Se il settore primario vorrà centrare gli obiettivi di sostenibilità e innovazione fissati dal Green New Deal europeo, dovrà necessariamente utilizzare una parte delle risorse previste dal Recovery Fund per la trasformazione digitale e lo sviluppo delle tecnologie di biocontrollo.
Questo il tavolo di discussione aperto al Sana Restart 2020, BolognaFiere, durante il convegno “Il valore delle tecnologie digitali e del biocontrollo”, realizzato in collaborazione con Anabio, l’associazione di Cia Agricoltori Italiani, e Ibma Italia, l’associazione delle aziende operanti nell’industria della bioprotezione in agricoltura e moderato da Terra e Vita.
La necessità di trasferire e rendere fruibile l’informazione
Rendere più fruibile la grande mole di dati che arrivano dai campi, che l’agricoltore oggi non sempre riesce a interpretare, è indispensabile, al fine di rendere maggiormente efficace l’agricoltura digitale e sfruttare le tecniche del biocontrollo, migliorando così gli aspetti tecnologici e organizzativi.
Dino Scanavino, presidente nazionale Cia-Agricoltori Italiani ha dichiarato che: «è necessario investire sul progresso scientifico e tecnologico, costruendo con il governo un Recovery Plan italiano in cui ci sia spazio adeguato e fondi dedicati sia alla crescita dell’agricoltura 4.0, sia al consolidamento e trasferimento delle nuove tecniche di biocontrollo alle aziende del settore».
I dati parlano chiaro, oggi l’utilizzo di tecnologie elettroniche da parte di aziende agricole è di poco superiore al 33%, insufficiente per raggiungere gli ambiziosi obiettivi green al 2030. Migliorare le rese e la sostenibilità delle coltivazioni, razionalizzare le risorse, ridurre tempi e costi, raccogliere e analizzare dati sul processo produttivo, ottimizzare l’efficienza della catena distributiva e tracciare le filiere, sono tutti risultati conseguibili investendo in maniera seria e programmata sull’agricoltura digitale hi-tech.
Chiara Corbo, direttrice dell'Osservatorio Smart AgriFood Politecnico di Milano, interviene a tal proposito: «D’altra parte, il percorso è già iniziato, con l’agricoltura hi-tech tricolore in crescita costante: una nicchia che vale quasi 500 milioni di euro, con strumenti sempre più innovativi. Infatti, il 39% delle soluzioni sul mercato riguarda sistemi di monitoraggio e controllo di mezzi e attrezzature; il 20% sono software gestionali aziendali; il 14% macchinari connessi; il 10% sistemi di monitoraggio da remoto di coltivazioni e terreni; il 9% sistemi di mappatura dei terreni. Dall’analisi delle tecnologie utilizzate, emerge la crescente importanza del data management: il 72% delle soluzioni è legato a software per l’analisi avanzata dei dati, il 61% è costituito da piattaforme software capaci di ospitare dati provenienti da diverse fonti e il 50% riguarda strumenti che sfruttano l’Internet of Things. Le altre tecnologie più adottate sono dispositivi di ultima generazione (45%), mobilità e geolocalizzazione (35%), veicoli e attrezzature connesse (20%) e sistemi ICT on Cloud (9%).».
Una meccanizzazione sempre più connessa e monitorabile
Il raggiungimento dei traguardi descritti non può prescindere da un adeguamento tecnologico della meccanizzazione. Le attrezzature agricole intese come strumento passivo a disposizione dell’agricoltore stanno evolvendo, con la possibilità di fornire, recepire e scambiare con altri sistemi integrati informazioni volte al miglioramento delle lavorazioni e all’uso più razionale degli input di processo, ma non basta.
Come esprime Paolo Cera, Marketing Manager Kuhn Italia: «L’agricoltura 4.0 rappresenta un vero e proprio cambiamento di approccio legato al modo di lavorare nei campi, che consente di trarre benefici dalla semplificazione del lavoro, dalla massimizzazione delle performance e dalla possibilità di intervenire a distanza, supportando non solo l’attività in campo, ma anche molteplici aspetti gestionali e di scelta.
a digitalizzazione consente, infatti, di andare oltre l’idea di performance e precisione, permettendo una vicinanza sempre più stretta tra azienda ed utilizzatore, attraverso soluzioni a distanza».
La sfida sta la crescita del bio e della produzione integrata
Nei prossimi dieci anni, grazie al Green New Deal e la strategia Farm to Fork, verranno destinati numerosi fondi per finanziare progetti volti a ridurre l’impatto ambientale dovuto alla produzione agricola, attraverso l’impiego di tecnologie e tecniche di biocontrollo, risorse necessarie per diminuire l’uso e il rischio complessivo derivante dall’applicazione degli agrofarmaci, da conseguire entro il 2030.
Federico Marchini, presidente Anabio, ritiene che la collaborazione con IBMA Italia possa fare molto per diffondere tali conoscenze: «con IBMA Italia, stiamo accelerando per diffondere la conoscenza dei prodotti e delle tecniche di biocontrollo tra agricoltori e tecnici, su tutto il territorio. Inoltre, proprio perché la sfida è l’ulteriore sviluppo dell’agricoltura biologica e della produzione integrata, che in Italia valgono oltre 3 miliardi di euro e sfiorano i 2 milioni di ettari coltivati, stiamo lavorando per attivare, con aziende pilota, la sperimentazione e la validazione di protocolli di difesa fitosanitaria a basso impatto».
Ne deriva, dunque, che una strategia efficace per controllare gli stress biotici e abiotici delle coltivazioni, deve tenere in considerazione lo sviluppo e la diffusione, per un maggior utilizzo, delle tecniche e degli agenti di biocontrollo, costituiti da macrorganismi e microrganismi utili, sostanze naturali e mediatori chimici (ad es. feromoni). Attualmente i prodotti di questa categoria disponibili sul mercato rappresentano circa l’8% dei mezzi tecnici utilizzati per la difesa delle piante.
Giacomo De Maio, presidente Ibma Italia, spiega quanto il loro utilizzo sia fondamentale: «Occorre dotare gli agricoltori di una toolbox dedicata, una cassetta degli attrezzi per la difesa sostenibile delle colture, introducendo nuove tecniche e, in particolare, prodotti a minor impatto, tenuto conto del fatto che delle circa 1.000 sostanze attive disponibili a livello UE all’inizio degli anni ‘90, ne sono rimaste, perché non ritirate dal mercato, meno di 500. Per il biocontrollo, che utilizza microrganismi o derivati, vanno previsti, poi, iter ed expertise ad hoc».