L’aggregazione dell’offerta può rappresentare una delle strategie che le aziende agricole italiane possono perseguire per superare i propri limiti dimensionali, sfruttare le economie di scala e rafforzare la propria posizione contrattuale rispetto agli altri attori della filiera, favorendo quindi una migliore distribuzione del valore aggiunto prodotto. In questo senso, la promozione di processi collaborativi riveste un ruolo cruciale nell’ambito di uno degli obiettivi specifici della Pac 2023-2027 finalizzato a “Migliorare la posizione degli agricoltori nella catena del valore”.
L’obiettivo è stato ripreso anche nel Piano Strategico della Pac italiano che afferma la necessità di “accrescere la capacità delle aziende agricole e silvicole di trarre la giusta remunerazione dalle loro produzioni, migliorando la relativa posizione nella catena del valore, attraverso tutti gli strumenti che ne garantiscano una maggiore forza contrattuale, un adeguato riconoscimento da parte del mercato e dei consumatori”. A tal fine il Psp prevede diversi strumenti con cui rafforzare i processi di aggregazione, come quelli di tipo cooperativo, che consentirebbero all’Italia di avvicinarsi maggiormente alle altre realtà europea, dove il modello cooperativo è storicamente più presente.
Evoluzione delle cooperative
La lettura delle principali tendenze evolutive dell’agricoltura italiana alla luce del 7° Censimento generale dell’Agricoltura (Istat, 2020), conferma la nota frammentazione del settore primario nazionale e, più in generale, mostra il permanere di un sistema che si connota per la limitata dimensione fisica ed economica della maggior parte delle aziende agricole.
Il tessuto agricolo nazionale risulta composto da 1.133.006 aziende, di cui il 93,5% gestito in forma individuale o familiare con una Sau media di circa 8,6 ettari e una dimensione economica (DE) prevalentemente inferiore ai 25.000 euro. Si tratta di aziende che, sotto diversi aspetti, possiamo classificare come piccole o microimprese basate su un’organizzazione di tipo tradizionale e con relazioni più o meno strutturate a livello di mercato. Tuttavia, l’evoluzione dei dati censuari rileva una propensione verso la concentrazione aziendale con una progressiva riduzione delle piccole imprese a vantaggio delle grandi. I dati Istat descrivono un incremento delle forme aziendali più grandi e complesse, tra cui possiamo annoverare anche le società cooperative, e una diminuzione della forma aziendale individuale a conduzione familiare, di dimensioni più contenute.
In base ai dati dell’ultimo censimento le società cooperative sono 3.160, quindi una forma giuridica del tutto residuale rispetto al totale delle aziende agricole: la loro incidenza, infatti, è appena dello 0,3% e anche il peso in termini di Sau è modesto (1%). Ma se si considera la sola componente delle aziende agricole non individuali, il peso delle cooperative sale al 4,3%; inoltre, la dimensione media è superiore a quella delle aziende individuali (8,6 ettari di Sau) e più vicino ai valori medi delle società di persone (41,6 ettari) e di capitali (40,7 ettari).
A livello di ripartizione territoriale si rivela una distribuzione piuttosto eterogenea delle società cooperative, sia in termini di DE che di incidenza sulla struttura produttiva regionale (tab. 1). Si conferma, coerentemente con il dato nazionale, una certa predisposizione delle aziende agricole del Nord del Paese verso una maggiore dimensione tecnico-organizzativa: in linea con il modello europeo, infatti, la dimensione media delle società cooperative del Nord (63,4 ettari) è più che doppia rispetto a quella del Sud Italia (26,6 ettari).
In termini di DE le società cooperative del Nord si caratterizzano per essere tendenzialmente più grandi, cioè con una DE di oltre 100.000 euro. Queste rappresentando il 38% delle cooperative dell’area settentrionale, mentre al Centro e al Sud prevalgono le cooperative piccole, rispettivamente nella misura del 43,1% e del 37,4% (fig. 2).
Benché il peso delle società cooperative sul totale delle aziende agricole italiane si sia mantenuto sostanzialmente stabile nell’ultimo decennio (2020: 0,3%; 2010: 0,2%), nel periodo intercensuario si osserva una crescita di tale forma in tutti gli ambiti territoriali (tab. 2). In particolare, gli incrementi più significativi si registrano in Valle d’Aosta (100%), P.A. di Trento (50%), Liguria (44,4%) e Abruzzo (42,6%), di segno opposto Emilia-Romagna (-27,7%), Molise (-20%) e Toscana (-19,4%), che fanno rilevare i tassi di decremento più importanti.
Alcune realtà territoriali (Sicilia, Lombardia ed Emilia-Romagna) evidenziano una struttura agricola maggiormente orientata verso il modello organizzativo cooperativistico rispetto alla media nazionale. Al 2020, il maggior numero di società cooperative si trova nelle regioni del Sud, dove è localizzato il 62% del totale nazionale (1.959 unità). In particolare, in sole due regioni, Sicilia e Puglia, si concentra una quota superiore al 40%. Tra le altre realtà del Sud seguono, anche se a una certa distanza, Campania (5,5%) e Calabria (5,2%), al Centro si distingue il Lazio (5,9%) e al Nord l’Emilia-Romagna (6,3%), la Lombardia (5%) e il Veneto (4,6%) (fig. 3).
Alcuni degli elementi che potrebbero spiegare la concentrazione di società cooperative in Sicilia e Puglia possono essere attribuiti, da una parte, alla presenza di specifiche risorse territoriali favorevoli tra cui, ad esempio, la disponibilità di Sau e il maggior ricorso all’affitto, e, dall’altra, alla combinazione di interventi istituzionali e politiche pubbliche di sostegno ai processi aggregativi.
Rispetto alle forme di titolo di possesso dei terreni, nel periodo intercensuario, le società cooperative mostrano una crescita degli affitti del 15,8%. A crescere però è soprattutto la forma mista (affitto e uso gratuito) con un aumento del 62% cui fa eco, ma con una quota inferiore, la combinazione tra proprietà e affitto (+23,9%). Preme fare osservare che al 2020 la prevalenza delle cooperative conduce terreni in affitto (41,1%), e il 27,1% vanta titoli di sola proprietà. Seguono forme miste, in cui coesistono affitto, proprietà e uso gratuito (11,8%).
La correlazione tra la presenza di società cooperative e la maggiore estensione della Sau potrebbe suggerire che queste forme associative favoriscano una gestione più efficiente e sostenibile delle risorse agricole, facilitando l’accesso alla terra. A rafforzare tale tesi è la prevalenza di terreni in affitto tra le cooperative, così come la tendenza, consolidata nel periodo intercensuario, verso forme di possesso miste, che in parte contribuirebbe ad attenuare il problema dell’accesso alla terra e, dunque, a consolidare la posizione delle cooperative nel settore.
Gli strumenti del Psp
Gli interventi previsti dal Psp a supporto della cooperazione agricola fanno riferimento sia al primo che al secondo pilastro. Relativamente al primo, valorizzando l’esperienza delle Ocm, sono proposti interventi ben definiti per i settori ortofrutticolo e pataticolo, vitivinicolo, apistico e olivicolo-oleario per accrescerne la competitività in un’ottica di sostenibilità economica e ambientale. Per le filiere al momento non contemplate dalle politiche settoriali (cereali, colture proteiche, zootecnia da carne e da latte), la strategia nazionale intende promuove l’organizzazione di filiera con le misure di sviluppo rurale che, al contempo, operano anche a supporto della modernizzazione degli impianti produttivi, dell’integrazione di filiera, della qualità e sostenibilità delle produzioni attraverso l’innovazione, di prodotto e di processo, attuata con azioni di ricerca, trasferimento tecnologico e di consulenza aziendale.
Le Op/Aop permangono il principale strumento della Pac per programmare, concentrare l’offerta e adeguarla alla domanda, favorendo il miglioramento della posizione dei produttori primari nei confronti degli operatori a monte e a valle della filiera. Alle Op si affiancano le Oi che allargano la filiera ad altri soggetti coinvolti nel processo produttivo.
Nell’ambito del secondo pilastro, un elemento di novità è sicuramente rappresentato dal fatto che tra le otto macrocategorie di interventi previste dalla sezione sviluppo rurale del Reg. (Ue) n. 2021/2115, una è completamente dedicata agli approcci collettivi (art. 77), ossia a tutte quelle tipologie che vedono la cooperazione tra almeno due soggetti (tab. 4). Questa categoria di interventi raggruppa i tradizionali strumenti di integrazione della politica di sviluppo rurale, tra cui: le misure a favore dell’associazionismo agroalimentare e forestale, le azioni a favore dei regimi di qualità, i progetti integrati di filiera, i gruppi operativi per l’innovazione, tutte le forme di cooperazione contemplate dalla misura 16 dei Psr 2014-2022 e, non da ultimo, l’approccio Leader. In aggiunta sono state introdotte due nuove forme di cooperazione: la prima a sostegno del rinnovamento generazionale nella conduzione di impresa, non attivato dai Complementi di Sviluppo Rurale regionali, la seconda a favore degli smart village.
Sotto il profilo generale, le forme di cooperazione introdotte nella programmazione 2023-2027 si focalizzano principalmente su tre obiettivi:
- innovazione del settore agricolo e delle aree rurali attraverso la creazione di gruppi operativi per l’innovazione;
- azioni collettive a favore della competitività del settore agricolo con interventi a favore delle filiere, dei distretti e delle reti agroalimentari, forestali e bioenergetiche per: i) l’avvio di organizzazioni e gruppi di produttori, ii) la definizione di regimi di qualità, iii) la gestione forestale, iv) il ricambio generazionale;
- azioni per lo sviluppo del territorio e delle comunità locali che trovano il principale strumento di intervento in Leader ma possono avvalersi anche di strumenti per la definizione di partenariati pubblico-privati diversi da questo (agricoltura sociale, agricoltura di comunità, interventi a favore degli smart village, progetti per la gestione del territorio, del paesaggio e del patrimonio naturale, ei distretti rurali e distretti del cibo).
Dal punto di vista finanziario, il Psp 2023-2027 ha programmato a vantaggio dei nove interventi inclusi nella categoria di cooperazione poco più di 1,3 miliardi di euro di spesa pubblica, un valore equivalente al 10,5% della spesa pubblica nazionale (tab. 5). L’importanza, espressa in termini finanziari, data agli interventi di cooperazione dalle Regioni italiane risulta piuttosto eterogenea. Alcune di esse, tra cui Umbria (15%), Lazio (14,8%) e Puglia (13,8%), vanno ben oltre la media nazionale in termini di quota di spesa pubblica dedicata a tali interventi, mentre altre come Molise, Provincia autonoma di Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Calabria e Provincia autonoma di Trento si attestano su valori inferiori al dato medio nazionale.
Infine, appare evidente come tutte le Regioni abbiano programmato la quota di spesa pubblica più importante a vantaggio dell’intervento SRG06 (Leader - attuazione strategie di sviluppo locale, di cui sono beneficiari i Gal), che intercetta quasi il 70% delle risorse destinate alla cooperazione, attribuendo agli altri interventi risorse marginali e, quindi, un carattere più sperimentale che strategico.
di Francesco Licciardo*, Mia Scotti*, Stefano Tomassini*, Francesco Piras**
*Crea Politiche e bioeconomia; ** Università degli Studi di Sassari