Orzo distico da birra, una filiera da sostenere

    Un convegno ha fatto il punto su calo delle rese dell’orzo e aumento delle importazioni di malto. Servono nuove strategie e sostegni alla filiera

    È necessario salvaguardare la filiera dell’orzo da birra italiana con strategie e metodi innovativi di coltivazione più resilienti e produttivi anche alla luce dei cambiamenti climatici. Servono anche adeguati sostegni per i produttori.

    Al convegno “Orzo distico da birra: la filiera virtuosa da sostenere” organizzato a Loreo (Ro) da K-Adriatica-Italmalt, Coldiretti Veneto e Consorzio Birra Italiana si è fatto il punto di un settore, quello dell’orzo da birra per produrre malto, che sta vivendo un momento di difficoltà. A fronte di un calo di resa dell’orzo distico, per l’aumento dei costi e gli effetti dei cambiamenti climatici, è in crescita il consumo interno di birra.

    i relatori del convegno: Da sinistra: Schizzerotto, Toffoli, Catalani, Salvan, Musso, Tretteneri, Regnicoli e Stile

    La filiera della birra italiana, che coinvolge 1.085 attività e dà lavoro a circa 93mila addetti, crea un volume di mercato di 9,5 miliardi di euro e un valore pari allo 0,53% del PIL nazionale e dipende sempre di più dall’estero per i cereali utilizzati. Il risultato è che il nostro Paese deve importare oltre il 60% di malto per produrre la birra nazionale.

    Servono nuove tecnologie

    «Da anni – precisa Teo Musso, presidente del Consorzio Birra Italiana - si parla di cambiamento climatico, ma negli ultimi cinque ne osserviamo gli effetti diretti sulla filiera agricola della birra. In generale tutte le materie prime ma soprattutto la produzione di cerali ne sta risentendo con rese per ettaro calanti. Il convegno ha voluto fare un punto su quali siano le strategie che possono essere messe in atto per salvaguardare la filiera di un prodotto, la birra, che nel 2022, ha raggiunto il massimo storico di consumo in Italia con circa 38 litri pro capite. Si parla quindi di ricerca genetica e varietale, agricoltura 4.0 di precisione e sostegno alla coltivazione con attenzione rivolta alla sostenibilità ambientale».

    Tecniche agronomiche innovative

    «Dipendere dall’estero in modo preponderante aumenta i rischi di stabilità della filiera della birra made in Italy- spiega il Giovanni Toffoli, ceo di K-Adriatica -. Una filiera che a livello italiano, grazie ai decaloghi di produzione sta abbracciando sempre più i concetti di economia rigenerativa, andando oltre il concetto di sostenibilità. Si propone, infatti, non solo di gestire in modo efficiente le risorse impiegate, ma di ripristinare e rigenerare i terreni, in particolare le aree marginali, grazie alla grande adattabilità dell’orzo e come alternativa alla monocoltura, superando in questo modo la mera mitigazione degli impatti negativi. Sostenere lo sviluppo della filiera dell’orzo da birra italiano significa non solo ridurre i costi ambientali delle importazioni, ma anche e soprattutto promuovere attivamente la rigenerazione degli ecosistemi coinvolti, sia a livello agricolo, con tecniche agronomiche innovative e sistemi di affiancamento alle decisioni che supportano gli agricoltori durante tutto il ciclo colturale, che a livello sociale con la creazione di nuovi posti di lavoro anche grazie al progetto della nuova malteria che realizzeremo qui a Loreo. Un progetto altamente tecnologico per produrre malto da birra a impatto zero, sfruttando le più moderne soluzioni di risparmio energetico utilizzando e fonti rinnovabili».

    Kilometro zero

    Il Veneto si candida a regione leader anche nella produzione di birra a km0. Dei circa 200 birrifici artigianali presenti sul territorio regionale il 30% è agricolo con una coltivazione in proprio delle principali materie prime come orzo e luppolo.  75 milioni i litri prodotti pari al 13% del totale nazionale con una varietà di gusti legati direttamente ai prodotti agricoli come la birra al radicchio rosso tardivo, al riso, al carciofo oppure aromatizzata alla canapa.

    Birrifici agricoli

    «Un successo – precisa il presidente di Coldiretti Veneto Carlo Salvan - che è il frutto anche di una normativa regionale, fortemente voluta da Coldiretti, che ha inteso premiare gli agri-birrifici in base alla qualità, al metodo di lavorazione ma soprattutto all'origine delle materie prime impiegate. Il provvedimento in questi anni ha favorito anche l’occupazione nel settore degli under 35 riconoscendo questa professione come connessa alla qualifica di imprenditore, creando anche i presupposti del “piccolo birrificio agricolo”. Il sostegno alla filiera dell’orzo distico da birra è il punto cruciale per rimarcare come la birra artigianale abbia una forte identità legata al territorio che rappresenta il suo punto di forza strategico sia sul mercato nazionale che internazionale come vero made in Italy per valorizzare un crescere che deve crescere».

    «Occorre puntare su filiere sostenibili, competitive ed eque in cui i produttori si sentano parte attiva –continua Salvan - creando la relazione tra il primo anello quello della produzione e l’ultimo quello che K Adriatica rappresenta. È fondamentale creare progettualità che diano futuro a filiere come questa».

    Crollo dei prezzi

    Nel 2023 la resa media di orzo da birra nazionale è di circa 4,3 t/ha, in calo rispetto all’anno scorso che era di 4,5 t/ha.

    La produzione in Italia di malto per birra è di 76mila t, corrispondenti a circa 24mila ha coltivati a fronte di un fabbisogno è pari a 210 mila tonnellate. In Italia si produce quindi solo il 31,5% del malto necessario alla produzione di birra nazionale. Allo stesso tempo, quest’anno sono crollati i prezzi sino a 210 €/t, mettendo in crisi gli agricoltori.

    Il futuro della birra italiano è segnato da due grandi incognite: il costo della materia prima orzo dovuto a eventi climatici e riduzione di resa per ettaro e un variabile costo dell’energia per la trasformazione in malto.

    Filiere made in Italy

    «In questo scenario – spiega Antonio Catalani, direttore di K-Adriatica –  laddove i grandi gruppi mondiali si tutelano creando centrali di acquisto per garantirsi le quantità necessarie di malto per le loro produzioni, l’Italia deve a sua volta implementare delle strategie di gestione del rischio per sostenere la filiera dell’orzo da birra. Ad esempio pianificando schemi e strumenti assicurativi collegati agli indici meteorologici (WIBI – Weather Index-Based Insurances), che da soli non sono però sufficienti a garantire un equilibrio economico agli agricoltori. Per questo si rende necessaria l’istituzione a livello nazionale di fondi di mutualità per la stabilizzazione del reddito ed essere sempre più rigidi nella corretta gestione agronomica delle colture. Accanto a questi strumenti resta l’importanza di continuare a valorizzare le filiere made in Italy come quella dell’orzo da birra che vanta una storia di oltre 200 anni».

    Sulla ricerca come risposta al cambiamento climatico, Pnrr sono intervenuti Paolo Passaghe, dottore di ricerca Scienza degli alimenti dell’Università di Udine e Gian Franco Regnicoli, responsabile di produzione della Malteria Italiana Artigianale.

    Dipendenza dall’estero

    Passaghe, che sta lavorando a un progetto di ricerca condotto da Stefano Buiatti, docente di Tecnologia del malto e della birra dell’Università degli Studi di Udine, spiega: «Analogamente a quanto si assiste per le fonti energetiche anche il settore agricolo e alimentare (sebbene non con la stessa gravità) evidenziano una forte dipendenza da materie prime di importazione. A tal fine sono stati individuati tre filoni di ricerca, e cioè la conduzione di prove di maltazione di un orzo distico nazionale, la valorizzazione dei cosiddetti grani antichi e infine la formulazione di ricette con l’impiego di farine d’orzo prive di beta-glucani». Con questa ricerca l’obiettivo è sviluppare produzioni di malto più resistenti ai cambiamenti climatici e quindi più sostenibili per l’ambiente e l’economia.

    Riduzione impronta di carbonio

    Con l’intervento “Agricoltura Conservativa e Carbon foot print: un esempio di azienda cerealicola ad impatto zero” Anna Trettenero, agronoma, imprenditrice agricola e pioniera nell’implementazione delle tecniche agronomiche di agricoltura conservativa in Veneto, ha portato un esempio di come una azienda cerealicola possa attivamente contribuire a ridurre l'impronta di carbonio delle produzioni agricole.

    «L’agricoltura può svolgere un ruolo strategico in questo campo, ruolo che viene massimizzato quando la produzione in campo cresce nel valore attraverso una filiera di eccellenza» precisa Trettenero.

    Decalogo per la coltivazione

    Il decalogo per la coltivazione sostenibile dell’orzo distico da birra è stato presentato da Maria Rosaria Stile, Responsabile R&D di K-Adriatica. Il Decalogo per la coltivazione dell’orzo distico da birra è una lista di principi guida per le scelte tecniche che gli agricoltori si trovano ad affrontare durante la coltivazione della coltura.

    È stato sviluppato, nell’ambito della collaborazione tra K-Adriatica e Horta srl, e si basa sulle conoscenze acquisite in anni di messa a punto di strategie e tecniche agronomiche che assicurino la qualità della produzione e migliorino l’efficienza economica e la sostenibilità della coltivazione.

    In K-Adriatica si continua a lavorare sul decalogo per fornire la nutrizione mirata necessaria all’ottenimento di elevate rese con minimo apporto di input, al fine di ridurre ancora di più l’impronta CO2 della produzione dell’orzo distico da birra.

    Orzo distico da birra, una filiera da sostenere - Ultima modifica: 2023-09-29T16:01:38+02:00 da Alessandro Maresca

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