I dubbi sul matrimonio tra elettricità e agricoltura

agrivoltaico
Mancano le regole operative per gli incentivi e dati affidabili sul comportamento delle colture coltivate sotto i pannelli

L’agrivoltaico è un impianto fotovoltaico collocato su terreno agricolo con montaggio dei moduli elevati da terra, anche prevedendo la rotazione dei moduli stessi, in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale, anche consentendo l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione, nonché dotato di sistemi di monitoraggio, che consentano di verificare l’impatto sulle colture, il risparmio idrico, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture e la continuità delle attività delle aziende agricole interessate.

Quale tipo di impianti

Il Decreto-legge del 24/01/2012 n. 1 all’articolo 65 esclude gli impianti fotovoltaici a terra, su terreni agricoli, dagli incentivi, con la sola eccezione degli impianti agrivoltaici. Coerentemente con questa eccezione, il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, a metà febbraio, ha pubblicato il decreto che promuove la realizzazione di sistemi agrivoltaici innovativi di natura sperimentale che dà attuazione alla misura di investimento del Pnrr denominata “Sviluppo agro-voltaico”. Il provvedimento, che stanzia oltre un miliardo di euro, è in vigore e ha l’obiettivo di realizzare almeno 1,04 gigawatt di nuovi impianti fotovoltaici su terreni agricoli, nei quali possano coesistere la produzione di energia elettrica e l’attività agricola.

«Il decreto prevede che l’impianto abbia caratteristiche ben precise – ha spiegato il responsabile agrisolare dell’associazione nazionale bieticoltori Tommaso Honorati – e quindi è necessario adottare congiuntamente soluzioni integrate innovative di montaggio dei moduli fotovoltaici elevati da terra e sistemi di monitoraggio dell’attività agricola (al di sotto dei moduli) che consentano di verificare l’impatto dell’installazione fotovoltaica sulle colture».

Sono diversi i fattori che la sperimentazione deve poter misurare (sulla base di linee guida adottate dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria-Crea in collaborazione con il Gse: il risparmio idrico, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture, la continuità delle attività delle aziende agricole interessate, come pure il recupero della fertilità del suolo, il microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici. Inoltre, l’impianto agrivoltaico innovativo di natura sperimentale deve destinare almeno il 70% della superficie totale del sistema agrivoltaico all’attività agricola e avere i moduli installati a un’altezza minima da terra di 1,3 metri in caso di attività zootecnica e di 2,1 per le coltivazioni (Linee guida per gli impianti agrivoltaici del Mite, giugno 2022).

Gli incentivi

Per promuovere la realizzazione di questi sistemi ibridi agricoltura-energia, la misura prevede l’erogazione di un contributo a fondo perduto nella misura massima del 40% dei costi ammissibili relativi a spese che vanno dalla realizzazione dell’impianto agrivoltaico (moduli, inverter, strutture montaggio moduli ecc.), ai sistemi di accumulo, alle attrezzature per il sistema di monitoraggio. È inoltre previsto un incentivo sull’energia netta immessa in rete (tariffa premio/tariffa onnicomprenisva) per 20 anni. Il valore della tariffa incentivante è determinato dal Gse come differenza tra la tariffa spettante (determinata a partire dalla tariffa di riferimento) e il prezzo dell’energia elettrica zonale orario. L’energia prodotta resta nella disponibilità del produttore, che provvede autonomamente alla valorizzazione sul mercato (vendita energia). La tariffa incentivante prevista dal decreto è detta “meccanismo a due vie” essendo l’incentivo modulato in relazione all’andamento del mercato elettrico e si pone l’obiettivo di stabilizzare i ricavi al variare del prezzo dell’energia elettrica.

«Nel caso degli impianti di potenza non superiore a 200 kW, in alternativa alla tariffa incentivante è possibile richiedere una tariffa omnicomprensiva sulla produzione netta immessa in rete e in questo caso il Gse provvede direttamente al ritiro e alla vendita dell’energia elettrica – ha precisato Honorati –. Per quanto riguarda gli impianti di potenza oltre 1 MW, nell’istanza di partecipazione alle procedure di assegnazione dei contributi, i proponenti devono offrire una riduzione percentuale sulla tariffa di riferimento non inferiore al 2%».

energia elettricaIn attesa delle regole operative

Entro i quindici giorni successivi alla pubblicazione del decreto avrebbero dovuto essere approvate dal ministero, su proposta del Gse, le regole operative che dovranno disciplinare le modalità e le tempistiche di riconoscimento degli incentivi nonché i requisiti dimensionali e costruttivi degli impianti, le caratteristiche e le modalità di monitoraggio. Le regole operative a oggi non sono ancora disponibili.

«Potenzialmente – ha aggiunto Honorati – gli impianti agrivoltaici potrebbero anche fare richiesta di accesso all’attuale decreto di incentivazione dell’energia immessa in rete prevista dal D.M. Fer (fonti energetiche rinnovabili) del 04/07/2019, tuttavia per il Gse è tecnicamente impossibile procedere perché si resta in attesa di decreto del MiTE e lo stesso Decreto Fer dovrà essere superato da un nuovo decreto per l’incentivazione dell’energia immessa in rete».

Il Gse, che gestirà la misura per conto del ministero, emanerà un primo avviso pubblico per la presentazione delle istanze. Anche questo avrebbe dovuto essere pubblicato entro trenta giorni dall’approvazione.

I tempi di ultimazione, per contro, sono fissati dal Pnrr, per cui gli impianti ammessi agli aiuti dovranno entrare in esercizio entro i diciotto mesi a decorrere dalla data di comunicazione dell’esito della procedura e comunque non oltre il 30 giugno 2026. L’accesso alle procedure di assegnazione degli incentivi, che probabilmente saranno due tra la primavera e l’autunno, è consentito agli impianti in possesso di specifici requisiti tra cui il possesso del titolo abilitativo alla costruzione e all’esercizio dell’impianto e il possesso del preventivo di connessione alla rete elettrica accettato in via definitiva.

Agronomia e ambiente

«Il concetto di agrivoltaico è stato concepito da Adolf Goetzberger e Armin Zastrow nel 1981 – ha spiegato il ricercatore del Dipartimento di Scienze chimiche, farmaceutiche e agrarie dell’Università di Ferrara Emanuele Radicetti – dobbiamo però attendere Akira Nagashima per vedere i primi prototipi sviluppati nel 2004 in Giappone, mentre il termine “agrivoltaico” è stato utilizzato in una pubblicazione per la prima vo

lta nel 2011». È del tutto evidente che la tecnologia necessita ancora di studi sperimentali per poter implementare le conoscenze relative alla coesistenza sul medesimo terreno di impianto fotovoltaico e colture o allevamento. «Serve un approccio che in agroecologia viene definito olistico – ha avvertito Radicetti – ossia che prenda in considerazione tutti gli aspetti di un agroecosistema intersecato con l’impianto di produzione energetica». È dunque presto per affermare che l’agrivoltaico possa essere la soluzione del futuro, ma una ricerca condotta da Christophe Dupraz e da suoi collaboratori indica che i sistemi agrivoltaici aumentano la produttività globale del suolo arrivando a fornire il 160% di entrambe le tipologie di produzione, a parità di superficie.

«Integrare il tipo di copertura del suolo, come i pannelli fotovoltaici con la vegetazione nativa e/o coltivata nell’intera area investita per la produzione energetica e di cibo comporta la realizzazione di sistemi consociati complessi – ha aggiunto Radicetti –. Certo è che il processo fotosintetico assorbe solo l’1% dell’energia solare che arriva sul pianeta. Questa stessa energia corrisponde a nove volte il consumo energetico di tutti gli abitanti della Terra. Vale a dire che circa il 10% dell’1% dell’energia solare basterebbe a soddisfare il bisogno energetico di tutta la popolazione mondiale». L’agrivoltaico ha inoltre l’obiettivo di non sacrificare la produzione agricola alla produzione energetica.

Le linee guida del Mite

«Un impianto agro-fotovoltaico si realizza quando in un’area agricola i pannelli fotovoltaici sono dotati di tracker monoassiali che consentono di inseguire la traiettoria del sole evitando l’ombreggiamento permanente di una parte del suolo (aumentando fino al 20% l’energia prodotta) – ha precisato Radicetti – e posti a un’altezza e a una distanza tali da non incidere sulla normale attività agricola, ma che anzi possono favorirla».

Per distinguere le varie tipologie di impianti agrivoltaici si fa rifermento le linee guida del Mite (Ministero della transizione Ecologica) pubblicate il 28 giugno 2022.

Possono in particolare essere definiti i seguenti requisiti:

A: Il sistema è progettato e realizzato in modo da adottare una configurazione spaziale ed opportune scelte tecnologiche, tali da consentire l’integrazione fra attività agricola e produzione elettrica e valorizzare il potenziale produttivo di entrambi i sottosistemi;

B: Il sistema agrivoltaico è esercito, nel corso della vita tecnica, in maniera da garantire la produzione sinergica di energia elettrica e prodotti agricoli e non compromettere la continuità dell’attività agricola e pastorale;

C: L’impianto agrivoltaico adotta soluzioni integrate innovative con moduli elevati da terra, volte a ottimizzare le prestazioni del sistema agrivoltaico sia in termini energetici che agricoli;

D: Il sistema agrivoltaico è dotato di un sistema di monitoraggio che consenta di verificare l’impatto sulle colture, il risparmio idrico, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture e la continuità delle attività delle aziende agricole interessate;

E: Il sistema agrivoltaico è dotato di un sistema di monitoraggio che, oltre a rispettare il requisito D, consenta di verificare il recupero della fertilità del suolo, il microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici.

Il rispetto dei requisiti A e B configurano un impianto fotovoltaico realizzato in area agricola come “agrivoltaico”. Il rispetto dei requisiti A, B, C e D è necessario per soddisfare la definizione di “impianto agrivoltaico avanzato” e, in conformità a quanto stabilito dall’articolo 65, comma 1-quater e 1-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, classificare l’impianto come meritevole dell’accesso agli incentivi statali a valere sulle tariffe elettriche. Il rispetto dei A, B, C, D ed E sono pre-condizione per l’accesso ai contributi del Pnrr, fermo restando che, nell’ambito dell’attuazione della misura Missione 2, Componente 2, Investimento 1.1 “Sviluppo del sistema agrivoltaico”.

Cosa coltivare “sotto”

«Nella progettazione di un impianto agrivoltaico – ha fatto notare Radicetti – è importante la collaborazione stretta tra lo studio agronomico e quello di progettazione dell’impianto. Vanno contemperate le caratteristiche climatiche del sito e quelle pedologiche (importante anche la carta dei suoli) per giungere all’analisi delle specie da coltivare, eventualmente differenziate funzionalmente al variare delle caratteristiche del sito».

Il piano agronomico (relazione agronomica) è la relazione tecnico-descrittiva predisposta da un professionista che riporta tutti gli aspetti tali da consentire una valutazione complete del progetto agricolo.

Con riguardo alla compresenza dell’attività agricola con gli impianti fotovoltaici, nelle linee guida del Mite, viene riferito che alcuni studi, condotti in Germania hanno riportato una prima valutazione del comportamento di differenti colture sottoposte alla riduzione della radiazione luminosa, distinguendole in “colture non adatte”, le piante con un elevato fabbisogno di luce, per le quali anche modeste densità di copertura determinano una forte riduzione della resa come ad es. frumento, farro, mais, alberi da frutto, girasole ecc.; “Colture poco adatte” ad es. cavolfiore, barbabietola da zucchero, barbabietola rossa; “Colture adatte”, per le quali un’ombreggiatura moderata non ha quasi alcun effetto sulle rese (segale, orzo, avena, cavolo verde, colza, piselli, asparago, carota, ravanello, porro, sedano, finocchio, tabacco); “Colture mediamente adatte” ad es. cipolle, fagioli, cetrioli, zucchine; “Colture molto adatte”, ovvero colture per le quali l’ombreggiatura ha effetti positivi sulle rese quantitative come ad es. patata, luppolo, spinaci, insalata, fave.

«Il problema più grande – ha concluso il ricercatore – è che in questo momento non esistono sperimentazioni consolidate che offrano dati per garantire quale specie è meglio coltivare a determinate condizioni sotto un impianto. Occorrono gli indici di performance, ma vanno costruiti. Anche a tal fine, per ciascun impianto, andrebbe misurata la resa pre-installazione e quella post installazione».

Gli oltre 130 collegamenti al webinar di Confagricoltura Emilia-Romagna dedicato all’agrivoltaico del 15 marzo scorso sono un chiaro segnale di quanto interesse goda oggi il tema. L’iniziativa era inserita in più ampio progetto Erasmus+Tango-Circular nell’ambito del quale Confagricoltura ed Enapra, insieme all’Università degli Studi della Basilicata, partner capofila, stanno organizzando una serie di rural labs. Coordinati da Serena Elsanino, sono intervenuti Tommaso Honorati di Anb ed Emanuele Radicetti dell’Università di Ferrara approfondendo sia gli aspetti normativi, sia quelli agronomici.

Secondo studi condotti in Germania tra le colture più adatte a essere coltivate sotto i pannelli fotovoltaici ci sono patate, luppolo, spinaci, insalata e fave. Mentre cavolfiori e barbabietole da zucchero sarebbero tra le meno adatte

I dubbi sul matrimonio tra elettricità e agricoltura - Ultima modifica: 2024-04-09T17:13:40+02:00 da K4

1 commento

  1. come si coniuga l’istallazione di tali impianti con i contributi PAC ed in particolare con i pagamenti diretti
    ?
    l’imprenditore agricolo può continuare a percepire i premi PAC?

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