Gli agricoltori non devono vedere l’utilizzo di seme certificato e il pagamento delle royalty sul reimpiego delle sementi come un aggravio dei costi ma come un’opportunità a garanzia di produzioni abbondanti, sane e di qualità. Ed solo rafforzando l’intesa tra la filiera e le istituzioni in funzione di obbiettivi comuni in termini di qualità e innovazione che si potrà dare il giusto valore al seme certificato.
È questo il messaggio emerso dall’incontro che si è tenuto il 25 gennaio scorso a Tolentino (Mc) nella suggestiva location del Castello della Rancia dal titolo “Seme certificato per una filiera tracciata: il contributo del settore sementiero per la qualità dell’agroalimentare italiano” organizzato da Assosementi con la collaborazione del Convase e il patrocinio delle Regioni Marche ed Emilia-Romagna.
La scelta di Tolentino, nel cuore dei territori colpiti dai recenti terremoti, rappresenta un segnale della voglia di ripartire e di sostenere e diffondere le produzioni tipiche locali che vedono nel seme certificato una delle basi a garanzia della genuinità.
«Un piccolo seme - ha detto Giuseppe Carli, presidente Assosementi - è un concentrato di tecnologia, frutto di anni di lavoro, e rappresenta il primo e importante anello della filiera agroalimentare. Non dimentichiamoci che l’aumento dell’80% della produzione di frumento negli ultimi 15 anni è da attribuirsi proprio al miglioramento genetico operato dai sementieri».
Ecco dunque che la riduzione dell’impiego di seme certificato porta alla contrazione delle risorse per ricerca e sviluppo, a produzioni agricole a rischio patogeni, riduzione della qualità e scadimento del valore industriale della materia prima prodotta.
«Dopo Agenda 2000 c’è stato un crollo dell’impiego della semente certificata - fa presente Angelo Frascarelli dell’Università di Perugia - sostenuta da un aiuto “accoppiato”, che oggi però non avrebbe più senso. Ritengo piuttosto che la semente certificata possa essere legata alla “condizionalità”. Entro giugno devono essere presentate a Bruxelles le proposte per la prossima Pac e questa richiesta potrebbe entrare a far parte delle proposte dell’Italia».
Come ha ricordato Giampaolo Piubello, presidente della Sezione costitutori di Assosementi, risparmiare sul seme aziendale può portare a grossi problemi ad iniziare dalla tracciabilità.
«Non c’è un’altra attività che sia così normata come quella sementiera - ha evidenziato Eugenio Tassinari, presidente Convase (Consorzio per la valorizzazione delle sementi) -. Per ottenere una registrazione del seme ci vogliono 2 anni e mezzo, e a questa segue la certificazione del Crea. Purtroppo, però, spesso l’agricoltore fa fatica a capire cosa c’è dietro un seme. Un forte sostegno del seme, però, difficilmente potrà essere effettuato in ambito pubblico; ci serve invece una società privata che si occupi con determinazione della promozione del seme e della valorizzazione della certificazione».
In ogni caso le regole ci sono e devono solo essere fatte rispettare. La società francese Sicasov, come ha ricordato il responsabile Italia Stefano Barbieri, si occupa della raccolta dei diritti del costitutore e della difesa della proprietà intellettuale delle varietà vegetali dedicandosi alla gestione, al controllo e al recupero delle risorse derivanti dai diritti d’autore.
I responsabili delle organizzazioni professionali intervenuti all’incontro hanno concordato sul fatto che un’organizzazione di filiera efficiente è alla base del recupero dell’importanza della certificazione del seme.
«Gli agricoltori hanno fatto un minor uso di seme certificato - ha detto Antonio Sposicchi della Cia - in funzione del crollo del valore e dobbiamo spingere su un prodotto made in Italy di valore, grazie anche all’interprofessione». Sposicchi ha anche ricordato che l’industria si deve attrezzare per produrre sementi bio e auspica la riapertura del “Piano del Mipaaf per le sementi biologiche”. Ovviamente per spingere l’acceleratore su questo punto, come ha suggerito anche Carli, sarebbe necessario, abolire tutte le attuali proroghe che saranno definitivamente eliminate solo fra circa 8 anni.
Assosementi si è dichiarata pronta ad accettare l’invito formulato nel corso dell’incontro da parte di Copagri e Italmopa a prendere parte al Protocollo d’Intesa a difesa del grano duro siglato nel dicembre scorso. «Accogliamo con favore questa ipotesi a difesa della filiera del grano duro - ha dichiarato Carli -. La volontà espressa da Italmopa e Copagri va nella direzione di quanto auspicato nel nostro convegno ed è il riconoscimento del valore aggiunto garantito dal seme certificato e della sua importanza strategica per tutta la filiera agroalimentare, un deciso passo in avanti verso la qualità e la tracciabilità di un simbolo del made in Italy come la pasta».
Luca Bellotti, intervenuto alla fine del convegno, ha evidenziato che il prossimo Governo, fra i primi interventi normativi relativi al settore agricoli, si dovrà far carico proprio della proposta di riesame della normativa del settore sementiero. «E ricordiamoci - ha detto - che i provvedimenti normativi, per non rimanere avulsi dal contesto, devono essere scritti dagli addetti ai lavori, per essere poi ratificati dai politici».