e affinate (una specifica origine e una specifica destinazione)».

I due testi normativi si differenziano per i seguenti profili: ambito di applicazione e destinazioni d’uso, introduzione dell’approccio basato sulla gestione del rischio, categorie di soggetti responsabili, diversa tipologia di approccio ai fini della verifica di qualità delle acque.

Il Regolamento europeo, in particolare, prevede il metodo della gestione del rischio sito specifico. Ciò significa che ai fini della produzione, dell’erogazione e dell’utilizzo di acque affinate l’autorità competente dovrà provvedere a che venga stabilito un piano di gestione dei rischi connessi al riutilizzo dell’acqua, con l’obiettivo di garantire la gestione proattiva e sicura delle acque reflue affinate, senza rischio per salute umana, animale e senza rischio ambientale. Al fine di azzerare il rischio emerso durante l’analisi del rischio, il piano di gestione del rischio e il permesso rilasciato dall’autorità competente potranno prevedere delle prescrizioni supplementari rispetto a quelle minime stabilite dal regolamento. Diversamente, la normativa italiana in vigore dal 2003 detta prescrizioni e parametri rigidi da applicare a ogni ipotesi di riutilizzo, sia per fini irrigui che per fini civili, ambientali e industriali.

«Vige pertanto, a oggi, un doppio binario normativo per il riuso dei reflui di origine civile e industriale – ha continuato Ferrigno – che si sta cercando di superare con la redazione di una nuova norma nazionale che allinei il testo del 2003 all’approccio del Regolamento europeo, allo scopo di uniformare il più possibile le diverse disposizioni vigenti e favorire una maggiore diffusione del riuso nel nostro Paese».

In particolare, da più di un anno si sta lavorando a un nuovo testo normativo per estendere l’approccio del Regolamento europeo basato sulla valutazione e della gestione del rischio sito specifica anche al riutilizzo delle acque industriali e di quelle fuori fognatura pubblica, favorendo al massimo stoccaggio e distribuzione delle acque affinate per il riutilizzo anche per fini civili, ambientali e industriali (tab. 1).

Nelle more, tramite il Decreto siccità del 2023 è stato introdotto un regime semplificato transitorio di autorizzazione per gli impianti di depurazione già in esercizio, che intendono realizzare attività di riutilizzo ai fini irrigui in agricoltura. L’inziale valenza al dicembre 2023 è stata prorogata (dall’ultimo decreto milleproroghe) all’entrata in vigore del Dpr e comunque non oltre il 31 dicembre 2024.

tab. 1 I punti salienti del Dpr in consultazione
Ambito di applicazione Approccio Governance
Riuso acque industriali, in particolare reflui agro-industriali (anche per scopo irriguo) Prescrizioni minime distinte per destinazione d’uso civile e irriguo (parametri aggiuntivi N e P) Rafforzato il ruolo delle regioni nella pianificazione del riuso a livello nazionale
Esclusi alcuni reflui industriali ritenuti pericolosi per scopo civile e agricolo Valori concordati tra le parti per riuso a scopo industriale di reflui industriali Nel rapporto tra le parti, maggiore partecipazione ai costi di affinamento anche per utilizzo irriguo
Non disciplinato il riuso presso stesso stabilimento (ma rimanda ad altre procedure ambientali come l’Aia) Piano di gestione rischio sito specifico
Introdotto il riuso a fini ambientali Controlli di conformità
Obblighi delle parti coinvolte
Informazione e sensibilizzazione

Le esperienze sul campo

Risultati positivi in termini di efficacia, sicurezza e salubrità della risorsa depurata testimoniati da Attilio Toscano di Unibo. «Il riuso delle acque reflue consente di avere una fonte idrica costante anche nei periodi siccitosi; di aumentare l’accumulo di sostanza organica nel suolo; di avere una buona concentrazione di macronutrienti (N, P, K) in forma biodisponibile con una conseguente riduzione dell’impiego di fertilizzanti di sintesi. Ma soprattutto permetterebbe di ridurre la pressione antropica sulle fonti idriche convenzionali. Nell’utilizzo di questa tipologia di risorse idriche saranno necessari accurati piani di monitoraggio della qualità delle acque usate e piani gestionali nel medio lungo termine – come l’alternanza delle fonti irrigue, programmi di somministrazione dei nutrienti a livello aziendale e infrastrutture per la distribuzione delle acque – per massimizzare gli effetti positivi e ridurre eventuali effetti avversi (es. salinizzazione e sodicizzazione dei suoli, CECs, batteri).

Per esempio, nell’ambito del progetto Value Ce-In sono stati valutati gli effetti nutrizionali e fisiologici di irrigazione con reflui urbani depurati su piante di pesco in vaso. Attraverso l’utilizzo diretto di reflui urbani depurati è stato possibile risparmiare una notevole quantità di fertilizzanti (macro, ma anche microelementi), senza causare danni da fitotossicità o penalizzare le caratteristiche qualitative dei frutti (resa, durezza, pH, °Brix ecc.).

Per ridurre i prelievi di acque superficiali convenzionali, tenendo conto degli attuali livelli di contaminazione dei corpi idrici, la soluzione potrebbe essere la messa a punto di tecniche di fitodepurazione e l’impiego a fini irrigui di acque di recupero derivanti da processi di lavaggio degli scarti di lavorazione delle filiere agroalimentari. Ottimi i risultati raggiunti dal progetto Rephyt (riuso-fitodepurazione), finanziato dal Psr 2014-2020, di cui il Cer è capoprogetto e l’Università di Bologna responsabile scientifico.

«Un impianto di fitodepurazione è un'infrastruttura verde che serve a depurare le acque di drenaggio agricolo da eccesso di nutrienti e agrofarmaci prima di essere reimmessa in ambiente tramite il reticolo di scolo – ha spiegato Stefano Anconelli del Cer –. Grazie a processi di degradazione batterica, sedimentazione e diluizione di nitrati, sostanza organica, coliformi, metalli pesanti ecc. si ottiene un miglioramento importante della qualità dell’acqua. Il progetto ha realizzato un’area fitodepurante con una capacità di invaso di 100 m³ per ogni ettaro di superficie scolante (circa il 3% della superficie aziendale) che ha consentito di rallentare i picchi di deflusso dell’acqua di drenaggio che vanno a determinare le piene dei canali e dei fiumi».

«Nelle annate piovose si registra un abbattimento del 70% degli azotati mentre nelle annate siccitose l’abbattimento è del 100% – ha assicurato Anconelli –. L’area fitodepurante riesce ad accumulare tutta l’acqua di drenaggio aziendale abbattendo circa 30 kg di azoto e tutti i solidi sospesi. La sfida è di proporre un piano di aree verdi ai consorzi di bonifica in modo da depurare le acque del reticolo di scolo e drenaggio regionale – ha specificato Anconelli –. Per questo si è testata l’efficacia depurante su un canale promiscuo (irriguo e di scolo) nel consorzio della Bonifica Burana ottenendo una riduzione del 60-70% di coliformi, un 40-50% di sostanza organica e azotati e 30-60% di fosfati».

Positivi anche gli esiti ottenuti dal riuso di acque reflue di origine agro-industriale provenienti dall’impianto Caviro, dove, ogni anno, vengono trattati ben 600mila metri cubi tra borlande vitivinicole interne e reflui di altre industrie agroalimentari, dai quali si ottengono circa 800mila metri cubi d’acqua attualmente scaricati nel depuratore, ma che potrebbero essere utilizzati per l’irrigazione. Dalle prove sperimentali effettuate su un vigneto a pieno campo e su colture arboree ed erbacee in vaso è risultato come le acque reflue non compromettano in alcun modo la produttività, con buone riduzioni degli apporti di fertilizzanti di sintesi e senza determinare l’accumulo di sali nel terreno. «Con 800 mila metri cubi potremmo irrigare circa 500-1000 ettari di vigneto attorno all’impianto di Caviro» ha concluso Anconelli.

Un’opportunità, ma servono invasi

Diversi operatori del settore – Sarah Magrini (Coldiretti), Carlo Carli (Confagricoltura), Riccardo Evangelisti (Cia), Silver Giorgini (Orogel) e Silvia Buzzi (Caviro) – hanno riconosciuto che le esperienze di riuso delle acque depurate rappresentano una soluzione integrativa praticabile se, naturalmente, dall’impiego che ne consegue, possano costantemente essere garantiti i massimi livelli di sicurezza e salubrità per le colture di eccellenza prodotte in Emilia-Romagna.

Occorre anche una regolamentazione unica e soprattutto stabile nel tempo, una chiara attribuzione delle responsabilità, una valutazione della sostenibilità economica per l’agricoltore e un’indagine sulla percezione del consumatore. Ma prima di tutto, come ribadito dal presidente del Cer, Nicola Dalmonte, occorre e con tempi proporzionali alle attuali esigenze (sicuramente più impellenti, visti i repentini mutamenti del clima in atto) realizzare un asset di invasi e laghetti in grado di trattenere la risorsa idrica quando presente e rilasciarla durante i periodi di maggiore carenza e stress delle colture. L’annus horribilis 2022, il più siccitoso di sempre, è infatti sempre molto vivo nella memoria di agricoltori e produttori e affinché non si verifichi ancora è fondamentale agire per tempo migliorando la capacità di adattamento delle colture senza dover rinunciare a rese e sviluppo.

Da sinistra: Riccardo Evangelisti, Sarah Magrini, Silver Giorgini, Silvia Buzzi, Carlo Carli

Alcune definizioni

Acque reflue domestiche

Si tratta di acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche.

Acque reflue industriali

Qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici o da impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento. Tra cui le acque reflue industriali biodegradabili provenienti da impianti appartenenti ai settori industriali di cui all’allegato III della Direttiva (es. trasformazione del latte, lavorazione degli ortofrutticoli, lavorazione e imbottigliamento delle bevande alcoliche, trasformazione delle patate, industria della carne, industria della birra, produzione di bevande alcoliche, lavorazione di alimenti per animali provenienti da prodotti vegetali, lavorazione di gelatina e colla a base di pelli e ossa, fabbriche di malto, industria di trasformazione del pesce).

Acque reflue urbane

Sono acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato.

Acque reflue civili

Leonardo Giorgi del Consorzio della Romagna ha fatto il punto della situazione esponendo alcuni dati relativi al 2022. «C'è stato un 40% in meno di precipitazioni rispetto agli ultimi 50 anni e temperature più elevate degli ultimi 60 anni – ha sottolineato – che ci hanno obbligato a prolungare la stagione irrigua includendo anche i mesi di febbraio e novembre».

L'utilizzo della risorsa irrigua nel 2022 nella Pianura cesenate è stato di 201.803 m³ (il 77% acqua da Cer e il 23 da riuso diretto) per una superficie di 133 ha e 60 utenze. Al 91% non si è osservata nessuna alterazione su fagiolino e fruttiferi con l'irrigazione a goccia, si sono invece osservati disseccamenti e riduzione della produzione su orticole, piccoli frutti e fragola, ritardo entrata in produzione e riduzione del prodotto per il kiwi. Tra gli obiettivi per risolvere questi problemi: effettuare una miscelazione delle acque tale da avere un valore massimo di conducibilità elettrica pari a 700 µS/m³, conoscere il valore di conducibilità elettrica in uscita dall’impianto e informare l’utenza in tempo reale.

Ma non basta per nutrire

Il progetto di ricerca condotto dall'Università di Bologna sul riuso diretto delle acque provenienti dal depuratore di Cesena su piante di pomodoro coltivate in cassoni ha fornito risultati utili per pianificare un utilizzo su larga scala delle acque reflue. Tre le tesi del progetto: in un cassone è stata somministrata acqua reflua terziaria più fertilizzante, in un’altra acqua normale più fertilizzante e nella terza solo acqua terziaria.

I risultati della tesi 1 hanno mostrato che non c’è stato aumento di salinità, differenze di pH non significative e nessun incremento delle quantità di metalli pesanti. Le concentrazioni di azoto, fosforo e potassio erano concordi al piano fertirriguo, nessun effetto fitotossico rilevato. Le analisi della tesi 3 hanno mostrato che utilizzando solo acqua reflua c’è un calo di produzione. Mentre il confronto tra la tesi 1 e la 2 ha mostrato risultati completamente sovrapponibili in termini di quantità e qualità, come sostanza secca e acidità.

Lo studio ha sviluppato e implementato anche un prototipo di centralina di irrigazione smart che misura il contenuto dei nutrienti che venivano somministrati alle piante grazie a un algoritmo. Se utilizzata in campo questa centralina permette di risparmiare fertilizzante perché riduce la dose in base a quanto già somministrato alla pianta grazie all’utilizzo delle acque reflue.

In sostanza, le acque reflue da sole non bastano per fertirrigare le coltivazioni, ma grazie ai nutrienti che contengono offrono un valido supporto alla concimazione permettendo di risparmiare fertilizzanti.

Irrigare e concimare con la stessa acqua - Ultima modifica: 2024-04-11T17:52:41+02:00 da K4

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