Jacopo Vagaggini, classe 1991, è un giovane enologo senese di terza generazione, già creatore di vini di fama mondiale. Forte di un bagaglio formativo robusto costruitosi all’estero, tra Oxford, Bordeaux (nel cuore dell’enologia mondiale) e Argentina, dove ha imparato i segreti del vitigno Malbec; oggi studia e testa tecniche, metodi e vini dall’allevamento della vigna all’assemblaggio del vino e al suo invecchiamento in cantina, presso il polo sperimentale dell’azienda vitivinicola di famiglia Amantis (Gr).
«Soddisfatto delle mie esperienze all’estero, nel 2016 sono rientrato a Siena con l’obiettivo di avviare una nuova produzione: un vigneto all’avanguardia senza utilizzo di chimica e meccanica». Lo afferma Vagaggini, che oggi tra le colline senesi coltiva 6 ettari di vitigni (Sangiovese, Canaiolo a raspo rosso, Colorino, Cabernet Franc, Merlot, Alicante, Petit Verdot e Viognier) spaziando tra metodi tradizionali e innovazioni legate alla viticoltura biologica, come la coltivazione ad alberello ad altissima densità, la concimazione mista e la coltura promiscua.
In cosa consiste la coltivazione ad alberello ad altissima densità?
Questo tipo di coltivazione serve per comprendere al meglio la reazione delle viti in condizioni di forte stress. Lo studio avviene in un vigneto con una densità di 20.000 ceppi per ettaro, circa 4 volte quella di un vigneto classico; le piante sono allevate ad alberello ad una distanza di 0,7 m x 0,7 m. Questo impianto, tra i più densi al mondo, genera una competizione estrema tra le piante, che sono spinte al limite delle proprie possibilità. La crescita aerea rimane contenuta, con tronchi che raggiungano uno sviluppo di circa 50cm.
In questo vigneto ho adottato un approccio diverso alla viticoltura, molto più severo: nessun trattamento e pochissime lavorazioni, solo manuali. In inverno viene fatta la potatura, in primavera i tralci vengono legati e niente più. Non essendoci passaggio di trattori, il terreno rimane morbido e arieggiato, senza problemi di compattazione che portano in asfissia le radici nei periodi siccitosi. L’erba cresce molto poco, frenata dalla competizione con le viti per l’approvvigionamento di acqua.
Nessuna lavorazione meccanica, quindi emissione di carburante, e nessun trattamento chimico, dicevi. Un vigneto eco-friendly dunque?
Esattamente. Le piante non vengono trattate chimicamente. A primavera le viti sono legate a forma di goccia, facendo sì che le foglie si sviluppino sulla superficie verticale e che i grappoli rimangano arieggiati nella parte sottostante. Con questa configurazione riesco a sfruttare al meglio le correnti di aria provenienti dal vicino vulcano del Monte Amiata, che si distribuiscono su tutti e quattro gli angoli della pianta, mantenendo l’uva sana e asciutta.
Ho sempre sognato una vigna capace di sfruttare al meglio le incredibili risorse delle viti. Negli ultimi anni queste piante si sono molto indebolite per via dell’eccesivo impiego di prodotti chimici e trattamenti meccanici. Il risultato in questi anni di sperimentazioni è sorprendente: le piante sono capaci di gestirsi in maniera praticamente autonoma, garantendo una produzione costante e di alta qualità.
Come mai hai deciso di investire in questo tipo di impianto?
Per valutare le reazioni di queste viti agli stress ambientali più ricorrenti nella viticoltura odierna, tra cui siccità, carenze nutritive e attacchi di agenti patogeni. È nell’estremo che spesso si trovano le risposte ai propri quesiti.
Stai sperimentando anche la tecnica della coltura promiscua e della concimazione mista, con quali obiettivi?
La coltura promiscua è una pratica molto utilizzata nel bio. Ogni anno pianto diverse
essenze tra i filari, tra cui favino, orzo, verza, rafano, pisello e trifoglio, con l’obiettivo di valutare l’impatto di ciascuna di esse sulla fertilità e la compattazione del terreno. Il mio obiettivo è produrre combinazioni ideali per ciascun tipo di suolo, utilizzando per esempio la forte capacità decompattante del rafano e il forte apporto azotato della veccia.
La concimazione mista riguarda un nuovo impianto di vigna che verrà effettuato questa primavera, nel quale saranno interrati diversi tipi di letame: ovino, suino, bovino ed un mix di questi. Sappiamo che ciascun letame ha caratteristiche diverse: per esempio quello ovino è generalmente ricco in azoto e fosforo e povero di potassio, di cui invece è ben fornito il letame equino. Voglio quindi testare come i diversi tipi di letame influenzino la crescita vegetativa di piante coltivate in un terreno omogeneo.
Quali innovazioni e ricerche adotti nelle fasi di vinificazione e affinamento in cantina?
Le sperimentazioni che conduco sono mirate a esaltare la tipicità dei prodotti e a contrastare le problematiche correnti, come la diminuzione di acidità e l’aumento delle gradazioni alcoliche. Ogni anno testo nuovi ceppi di lieviti con capacità innovative, per esempio con potere acidificante, così come batteri in grado di utilizzare piccole quantità di acido malico la cui concentrazione nei mosti diventa sempre minore come conseguenza dello stress idrico della pianta. Per contrastare l’aumento di gradazioni alcoliche lavoro da tempo ad alcuni ceppi di lievito in grado di prolungare la fermentazione gliceropiruvica; questo porterebbe a vini con gradazioni più basse e concentrazioni di glicerolo più elevate, quindi con una maggiore sucrosité (dolcezza).
Mi interrogo spesso su quali materiali rispettino maggiormente il vino nel corso dell’affinamento. Per questo ogni anno testo nuove tipologie e tostature di legno ma anche materiali innovativi come il cocciopesto, un mix di frammenti laterizi e malta utilizzato già dagli antichi romani nella costruzione degli acquedotti.
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