Tecniche e tecnologie innovative per una gestione ambientale sostenibile della fertilizzazione nel florovivaismo: è stato questo il tema centrale della V Giornata nazionale del vivaismo mediterraneo - premio Stefano Capitanio, organizzata a Monopoli (Ba) dai Vivai Capitanio Stefano e dall’Associazione nazionale vivaisti esportatori (Anve). Una scelta non casuale perché l’evento, che vuole onorare l’opera e il lavoro del vivaista fondatore dei noti vivai monopolitani, è ormai diventato un’occasione nazionale di confronto e discussione su temi tecnici e professionali del settore florovivaistico. Quest’anno, tra gli esperti, era presente Elvira Rea, dirigente di ricerca del Consiglio per la ricerca e sperimentazione in agricoltura, Centro di ricerca per lo studio delle relazioni tra Pianta e suolo di Roma, e Francesco Fibbi, area sales manager Everris. «Mentre fino ad alcuni anni fa l’attenzione per la fertilizzazione delle colture floricole in contenitore era limitata a garantire una soluzione nutritiva adeguata alle esigenze nutrizionali della pianta, l’approccio attuale è volto alla ricerca di soluzioni sostenibili, che cioè sappiano coniugare rispetto dell’ambiente e redditività – ha introdotto Rea –. Nella scelta dei componenti del substrato si valuta non solo la disponibilità nel tempo e l’economicità, ma anche la sostenibilità ambientale; di essi si considerano le caratteristiche fisico-chimiche in rapporto alle tecniche d’irrigazione, all’apporto di differenti fertilizzanti e soluzioni nutritive e alla diversa qualità dell’acqua».
Substrato
Per i comuni usi florovivaistici, ha continuato Rea, è preferibile usare materiali inerti, poveri di nutrienti e caratterizzati da pH abbastanza acido e da bassi livelli di conducibilità elettrica (Ec). Il pH del substrato è importante per l’assorbimento di singoli elementi minerali, deve essere subacido (ottimale è 5,5-6,5) per poter essere modificato, con la soluzione nutritiva e/o l’acqua irrigua, verso i livelli ritenuti più idonei e rispondenti alle esigenze della specie coltivata. L’Ec indica il contenuto di sali solubili rilasciati dal substrato, è indice non solo del contenuto di nutrienti, ma pure della presenza di ioni non importanti a livello nutrizionale che ad alti livelli possono anche diventare tossici per la pianta. Nella gestione dell’irrigazione, ai tradizionali sistemi a ciclo aperto, sono da preferire sistemi d’irrigazione a ciclo chiuso, ad esempio con subirrigazione, nei quali l’acqua in eccesso viene recuperata. «Le colture fuori suolo a ciclo chiuso riducono l’impatto ambientale mediante il riciclo della soluzione nutritiva evitando la perdita nell’ambiente di fertilizzanti e acqua in eccesso. Sono più difficili da gestire, richiedono il controllo del pH e della Ec della soluzione nutritiva e la sua reintegrazione per riportare i contenuti minerali ai livelli ottimali. Consentono però una gestione più razionale degli impianti con positive conseguenze sull’efficienza di uso dell’acqua e dei fertilizzanti e quindi sulla sostenibilità ambientale delle colture». La disponibilità di nutrienti per la pianta dipende dalle complessive caratteristiche chimico-fisiche del substrato impiegato e quindi dalla sua composizione. E poiché uno sviluppo radicale ottimale aumenta l’efficienza di assorbimento dei nutrienti, si sta lavorando, ha informato Rea, alla messa a punto di substrati di coltivazione che apportino miglioramenti morfo-funzionali degli apparati radicali. Nell’ambito del progetto VIS, dal titolo “Piante destinate ad opera a verde: superamento di fattori critici nella fase di produzione e impianto”, finanziato dal Mipaaf e coordinato dal Centro di Ricerca per lo studio delle relazioni Pianta Suolo di Roma nella persona di Elvira Rea, diversi substrati sono stati miscelati con sostanze di vario tipo: compost, micorrize, polimeri superassorbenti per aumentare la riserva idrica dei substrati (Luquasorb), correttivi per modulare il valore del pH, biostimolanti, zeoliti, concimi innovativi.
Compost di qualità
L’utilizzo di compost di qualità, maturo e quindi stabile, per la formulazione dei substrati di coltivazione presenta indubbi vantaggi ambientali: la corretta gestione del riutilizzo dei rifiuti in quanto li trasforma in risorse, la sostituzione della torba e la riduzione della quantità di fertilizzanti impiegati. Occorre tenere conto che l’effetto fitonutrizionale del compost varia nel tempo: l’utilizzo di compost nella preparazione di substrati comporta un iniziale elevato contenuto di nutrienti (alta Ec) che consente irrigazioni con sola acqua nel primo periodo della coltura; in caso di Ec molto alta è necessario un periodo di dilavamento facendo passare acqua nel substrato al fine di asportare i sali in più per evitare un eccesso di nutrienti con effetti di tossicità; in una fase successiva occorre intervenire con la fertirrigazione per bilanciare gli elementi nutritivi di cui il substrato è povero. È di particolare interesse che il ricorso al compost permette di ridurre l’impiego di fertilizzanti. Ad esempio in una prova su alaterno (Rhamnus alaternus) le piante allevate in torba hanno ricevuto una soluzione nutritiva completa di macro e microelementi, invece quelle allevate nei substrati contenenti compost hanno ricevuto una soluzione priva di N, P e K, in quanto il compost risultava ben fornito di questi elementi: nelle due prove i risultati produttivi, in termini quantitativi e qualitativi, sono stati pressoché identici.
La micorrizazione
Ugualmente utile per ridurre l’apporto di fertilizzanti, ha aggiunto Rea, è l’impiego di micorrize, veri e propri bio-fertilizzanti che consistono in funghi del genere Glomus. «La micorrizazione è un’associazione simbiotica, nella maggior parte dei casi di tipo mutualistico tra un fungo e le radici di una pianta. Il fungo colonizza le radici della pianta fornendole elementi minerali e acqua, che estrae dal suolo attraverso la sua rete esterna di ife, mentre la pianta fornisce zuccheri al fungo. Inoltre l’utilizzo di polimeri superassorbenti, come Luquasorb, o di zeolite o altri materiali innovativi favorisce l’assorbimento radicale grazie a una maggiore proliferazione dei peli radicali, quindi con un minore ricorso all’apporto esterno di fertilizzanti. Pertanto la gestione integrata della nutrizione garantisce non solo una maggiore sostenibilità ambientale, ma anche una migliore efficienza nell’assorbimento degli elementi minerali».
Control release fertilizer
Può un fertilizzante essere sostenibile per l’ambiente? Può la tecnologia applicata ai fertilizzanti aiutare la sostenibilità ambientale? A queste domande ha dato una positiva risposta Fibbi, illustrando un’innovativa tecnologia applicata ai fertilizzanti per ridurre l’impatto ambientale nel florovivaismo e garantire il migliore rendimento. «Un fertilizzante è realmente sostenibile per l’ambiente se risponde a due caratteristiche fondamentali: da un lato è tale da poterne ridurre gli input nel processo produttivo, cioè impiegarne minori quantità per raggiungere risultati uguali o addirittura migliori, dall’altro è capace di garantire sia elevata efficienza, cioè utilizzo pressoché completo da parte della pianta, sia minori perdite per lisciviazione. La tecnologia per rendere i fertilizzanti (intesi come macro, meso e microelementi) sostenibili per l’ambiente esiste dal 1967 e col tempo si è affinata fornendo prodotti sempre più efficienti. Questa tecnologia consiste nel rivestimento delle materie prime che controllano e compongono il concime con una membrana che ne permette la fuoriuscita graduale nel tempo. Tale concime viene comunemente denominato Control release fertilizer (Crf) o concime a cessione controllata (comunemente conosciuto come Osmocote)». Come funziona un Crf o Osmocote? Ogni granulo, ha spiegato Fibbi, è rivestito con una resina organica, mentre al suo interno vi sono N, P, K, MgO, B, Cu, Fe, Mn, Mo e Zn. Dopo l’applicazione di Osmocote nel substrato, il vapor acqueo penetra all’interno del granulo sciogliendo gli elementi nutritivi. Nel granulo si forma una pressione osmotica che, controllata dalla membrana, permette la fuoriuscita dei nutrienti in un tempo che va dai 3-4 ai 16-18 mesi. Terminato il rilascio dei nutrienti lo scheletro del granulo rimane nel substrato dove si degraderà per azione dei batteri.«Scegliere Osmocote significa scegliere il concime che garantisce il migliore rendimento e un metodo di concimazione sostenibile. Infatti sono necessari meno chilogrammi di concime per ettaro di superficie coltivata e, di conseguenza, vengono consumate meno risorse naturali. Inoltre Osmocote nutre la pianta soltanto quando serve. Il resto delle sostanze nutritive è ben protetto contro il dilavamento. In sintesi i vantaggi di Osmocote sono: meno chilogrammi di concime per ettaro e assorbimento ottimale dei nutrienti da parte della pianta, come hanno dimostrato diverse specifiche ricerche in Container nursery stock (Cns), cioè su piante classiche da vivaio (Tab. 1), in Bedding plants, cioè piante con ciclo colturale breve (Tab. 2) e in floricoltura su poinsettia (Tab. 3). Scegliere Osmocote significa scegliere una concimazione molto più vantaggiosa se si considera il rapporto spesa/rendimento».
Metodi di applicazione
Seguendo il principio che bisogna concimare le piante e non l’ambiente, Fibbi ha suggerito i metodi più opportuni per applicare i concimi Osmocote, cioè miscelazione nei substrati, applicazione nel foro di messa a dimora e riconcimazione localizzata sul vaso. «Mentre l’efficienza di un fertilizzante idrosolubile è fortemente influenzata dal sistema di irrigazione e comunque è sempre minata da forti perdite per lisciviazione, gli Osmocote si distinguono per la maggiore efficienza d’uso da parte delle piante e per le minori perdite per lisciviazione». Per provare la sostenibilità degli Osmocote sono state compiute numerose prove ufficiali: lisciviazione di N, P, K in vivaismo (Cns), lisciviazione di N, P, K in floricoltura, confronto tra Crf, idrosolubili e organici, effetto dei CRF nei sistemi di ricircolazione in Cns. «Prove condotte in paesi esteri hanno dimostrato che con i concimi a cessione controllata solo una piccola parte dei nutrienti è disponibile direttamente e quindi è suscettibile al dilavamento. In particolare una prova di misurazione di conducibilità elettrica (Ec), N e P, in confronto tra PG-mix e Osmocote Exact, due settimane dopo la miscelazione nel substrato del vaso, ha dimostrato che il lisciviato di PG-mix è nettamente maggiore (Fig. 1). Un’altra prova ha dimostrato che il dilavamento di N, P e K con Osmocote Exact è inferiore di sette volte rispetto a concimi idrosolubili e che di questi circa il 70% non raggiunge le piante (Fig. 2). Un confronto tra Osmocote Bloom, organici e idrosolubili ha calcolato il dilavamento di N e P in kg/ha per colture di otto settimane dimostrando che Osmocote Bloom ha garantito un abbassamento generale del dilavamento, un minor dilavamento di N e P rispetto all’idrosolubile, un minor dilavamento di P rispetto all’organico, migliori risultati sulla qualità della piante (Fig. 3 e 4)». Anche in Italia di recente sono state condotte prove sugli Osmocote, ha aggiunto Fibbi. Nel 2011 una ricerca del dipartimento di Biologia delle piante agrarie dell’Università di Pisa e dal CeSpeVi di Pistoia, nell’ambito del progetto VIS (Vivaismo Sostenibile), ha realizzato prove di lisciviazione su coltivazione di Photinia e di lauroceraso, ponendo a confronto concimi Osmocote Exact con altri idrosolubili (Tab. 4). «Il controllo ha palesato perdite di N per lisciviazione notevolmente superiori a quelle verificatasi con le due tesi con Osmocote (Fig. 5). Dati riferiti a 1 ha di coltivazione in vaso da 10 l, con 39mila piante/ha, illustrano che Osmocote riduce fino all’80% la perdita di azoto nei confronti della sola fertirrigazione (Tab. 5): ciò è molto importante nelle zone vulnerabili a inquinamento da nitrati (zvN) e per la certificazione ambientale. Va altresì sottolineato che la qualità delle piante concimate con Osmocote è perfettamente in linea con quella delle piante concimate con gli idrosolubili (Tab. 6). La tecnologia per ridurre le immissioni di fertilizzanti e limitare la lisciviazione nelle falde esiste, dunque, e migliora sempre più. Oltre che ai fertilizzanti può essere applicata anche alla difesa fitosanitaria: infatti dopo anni di studi Everris ha messo a punto un nuovo concetto di fitofarmaco che grazie alla tecnologia applicata consente la riduzione dell’impiego di principio attivo e quindi anche la sua diffusione nell’ambiente».
Per una nutrizione sostenibile
La gestione ecocompatibile della fertilizzazione attraverso la scelta dei substrati e di tecnologie innovative al centro della V Giornata nazionale del vivaismomediterraneo,premio StefanoCapitanio