Seicentoventicinque gruppi operativi programmati, meno di un decimo quelli finora attivati. Tante sono però le idee per l’innovazione in agricoltura. Il convegno organizzato a Bari dalla Rete Rurale nazionale in collaborazione con Terra e Vita e Nova Agricoltura ne ha premiate sei dedicate all’agricoltura del sud e ha messo a confronto le esperienze e i propositi delle Regioni che stanno affinando l’applicazione delle misure 16,1 e 16.2 dei Piani di sviluppo rurale.
L'appropriabilità dell’innovazione
Gianluca Nardone, direttore generale del dipartimento agricoltura della Regione Puglia (33milioni di spesa programmata sull’innovazione, il 2% sul totale Psr; solo 8 Gruppi operativi “prenotati”) descrive un’esperienza regionale partita dall’analisi dei fabbisogni per individuare tematiche veramente innovative, in grado di assicurare benefici reali ai produttori. Nardone, una carriera brillante come professore ordinario di politica agraria all’Università di Foggia prima di approdare alla direzione generale del dipartimento regionale all’Agricoltura, ammette di credere maggiormente nell’efficacia del modello americano degli extension service per la diffusione dell’innovazione, ma ha le idee chiare sugli obiettivi richiesti ai gruppi operativi. “Daremo la precedenza: 1) ai progetti più diffusi, quelli con il maggior numero di imprenditori agricoli coinvolti (la misura ha del resto l’obiettivo dichiarato della cooperazione); 2) a quelli in grado di dare un contributo decisivo anche in termini di public procurement (ad esempio l’adozione su vasta scala dei Dss come grano.net, sulla scorta di precedenti esempi positivi registrati nella gestione della misura 124 del precedente Psr, assicura efficacia nel raggiungimento degli obiettivi sia privati che pubblici imposti dal Pan, piano nazionale per l’uso sostenibile degli agrofarmaci; e infine 3) a progetti con una forte impronta Ict , in grado di realizzare una multifunzionalità hightech (anche qui i Dss sembrano assumere un ruolo privilegiato)”. Soprattutto Nardone ha in mente un modello di innovazione che veda gli agricoltori veramente protagonisti (“agriculture first”). Storicamente i vantaggi assicurati in termini di maggiore qualità e di maggiore resa assicurati dalla valorizzazione dell’innovazione non rimangono infatti all’agricoltore, ma vengono trasferiti a monte lungo la filiera dei fornitori di mezzi tecnici. Per questo il direttore generale della Regione Puglia punta all‘appropriabilità dell’innovazione attraverso un modello in cui agli imprenditori che fanno parte dei Go venga assicurata l titolarità di ciò che contribuiscono a sviluppare. Ad esempio tramite la brevettazione o comunque attraverso la valorizzazione del loro know-how. Idee forti e originali che per ora si scontrano con un ritardo nell’applicazione della misura. La Puglia infatti attende indicazioni dall’organismo pagatore nazionale, ovvero Agea, sulla validità dei criteri di individuazione dei beneficiari delle misure 16.1 e 16.2.
Luciano Concezzi, del Parco tecnologico 3a dell’Umbria mette in luce le forti differenze rispetto alla precedente misura 124: il partenariato e la disseminazione. Ma anche nodi più difficili da sciogliere come il fatto che possano bastare due soggetti (produttore e fornitore di innovazione) per mettere in piedi un progetto, mentre il ruolo del consulente e dell’innovation broker non sono ben definiti. Il ruolo di parco 3 a è stato tecnico amministrativco per 40 progetto, e partner in 80 progetti, ) . “La 124 è stata veramente importante in Umbria. Su 120 progetti attuati il Parco ha assunto il ruolo di riferimento in 40 e di partner nei rimanenti 80. I risultati in termini di diffusione e di ricaduta sono stati importanti per un tessuto produttivo costituito da numerosi medi e piccoli produttori. Un aspettio giudicato critico per la misura 16,1 umbra è quello relativo alla necessità di costuire una società di scopo per costituire un Go e accedere ai finanziamenti, mentre nelle altre regioni è sufficiente la formula dell’associazione temporanea (Ati o Ats). “Per gestire cifre pari a 600mila euro in tre anni può risultare un vincolo eccessivo”.
Consulenza e trasferimento tecnologico
Per Paolo Rendina, tecnico consulente del CadirLab Piemonte la parola chiave dell’esperienza del partenariato per l’innovazione è “filiera”. “La consulenza è spesso la cenerentola dell’innovazione in Italia. Invece ha un ruolo fondamentale nell’attivazione e nel buon funzionamento dei Go”. un ruolo che le Regioni però devono favorire e sostenere. “L’intyerpretazione del bando del Piemonte non è stata facile, le priorità non sono definite con precisione così come gli ambiti di intervento. Illuminante però è il ruolo di formazione e informazione della rete rurale in tal senso. Attendiamo l’esito dei bandi”.
Secondo Sergio Menapace, direttore della fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (Tn) il ruolo del Pei Agri è essenzialmente di trasferimento tecnologico. Una funzione che è nel DNA della Fondazione Mach e che le ha consentito di essere animatore di 5 dei 9 progetti attivati dalla Provincia di Trento:
- Pei frutticoltura;
- Pei viticoltura (incentrato sulle nuove varietà resistenti);
- Pei sulla zootecnia di montagna;
- Pei fertirrigazione
- Pei su forme passive di difesa (assicurazione del reddito) con codipra e condifesa.
E oltre a questi il contributo della Fondazione è presente in progetti attivati in Emilia-Romagna, Piemonte, Umbria (tracciabilità isotopica dell’olio d’oliva), Basilicata, provincia di Bolzano.