Fare sistema, insieme a tutti gli attori del settore agricolo, partendo dal contratto nazionale di lavoro e rivedendo gli strumenti attuali, per dare una risposta concreta ed efficace alle esigenze delle imprese e degli addetti. È la proposta scaturita dal convegno sul lavoro organizzato da Confagricoltura a Palazzo della Valle a Roma, al quale hanno preso parte, tra gli altri, i segretari generali della Fai Cisl Onofrio Rota, della Uila Uil, Stefano Mantegazza, il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, il direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro Paolo Pennesi.
«E' evidente che in questi giorni il problema numero uno sia la mancanza di manodopera qualificata. Tutte le imprese ci stanno segnalando le difficoltà che incontrano riguardo alla necessità di produrre di più per aprire nuovi mercati, ma non abbiamo operai. Semine, raccolte e lavorazioni seguono cicli naturali e non si possono rimandare. Dobbiamo riaprire i flussi anche se sappiamo che non sono la soluzione definitiva». Lo dichiara il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, specificando che «Confagricoltura è da sempre l'associazione di rappresentanza delle imprese che maggiormente danno lavoro in Italia. Per questo abbiamo voluto questo confronto con le imprese, con i sindacati dei lavoratori e con il governo.
Oggi abbiamo un racconto dell’agricoltura che non fotografa la realtà, il dibattito sui cambiamenti del contratto di lavoro è quindi necessario tenendo presente quali sono le difficoltà e le richieste effettive di imprese e lavoratori, come, per esempio, la riduzione del costo del lavoro e la semplificazione degli adempimenti».
Lavoro, criticità e proposte di Confagricoltura
Intervenire sui trattamenti economici per renderli più attrattivi e competitivi nell’ambito del Cnl, mantenere il taglio del cuneo fiscale per i dipendenti, detassare gli aumenti retributivi contrattuali, ma anche avvicinare i giovani al mondo agricolo riconoscendo crediti e incentivi, rivedere insieme il decreto flussi che così come è strutturato non funziona: stop alla lotteria del click day. Per quanto riguarda le esternalizzazioni, come spiegato dal direttore dell’Area Lavoro di Confagricoltura, Roberto Caponi, è essenziale poter contare su un quadro normativo chiaro e stabile, che consenta alle imprese agricole di operare correttamente senza correre il rischio di interpretazioni opinabili che possono comportare gravi conseguenze sotto il profilo sanzionatorio.
«Il lavoro in agricoltura non è di serie B»
«Ancora oggi per molti italiani il lavoro in agricoltura è di serie b, e questo a me dispiace – ha detto Giansanti – perché l'agricoltura è un qualcosa di completamente diverso rispetto a quello che qualcuno immagina. Insieme al governo dovremmo quindi anche iniziare a ragionare su come presentare meglio il lavoro in agricoltura, un lavoro fatto di innovazione, digitale».
Giansanti ha poi messo l’accento sull’importanza di attivare un confronto insieme ai sindacati dei lavoratori per capire se il contratto firmato l’anno scorso possa essere migliorato, «perché è evidente che oggi dobbiamo lavorare sempre di più sulla qualificazione dei nostri operai, sulla stabilità dei contratti. Troppo spesso formiamo operai che poi trovano lavoro in altri settori dell’economia».
In merito alle questioni sollevate da Confagricoltura, il segretario generale della Cgil Landini ha sottolineato l’urgenza di gestire i cambiamenti in atto stabilendo insieme priorità per arrivare a scelte lungimiranti e di qualità per tutti.
Lo studio Nomisma
Oltre un milione di dipendenti e 117 milioni di giornate lavorate. Quasi un terzo dei lavoratori è straniero, sebbene cambi la geografia di provenienza: aumentano gli extracomunitari, in particolare indiani, albanesi e marocchini. Ma gli intoppi burocratici frenano il loro inserimento nelle aziende, che diventano così meno attrattive rispetto a quelle estere.
Rispetto agli altri settori, in agricoltura prevalgono gli operai a tempo determinato.
Il 68% degli impiegati sono uomini. Il 42% dei dipendenti agricoli ha da 45 a 64 anni e il 51% non possiede un titolo di studio.