Le aziende non investono ma i tassi non c’entrano

credito
Nonostante un decennio di costo del denaro molto basso gli affidamenti sono di poco sopra i 40 miliardi di euro

La dinamica del credito all’agricoltura nel decennio 2013 – 2023 si spiega facilmente con il ricorso all’analisi dei dati della Banca d’Italia. Sui contenuti di tasso di questa ampia dinamica si modella la parte più interessante e significativa. Banche e intermediari finanziari lavorano con molta attenzione i dati, non solo per spiegare le proprie quote di mercato, ma anche e soprattutto per cercare di prevedere trend di impiego sui quali programmare le proprie attività. Che significa tradurre la propria strategia complessiva di presenza sul mercato in azioni concrete di sostegno all’economia attraverso il credito.

Il sostantivo “credito” deriva dal latino “credere”, quindi significa avere fiducia, perciò implica un rapporto di reciproca conoscenza tra banca e azienda agricola. Conoscenza franca e sincera, che può essere amplificata e contratta solo nella conduzione della relazione tra le controparti.

Il caso particolare dell’agricoltura

In agricoltura più ancora che negli altri settori, tale conoscenza si amplifica in considerazione del reperimento e della trattazione di dati gestionali che ufficialmente non sono registrati nei documenti contabili. Come prevede la normativa di settore è infatti non necessario il ricorso alla redazione del bilancio di esercizio, fatto salvo per le società di capitali agricole.

Quindi, a maggior ragione la relazione tra persone prima ancora di quella tra controparti è fondamento della fiducia. Di quel profilo di certezza che poi diventa la valutazione del merito creditizio. A livello di sistema complessivo la fiducia e quindi la propensione all’investimento è dimostrata dal ricorso al credito, che in agricoltura, come tutti sanno, è uno strumento di programmazione definito e indipendente dal resto dell’attività creditizia.

Denaro a prezzo di saldo

I dati di Banca d’Italia evidenziano uno stock di finanziamenti all’agricoltura al 31/12/2013 di 44,09 miliardi di euro. Si tratta di finanziamenti in bonis (all’epoca), quindi prestiti non deteriorati, che appunto non prenderemo a riferimento in questo contesto.

Quarantaquattro miliardi sono uno stock significativo, rappresentato da atti di fiducia, ovvero credito, verso investitori del settore agricolo. All’epoca il parametro Euribor 3 mesi, che in questa sede prenderemo come riferimento per la costruzione del tasso, ammontava a 0,29 punti percentuali. A questo si aggiungevano spread, cioè il ricarico sul parametro, di 2 o 3 punti percentuali. Quindi, con molta approssimazione, possiamo ricostruire un tasso finito, per ogni euro di prestito facente parte dello stock, intorno a una media di mercato del 3,5%, più o meno. Un prezzo, perché di questo si tratta, decisamente contenuto.

Dopo cinque anni, al 31/12/2018, ritroviamo uno stock a 43,22 miliardi di euro. Un ammontare complessivo decisamente più scarso rispetto alla rilevazione precedente. Tasso medio di mercato, ripeto, ricostruito con molta approssimazione, intorno a 2,5 punti percentuali. Composto a sua volta da un Euribor 3 mesi in negativo a -0,31% e spread da 2 a 3 punti percentuali. In quegli anni venne introdotto il cosiddetto floor, ovvero la nota possibilità di far partire l’incremento dello spread da 0 anziché da -0,31%.

Una generazione di neo bancari e neo direttori finanziari ha visto l’ingresso nel mondo del lavoro con questa dinamica. In pratica hanno ragionato, nella scelta o proposta del tasso in termini di importo finito, non più parlando di parametro e spread. Lo stesso concetto di spread è diventato famoso come differenziale sui titoli di Stato piuttosto che come leva conosciuta e gestita da offerenti credito. Detto in termini molto chiari, nel periodo 2018 – 2022 non si è mai pensato a una parametrazione più spread nella costruzione del tasso. Ma piuttosto a una proposta di tasso finito. Tutto questo anche a discapito della chiarezza interpretativa sulla proposta di tasso fisso, notoriamente parametrato ad Irs (Interest Rate Swap) che ha una durata certa, garantita per più anni. Ma appunto il problema non si è posto più.

Arriviamo al dato del 31/12/2022 rispetto al nostro stock, 40,44 milioni di euro. Un netto, significativo calo di apporto di fiducia, di investimenti. Perlomeno di quelli sorretti dalla leva del credito bancario. Sull’analisi del tasso si apre ora uno scenario ben diverso. Euribor a 3 mesi al 2,13%. Salito in 12 mesi alla percentuale richiamata dal -0,51% del gennaio 2022. La positività è stata ritrovata in corrispondenza del mese di luglio (0,07% nella rilevazione del 15 luglio 2022).

Quindi, improvvisamente, a livello di offerta si è tornati a parlare di spread oltre il parametro. La relazione, di cui si è detto prima, è tornata a incentrarsi su una trattativa a fronte della proposta di un differenziale sul parametro. Uno scenario che appunto ha preso in contropiede, soprattutto in termini culturali, una generazione di bancari e direttori finanziari di giovane età professionale. Tasso medio di mercato 4,5%.

Da aggiungere, per la cronaca, che a luglio 2023 l’Euribor a 3 mesi si è posizionato sul 3,6%. Con uno spread di due punti percentuali superiamo il 5,5% di tasso medio di mercato. Uno scenario del tutto nuovo, atipico se ci riferiamo all’ultimo decennio di rilevazione. Con aziende che a oggi si trovano a fare i conti con un prezzo del denaro decisamente più elevato.

Se non (fin)ora quando?

L’aporia però non va cercata nel dato di scenario e quindi nel prezzo. Va scovata semmai nella sorprendente dinamica di utilizzo. Giunti ai 40,44 miliardi di euro di stock, ci si chiede se questi siano dipendenti dal prezzo o meno. Retorica è la risposta più che la domanda. È evidente, infatti, che la variabile prezzo non è correlata alla variabile utilizzo. L’investimento è indipendente dal prezzo.

Cause approssimativamente rintracciabili non possono che essere quelle rappresentabili in due ampi aggregati. 1) Approvvigionamento di denaro da parte delle aziende: queste hanno usato soldi propri o soldi di altri ma non certo delle banche, non implementando così lo stock di finanziamenti erogati. 2) Carenza di investimenti da parte delle aziende: questo aspetto è tuttavia da leggere in abbinamento alla presenza e attivazione di bandi pubblici per investimento come i Psr afferenti alla misura 4 della programmazione 2014-2022. Risorse pubbliche in programmazione pluriennale ci sono state e ci sono ancora, siamo quindi in presenza di una correlazione debole tra occasione e sostegno pubblico.

Altra correlazione, questa volta maggiormente positiva, può essere fatta con il numero di aziende agricole. Effettivamente in un decennio, siamo passati da più di 1,4 milioni a poco più di 1,3 milioni di unità. Fatto salvo il tema, noto, dell’effettiva dimensione e quindi ottimizzazione operativa delle aziende agricole, è molto intuitivo come la perdita di numerosità sia concentrata su aziende di piccola e piccolissima dimensione, non più efficienti.

In conclusione, siamo di fronte a un tema significativo. Che deve essere spiegato con cura anche in altri contesti. Oltre che in successivi interventi.

Le aziende agricole, a fronte di tassi di interesse bassi, non hanno acquistato denaro, quindi non hanno investito. Cosa succederà nei prossimi mesi e anni con livelli di prezzo decisamente più altri rispetto al decennio passato?

Le aziende non investono ma i tassi non c’entrano - Ultima modifica: 2023-07-21T16:13:28+02:00 da K4

1 commento

  1. Sappiamo bene che le aziende che compongono i nostri portafogli ( circa il 90% ) appartengono al settore small business , con fatturato sotto il milione di Euro ; la gestione di queste aziende è prettamente familiare con le diverse generazioni che si avvicendano nell’ attività . C’è una bassa propensione all’indebitamento perchè questa categoria nella maggior parte dei casi ha sempre preferito finanziare gli investimenti con mezzi propri piuttosto che ricorrere al credito bancario . Questa ” metodologia ” comportamentale viene trasmessa di padre in figlio soprattutto in quelle aziende in cui le produzioni sono condizionate da fattori o eventi metereologici che indicono l’imprenditore ad avere un atteggiamento prudenziale verso gli investimenti . Di conseguenza il ricorso al credito , per molte aziende è inesistente .
    Personalmente noto una maggiore propensione all’indebitamento in aziende di tipo zootecnico , dove la produzione è indipendente da fattori esterni o dipendente in misura molto marginale .
    Però qui si apre un discorso molto ampio che riguarda soprattutto il passaggio generazionale .

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