L’agricoltura, una luce nel tunnel del coronavirus

Massimo Mazzanti
Massimo Mazzanti
Le aziende agricole hanno sostenuto l'economia nazionale nei giorni di crisi. Ora però chiedono di poter lavorare, non assistenza: chiedono di recidere i lacci e i lacciuoli burocratici che bloccano da anni lo sviluppo delle imprese e quindi del Paese.

Si intravede la luce oltre il tunnel della crisi sanitaria. I blocchi produttivi imposti hanno risparmiato le attività del settore agricolo, zootecnico di trasformazione agroalimentare e le correlate filiere che apportano beni e servizi alle aziende del comparto.

Editoriale del numero 13 di Terra e Vita

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Possono lavorare agricoltori e loro collaboratori, familiari, contoterzisti, liberi professionisti, agronomi, veterinari, dipendenti stagionali e fissi.

L'obbligo di tutelare quello che è il primo settore economico del Paese

Il settore agricolo allargato viene da periodi felici; la filiera agroalimentare di produzione, trasformazione e distribuzione al consumo, comprendendo anche il settore della ristorazione, rappresenta (dati consolidati 2019) il primo settore economico italiano con 538 miliardi di euro di fatturato e 3,6 milioni di occupati generando un valore aggiunto di 119 miliardi di euro.

Un settore economico anticiclico e in controtendenza rispetto al resto del Paese, con un brillante 6% medio di incremento annuo sull’export (per oltre 45 miliardi) nonostante i dazi trumpiani, la Brexit, le scorrettezze concorrenziali degli altri competitors, il raffreddamento dell’economia globale.

Misurare l'impatto del Covid 19 sull'agroalimentare

Un settore che valorizza l’uomo e il lavoro con una produttività per addetto in forte rialzo. Straordinarie, nel 2019, le performance del vino (con vendite per 6,4 miliardi), del lattiero caseario (con oltre 3 miliardi e un più 11%), incrementi per pasta (7%) e prodotti da forno (11%) con vendite per oltre 5 miliardi, salumi (1,6%). In flessione il comparto oleicolo e il fresco. Certifica l’Istat che la sola agricoltura assicura un lavoro a 415.000 aziende e 1,5 milioni di addetti.

Capire l’impatto della emergenza sanitaria sul comparto agricolo ed agroalimentare è la sfida del presente, molto dipenderà dalla durata e dalla intensità del rallentamento produttivo (che è mondiale), dei prezzi internazionali, dalla tenuta del già cedente mercato interno.

Oggi soffrono le attività agrituristiche, vivaistiche e della floricoltura, ferme le aziende di manutenzione del verde e dei servizi. Positive invece appaiono le prospettive per le commoditiy, i future sui cereali sono rosei e confortanti; la trasformazione agroindustriale fatica ad assicurare la copertura degli ordini della Gdo, esaurendo gli stock; le aziende della pasta e molitorie hanno indici di sviluppo a tre cifre. Bene le prospettive della trasformazione del pomodoro, del settore vitivinicolo; carni e uova segnalati in ripresa.

Sostegni resi inaccessibili da un'asfissiante burocrazia

Non inutile evidenziare le criticità che possono ridurre le performance del settore primario e della trasformazione.

Preoccupanti sono infatti le barriere che molti paesi hanno introdotto per l’export, come critico è l’import di materie prime e la conseguente rarefazione delle scorte dei trasformatori, il crollo drammatico del turismo e della ristorazione parzialmente compensato dai consumi familiari, la interruzione di alcune importanti filiere produttive del settore, difficile ancora per gli agricoltori accedere alle misure assistenziali e finanziarie governative e al credito, stante la babele normativa e l'asfissiante burocrazia.

Quello che serve davvero non è l'assistenza ma la liberazione dai lacciuoli della burocrazia

Molto complessa è per le aziende agricole la reperibilità della manodopera stagionale.

I lavoratori stranieri in questo momento preferiscono non venire a lavorare in Italia in virtù dei rischi sanitari e di possibile contagio e per il timore di essere soggetti a quarantena al loro rientro nel paese d’origine.

Le aziende agricole, che hanno continuato a lavorare anche in questi giorni di crisi, allo Stato non chiedono soldi, chiedono di ridurre il cuneo fiscale e il costo del lavoro, di eliminare la stupida babele amministrativa che ammorba l’impresa, di facilitare l’accesso al lavoro. Chiedono in sostanza di poter lavorare, non assistenza; chiedono di liberare, e recidere se serve, i lacci e i lacciuoli che bloccano da anni lo sviluppo delle imprese e quindi del Paese.

L’agricoltura, una luce nel tunnel del coronavirus - Ultima modifica: 2020-04-21T00:18:29+02:00 da K4

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