Mario Braga: «In Italia non ci sarà sviluppo senza professioni tecniche»

periti agrari
Il collegio nazionale dei periti agrari sta dialogando con il Governo per rendere abilitante all’esercizio della libera professione il titolo Its in ambito agroalimentare

«L’Italia si gioca tutto sulla formazione e sulla capacità di spendere bene e in fretta i fondi europei. E per farlo le professioni tecniche sono indispensabili come ha detto il premier Mario Draghi nel discorso del suo insediamento». C’è un misto di orgoglio e passione nelle parole del presidente del Collegio nazionale dei periti agrari e periti agrari laureati Mario Braga, impegnato in queste settimane per valorizzare e riconoscere i percorsi professionalizzanti degli Istituti tecnici superiori dell’agroalimentare. Oggi il titolo che assegnano non è pienamente riconosciuto in termini giuridici.

«Questo crea una discriminate per chi vuole partecipare ai concorsi pubblici – spiega Braga –. Di solito nei bandi pubblici che prevedono l’assegnazione di punteggi per i titoli di studio, chi ha frequentato un Its è penalizzato, perché si vede riconosciuti gli stessi punti di un diplomato, mentre ai laureati ne sono attribuiti 7. Un’incongruenza per chi ha una preparazione “superiore”, avendo frequentato un Its, e più lunga di due anni rispetto a un diplomato».

Cosa avete chiesto al governo?

Che il percorso formativo degli Its possa essere riconosciuto come abilitante l’esercizio della libera professione. Oggi ne riconosciamo l’assolvimento del tirocinio e la possibilità d’iscrizione agli esami di Stato. Riconoscendone la necessaria e positiva novità pedagogica e professionalizzante, il Collegio nazionale e tutta la categoria dei periti agrari ha offerto la sua disponibilità per definire profili e contenuti dei percorsi professionalizzanti, compartecipando al rafforzamento dei programmi didattici e comparteciperemo alle fasi di alternanza scuola-lavoro (tirocini). Riteniamo urgente pertanto riconoscere il valore giuridico dei titoli di studio e riconoscerne il valore abilitante, senza richiedere ai giovani un ulteriore e ripetitivo esame. Occorre “tornare al futuro”, prima del 1991, quando il titolo permetteva ai giovani di iscriversi al Collegio e di avviare la propria avventura libero professionale.

Quanto tempo ci vorrà perché la proposta diventi legge e poi sia pienamente operativa?

L’onorevole Puglisi, segretaria particolare del ministro Bianchi, ha chiesto a noi e alla rete degli Its ambito agroalimentare, coordinata dal professor Vito Savino, di formalizzare la nostra proposta attraverso un documento chiaro e sintetico, poiché l’ha giudicata interessante e percorribile. La norma potrebbe essere approvata anche in tempi brevi, prima dell’estate, considerato che questi indirizzi sono strategici per rilanciare e riavviare il nostro Paese. Il Governo lo ha già inserito fra i punti qualificanti del Recovery Plan e del Pnrr. E di fronte alla solidità del governo Draghi confidiamo che il 2021 sia l’anno delle riforme strutturali degli indirizzi tecnici agrari e degli Its. Confidiamo che la riforma sia applicata e pienamente operativa all’inizio del nuovo anno scolastico.

Presidente ci spiega cosa sono gli Its?

Attivi dal 2010, sono uno sguardo volto al futuro di generazioni con solida preparazione umanistica e spiccata preparazione tecnico scientifica. Un coniugare sapere e saper fare che si condensano in competenze che la società e il territorio attendono da tempo. Gli Istituti tecnici superiori sono un corso post diploma della durata di quattro semestri, dove aula, laboratori e alternanza scuola-lavoro s’innestano fra loro come rami di un unico albero. Gli Its, nell’ambito di quel processo di innalzamento del livello di qualità professionale che richiede l’innalzamento dei parametri di preparazione, sono e potrebbero rappresentare il nuovo ciclo di professionalizzazione dei giovani periti agrari.

È un po’ come tornare al futuro. Ripartire dai padri dell’istruzione tecnica dell’ottocento per costruire l’istruzione tecnica del nuovo millennio. Gli Its sono un centinaio in tutta Italia, di cui 18 dedicati alle professioni agroalimentari, dislocati lungo tutta la Penisola, e hanno una percentuale di occupati superiore all’80%, ma con la disponibilità di nuove risorse potrebbero uscire dalla marginalizzazione per assumere pieno riconoscimento e dignità professionalizzante.

Quanti sono i diplomati in agraria che scelgono di frequentare un Its?

Sono percentuali limitate, abbiamo 18 corsi quindi circa 400 allievi. Negli ultimi tempi va crescendo l’interesse verso questo percorso. La capacità attrattiva varia da zona a zona e non è secondario l’aspetto socio territoriale e gli sbocchi occupazionali. Tra i molti nodi da sciogliere ce n’è però uno che ancora oggi limita le potenzialità di questo percorso formativo. Gli Its, mancano di raccordo strutturale con gli istituti tecnici e con l’università.

Quello dell’orientamento è un tema caldo nel mondo della scuola.

Spesso più che orientamento è marketing e qualche volta vera e propria pubblicità ingannevole. I giovani sono considerati da molti merce da acquistare. Non mancano però alcune esperienze pedagogiche serie. Gli studenti ricevono materiale pubblicitario, visitano qualche volta luoghi per scegliere. La mancanza di orientamento lo registriamo nell’elevatissima mortalità scolastica. Purtroppo portiamo con noi questa negativa pole position europea. L’orientamento è ragionare, riflettere, aiutare a intraprendere una strada.

Nel nostro Paese c’è una carenza spaventosa di orientamento che poi si ripercuote in un dato molto allarmante e disarmante: tre ragazzi su quattro non trovano il lavoro corrispondente al loro percorso formativo e al loro titolo di studio. Di questi tre su quattro, la metà rischia di diventare neet, quindi posti al margine della vita sociale e dei lavori. Su dati Ocse ho stimato che questo incide sulle famiglie e sulla collettività per circa 5 miliardi di euro all’anno. Un dato sociale ed economico drammatico.

Quali sono oggi gli sbocchi lavorativi per i periti agrari?

In Italia si stima ci siano circa mezzo milione di periti agrari. Un esercito. Lavorano nelle loro imprese agricole. Sono quegli imprenditori che hanno affermato il nostro Made in Italy. Sono numerosi i figli di imprenditori che si diplomano, si specializzano e poi vanno affiancano la famiglia nell’azienda di famiglia, innovandola e contribuendo così ad elevare il livello qualitativo della gestione. Alcuni si laureano diventando, con i diplomati Periti Agrari spesso ricercatori e innovatori in proprio. Poi c’è tutta la filiera agricola e agroalimentare. Dai commercianti di mezzi tecnici alle organizzazioni professionali, dalle cooperative agli organismi di controllo e verifica. E poi gli uffici pubblici e… la regina dei lavori: "la libera professione".

E ancora, le aziende di trasformazione che hanno bisogno di tecnici per eseguire controlli e certificazioni per il settore biologico, ovvero sulle materie prime che acquistano e trasformano. I periti agrari sono stimati e apprezzati i quanto portatori di competenze di altissimo valore. Non dobbiamo dimenticare i nuovi e ampi spazi che potrebbero aprirsi per ristrutturare e riorganizzare una filiera agroalimentare che abbisogna di rivedere e ammodernare processi produttivi, accompagnando l'applicazione di quella sostenibilità che ci aiuta a riconciliarci con la nostra terra e i suoi frutti.

Ad esempio?

In Italia siamo deficitari nella produzione di piante officinali per circa l’80-90% del fabbisogno. Due anni fa il Mipaaf ha proposto una legge quadro per il settore. Ma quel disegno giace ancora in qualche ufficio per la pettinatura della lana caprina. Se fosse approvata si aprirebbero in tutta la filiera, opportunità di lavoro per i diplomati professionisti agrari. Si pensi ad esempio all’industria della cosmesi. Non trascuriamo nemmeno quell’agricoltura sociale che più di ogni altra attività è diventato il luogo del recupero, dell’inserimento sociale e occupazionale dei diversamente abili sia fisici che mentali.

Quanto è importante, quanto vale l’agricoltura sociale per il recupero e l’assistenza di persone fragili o con handicap? Anche questo è una ricchezza per il Paese e un’opportunità di lavoro per i diplomati in agraria e potrebbe essere potenziata e strutturata. Penso anche alle viticolture del sud, dove a fianco di alcune aziende all’avanguardia c’è un numero elevato di produttori che vivono in zone vocate, ingabbiati da produzioni sottovalutate; terre baciate da Dio, per quei profumi e quelle caratteristiche uniche al mondo. Potremmo continuare a lungo, quindi gli spazi per lavorare in maniera professionale sono ampi ma potrebbero essere ulteriormente incrementati.

Cioè?

Un esempio fra tutti, la sicurezza sul lavoro. Di recente il report Inail sugli incidenti sul lavoro ha divulgato dati in apparenza confortanti per il settore primario: nel 2020 le morti in campagna sono state 113 contro le 151 del 2019. Un calo significativo, ma non basta. Perché una legge come la 626 riformata nel 2088 con il D. Lgs 81 non è di facile applicazione soprattutto nelle piccole aziende agricole.

Occorre cambiare paradigma, passare dal controllo alla cultura, trasferendo l’esperienza di professionisti qualificati nelle imprese come consulenti, accompagnatori, della qualità di un lavoro sicuro. Senza dimenticare che la cultura si apprende a scuola, proprio in quegli Istituti tecnici agrari, e Its che dovrebbero porre questo tema nei programmi didattici avvalendosi di professionisti che vivono quotidianamente la materia. Spesso la sicurezza sui posti di lavoro richiede solo attenzione, non sempre grandi investimenti. Se hai una vasca dei liquami senza barriera puoi saldare due tubi e spendendo poco risolvi il problema.

Come valuta i primi cento giorni del ministro Patuanelli?

E chi l’ha visto? Un po’ perché è stato nominato da poco e ha assegnato le deleghe da pochissimo. Anche se Patuanelli ha dimostrato di aver lavorato bene al Mise ed è stato apprezzato da molti. Pure i sottosegretari sono persone di esperienza, quindi sono fiducioso. Più in generale, però, questo esecutivo ha un grande problema: non ha più tempo, quindi se non ascolta voci libere da rivendicazioni corporative o politiche rischia di non farcela. Qui c’è da fare una vera e propria rivoluzione. Speriamo.

Quali sono i dossier su cui dovrebbe concentrarsi di più?

Sicuramente la riforma di Agea. Il settore agricolo italiano non può attendere oltre. Da Agea dipende la gestione dinamica e moderna delle risorse europee senza le quali non si può pensare a un’agricoltura moderna e sostenibile. Non si lascia alla giustizia la soluzione dei problemi della politica. Patuanelli dovrebbe prendere in mano questo grave problema ascoltando tutte le voci, anche quella dei professionisti. Agea dovrebbe modernizzare il proprio modello gestionale, raccordarsi di più con le strutture territoriali ed erogare le risorse in tempi molto più brevi, anche correndo il rischio di assegnare fondi a chi non ne ha diritto. La burocrazia amica, tempestiva che si rafforza con controlli e verifiche altrettanto puntuali e tempestive. Il supporto dei periti agrari è centrale per riorganizzare servizi che creano sviluppo attuando un concertato principio di sussidiarietà.

Cosa pensa della querelle sul riparto dei fondi Feasr, nella quale il ministro gioca un ruolo di primissimo piano?

La competizione tra Regioni è una delle pagine meno importanti per il settore primario. Fondamentale è che le risorse arrivino e siano spese in tempi brevi. Poi che qualcuno prenda un po’ di più e altri un po’ di meno cambia poco. Uno dei gravi ritardi di caratterizza il nostro Paese è che spendiamo le risorse europee a fine agenda, li spendiamo male o non li spendiamo affatto. Propongo una sfida al ministro Patuanelli: ci coinvolga e gli garantiremmo che almeno l’80% dei fondi Psr, nei primi due anni di applicazione della nuova agenda Pac, sarebbero già assegnati.

Addirittura. Non è un azzardo?

Ai tavoli di concertazione sulla Pac e i Psr siedono giustamente le organizzazioni professionali agricole, mentre i professionisti, i periti agrari vengono invitati qualche volta per essere informati delle decisioni, anche tecniche, altrui, arrivano, cioè, ad animali liberati al pascolo. Il nostro apporto tecnico-scientifico porterebbe una ventata di miglioramento degli iter burocratici e dei bandi.

A proposito di Pac, come valuta la nuova programmazione che si sta disegnando a Bruxelles?

Cambiano gli slogan ma il principio rimane quello dei soldi: pochi, maledetti e subito. Condividiamo i principi ispiratori, e in particolare l’attuazione della sostenibilità, i cambiamenti climatici non sono un’invenzione di savi dell’ambiente, sono un’evidenza difficile da negare. Il problema è passare da un principio o da una volontà politica a un’azione concreta.

Il suo mandato scade nel 2022, si ricandiderà alla guida del Collegio?

Per ora voglio portare a termine il lavoro che ho iniziato, con un gruppo solido e motivato, tre anni e mezzo fa. Nella mia vita ho cercato di dimostrare che le poltrone valgono perché riconoscono un ruolo e una funzione, ma l’uomo vale di più. Chi è attaccato alla sua funzione è spesso straccato dalla soluzione. E non voglio imitare quei cattivi esempi di gestioni personalistiche quasi dinastiche. Nei Paesi di successo la classe dirigente è giovane. Magari i giovani commettono errori, ma certamente vivono il loro tempo con dinamicità. Se dovessi ricandidarmi e i miei colleghi dovessero confermarmi, sarebbe di certo l’ultimo mandato.

Quali sono le cose importanti di cui hanno bisogno i periti?

Un nuovo e più attuale Ordinamento, ormai vecchio di 53 anni. Siamo chiamati a riformarlo per accompagnare il processo permanente di ammodernamento di una categoria che vanta profonde radici storiche – quasi duecento anni – e che ha ancora moltissimo da dire e da dare a questo Paese. Non c’è sviluppo senza agricoltura, non c’è agricoltura senza periti agrari.

Mario Braga: «In Italia non ci sarà sviluppo senza professioni tecniche» - Ultima modifica: 2021-05-15T10:00:52+02:00 da K4

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