Sostenibilità: un termine che ormai entra in ogni progetto di ricerca o di valorizzazione in agricoltura. Forse sarebbe meglio parlarne (e abusarne) di meno e agire di più.
In cantina qualcuno ha già cominciato. Un esempio per tutti è Salcheto, la prima cantina off grid al mondo, autonoma dal punto di vista energetico, che ha certificato l’impatto ambientale dei suoi prodotti valutandone l’impronta carbonica e riportandola su ogni etichetta di vino. Si tratta del primo caso al mondo di Carbon Footprint del vino ad essere certificata nell’ambito di una valutazione delle emissioni di gas serra basata sullo standard iso 14064. Nel 2011 le uve sono state vinificate nella nuova cantina ecologica. Per sapere come sia stato possibile raggiungere un risultato di Impatto Zero siamo andati a visitarla per voi e lo abbiamo chiesto direttamente a Michele Manelli, presidente di Salcheto.
PRIMO: CONSUMARE MENO
Una cantina del tutto innovativa in un territorio di grande tradizione come Montepulciano, come è nata l’idea?
«Il primo obiettivo era quello di produrre vino di altissima qualità e quindi di realizzare una cantina studiata e progettata per dare alle uve e ai vini il massimo rispetto in tutte le fasi di lavorazione – spiega Michele –. Dovendo progettare e realizzare tutto da zero ci siamo chiesti come si potesse fare questo riducendo allo stesso tempo l’impatto della nostra produzione sull’ambiente e in primis abbiamo pensato e realizzato una serie di accorgimenti per ridurre i consumi e le dispersioni di energia. Questo ci ha portato a valutare l’impronta carbonica di tutti i processi di lavoro, consentendoci di ottimizzare la produzione».
SECONDO: SFRUTTARE LE RISORSE AZIENDALI
Salcheto è una cantina quasi autosufficiente, scollegabile dalla rete di distribuzione dell’energia elettrica, come è possibile?
«Abbiamo studiato un sistema che utilizzasse solo risorse già presenti in azienda: la luce del sole per l’illuminazione naturale e per la produzione dell’energia elettrica con il fotovoltaico, i residui di potatura per la produzione di calore e lo scambio termico dell’energia geotermica a bassa entalpia per la produzione di freddo. Inoltre, puntando sul raffreddamento adiabatico e sulla coibentazione della cantina abbiamo eliminato tutti i consumi legati al condizionamento dei locali».
Perché tre forme di energia invece di una sola?
«Perché abbiamo voluto evitare, ove possibile, qualsiasi trasformazione di una forma di energia nell’altra, passaggi che riducono il rendimento delle risorse utlizzate, e anche perché il nostro sforzo produttivo restasse concentrato sul vino e non sull’energia».
Così le biomasse legnose, rappresentate dagli scarti di potatura del vigneto e del bosco vengono stoccate in balle, asciugate e macinate per essere utilizzate nella centrale per riscaldare la cantina, l’acqua, gli uffici ecc. La coibentazione dei locali è realizzata con i sistemi di ventilazione, con la parete vegetale verticale (un pannello naturale dello spessore di 60 cm che blocca l’irraggiamento sulle pareti esposte al sole), con un sistema di raffreddamento adiabatico per ridurre il riscaldamento per irraggiamento della superficie del piazzale e dei locali sottostanti e con una torre di evaporazione che sfrutta lo stesso principio. E per il freddo in cantina, anziché produrlo con l’elettricità, a Salcheto si utilizza l’inerzia termica del terreno, che si conserva a temperature sempre più basse man mano che si va in profondità. Si parla di energia Geotermica a bassa entalpia quando si utilizzano delle sonde a sviluppo orizzontale a profondità non eccessive. Come funziona?
«Ci sono due serpentine (dette “sonde geotermiche”) sottoterra che scambiano calore sotto i vigneti, nell’interfilare, per fare in modo che il vigneto diventi un po’ il gruppo frigo della cantina. Ho pensato al geotermico a bassa entalpia perché l’abbassamanto di temperatura necessario per la produzione di vini rossi di pregio non è elevato. Per portare le uve a quattordici gradi per il raffreddamento nella fase di premacerazione basta crerare un “ponte termico” andando a profondità di 1,5-2 metri nel vigneto».
Un sistema simile di raffreddamento (in questo caso aperto) scambia calore anche con l’acqua del laghetto.
«Il laghetto viene alimentato con le acque meteoriche e dal troppo-pieno del depuratore. Nella progettazione abbiamo anche posto una particolare attenzione alla gestione e al risparmio della risorsa idrica. L’acqua del laghetto serve per le irrigazioni di raffreddamento del sistema di coibentazione e per le lavorazioni in campagna, e inoltre, essendo anche una massa di energia, noi la utilizziamo per la sua capacità termica».
La terza energia, quella elettrica viene prodotta con un piccolo impianto fotovoltaico da 20 kW formato da 250 metri quadri di pannelli solari.
VINIFICATORI A CO2
La cantina è parzialmente interrata e su due piani, al di sotto di un piazzale per il ricevimento delle uve ed è dimensionata per produrre a pieno regime 300- 350.000 bottiglie.
Il piazzale è disseminato di piccoli oblò in plexiglass disposti a cerchio e da una cupola centrale: sono le prese di luce dei collettori solari per l’illuminazione dei piani inferiori e servono anche, una volta sfilato il cilindro del collettore, per l’alimentazione per caduta delle vasche di vinficazione.
Qui la domanda nasce spontanea: e quando viene sera?
«Ci limitiamo all’uso diurno e organizziamo il lavoro con la luce del sole. Quella dei collettori solari è una tecnologia semplicissima e che esisteva negli Stati Uniti almeno da quarant’anni ma che non si era mai sviluppata».
I vinificatori si trovano nel piano interrato al di sotto del piazzale e sono stati studiati per sfruttare la pressione della CO2 di fermentazione come forma di energia alternativa per la movimentazione solido-liquido. «Sono un’evoluzione molto importante nel nostro progetto di riduzione dei consumi. Li abbiamo studiati insieme alla Lasi di Venezia per sfruttasse completamente la pressione creata dai gas di fermentazione. Siamo così arrivati ad una vinificazione senza nessun organo meccanico, senza pompe, irroratori o follatori».
E i risultati?
«Con l’effervescenza creata dalla CO2 a bassa pressione riusciamo a fare tutto quello che vogliamo per stimolare l’estrazione senza bisogno di pompe o di energia elettrica. E il risultato è un’estrazione di antociani e polifenoli superiore per il primo del 5-10%, con minori tempi di lavoro e con tannini più morbidi. In sostanza abbiamo sviluppato un protocollo senza consumo di energia, ovvero con una nuova energia rinnovabile, ottenendo anche un risultato enologico migliore».
MONTEPULCIANO COME MODELLO
Grazie a queste soluzioni Salcheto sta rappresentando il “progetto pilota” per un movimento più ampio, che ha coinvolto attori diversi e che si è tradotto nella Carta di Montepulciano.
«Il progetto della cantina a basso impatto ambientale e la Carbon Footprint sono stati il risultato del Gruppo di Lavoro Salcheto Carbon Free, che ha messo insieme professionalità diverse del mondo della ricerca, della progettazione e della certificazione ambientale provenienti da Univesità di Siena, Cnr di Firenze, Csqa e Fabbrica del Sole. L’attività di questo gruppo ha prodotto un know-how e un metodo che abbiamo messo a disposizione di chi crede nella riduzione dell’impatto ambientale.
Così è nata la Carta di Montepulciano (www.cartadimontepulciano.it). Lo scopo è quello di creare regole comuni e condivise, stabilire dei metodi e fissare dei parametri confrontabili ma anche di darsi un codice etico per produrre e calcolare l’impronta carbonica».
Per esempio?
«Per esempio abbiamo stabilito che, a meno che non si definiscano sperimentalmente dei parametri adatti a misurarla, la CO2 riassorbita dal vigneto (quella utilizzata nel processo fotosintetico n.d.r.) non venga computata nel calcolo del Carbon Footprint. Quindi per il momento e fino a quando non avremo delle evidenze scientifiche tutti i bilanci sono al lordo dell’assorbimento della vegetazione».
I COSTI
E per gli investimenti, quanto costa realizzare una cantina off grid?
«La stima che abbiamo fatto è di un investimento di € 523.000 in impiantistica specifica e/o per costi superiori rispetto a soluzioni termo-tecniche “tradizionali”, per un risparmio che abbiamo valutato in 46.000 euro annui. Tuttavia ricordo sempre che in una cantina come la nostra, di circa 3.000 mq dove sono stati investiti nel complesso oltre 4 milioni di euro, alcuni avrebbero potuto dedicare risorse equivalenti al mezzo milione che noi abbiamo “investito” in efficientamento e rinnovabili, in finiture o in design architettonico. Ci sono tanti esempi di chi l’ha fatto spendendo a volte anche molto di più. La mia morale è semplicemente che nell’insieme non abbiamo speso di più della media anzi meno, ma abbiamo semplicemente avuto diverse priorità».