All'interno del comparto zootecnico del nostro Paese il settore dell'allevamento avicolo si distingue per una diffusa presenza dei contratti di soccida che legano tra di loro l'industria mangimistica e di trasformazione dei prodotti finiti (carni, uova, derivati) con gli allevatori. Sulla base di tale assetto, e senza scendere nei particolari contrattualistici della materia, il profitto dell'allevatore deriva da quanto residua dal pagamento della produzione (carne, uova) detratti i costi a suo carico, tra i quali vi è anche lo smaltimento delle deiezioni.
Deiezioni che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono rappresentate da effluenti palabili, come la pollina, ovvero il prodotto ottenuto negli allevamenti di galline ovaiole privi di lettiera, e la lettiera integrata, tipica degli allevamenti di avicoli da carne a terra.
Lo smaltimento delle deiezioni diventa elemento di criticità, anche dal punto di vista ambientale, quando si vengono a sommare elementi quali l'assenza o la forte carenza di terreni da utilizzare per la distribuzione dei prodotti, la presenza di terreni classificati come vulnerabili ai nitrati, l'elevata densità di allevamenti.
Condizioni queste che caratterizzano alcune aree dell'Italia settentrionale nelle quali si concentra il 71% del patrimonio avicolo nazionale e dove il Veneto detiene il 30% della produzione, intesa come numero di capi allevati (Tabella 1).
Le considerazioni che seguono fanno riferimento alla realtà veneta sfruttando oltretutto l'esperienza acquisita dagli scriventi nel corso del progetto RiduCaReflui finanziato dalla Regione del Veneto con il coordinamento di Veneto Agricoltura.
Il 28% dell'azoto zootecnico
Secondo i dati forniti dalla Regione Veneto, nel 2010 il numero di capi allevati all'anno ammontava a circa 137 milioni, di cui circa 80% rappresentato dai polli da carne, il 9,8% dai tacchini da carne e il 6,8% dalle ovaiole. Le province maggiormente interessate sono quelle di Verona, Vicenza, Padova e Treviso; a titolo di esempio, da sola la provincia di Verona detiene il 52% dei capi allevati in regione (tabella 2).
La tipologia dominante è quella dell'allevamento intensivo, quindi con poche unità produttive ma di medio-grandi dimensioni, la cui produzione è destinata esclusivamente alla grande distribuzione.
A fronte di un surplus di azoto di 56.960 t/anno dell'intero comparto zootecnico veneto, l'avicoltura contribuisce per il 28%, preceduta soltanto dal settore bovino (60%) (tabella 3).
Fertilizzare non basta
La concentrazione di unità produttive, spesso di medio-grandi dimensioni, in ambiti territoriali relativamente circoscritti, e le conseguenti problematiche relative al superamento dei quantitativi massimi ammissibili di azoto sui terreni, sono elementi più che sufficienti per comprendere come la gestione delle deiezioni avicole non possa essere affidato solo al convenzionale utilizzo agronomico diretto, ovvero alla distribuzione delle deiezioni tal quali su terreni agricoli.
La mancanza, o comunque l'insufficienza di terreni collegati al rifornimento alimentare di questi allevamenti - al contrario di quanto accade per il settore bovino - sono ulteriori argomenti che rendono la questione “gestione deiezioni avicole” di importanza strategica per il Veneto e tale da rendere auspicabili la messa in atto di azioni coordinate di medio-lungo periodo, le uniche che, a detta degli scriventi, possono risultare efficaci risolvere il problema.
Pertanto, tutto ciò che non può seguire l'utilizzo agronomico diretto, quali che siano le ragioni, rappresenta un'eccedenza per la quale devono essere trovate adeguate soluzioni alternative, in scala sia aziendale che sovra-aziendale.
Le due alternative
Su questa base si considera alternativa una soluzione che permette di risolvere il problema delle eccedenze di azoto in maniera sostenibile, possibilmente con soluzioni dirette e tali da soddisfare le prescrizioni di tipo igienico-sanitario che caratterizzano tali prodotti, classificati “Sottoprodotti di origine animale” (Soa) di categoria 2 (ne riparliamo più avanti).
Le strade in possesso di tali requisiti sono due: a) la valorizzazione commerciale delle deiezioni mediante loro trasformazione in concime organico e b) la combustione con produzione e recupero di energia elettrica e/o termica (termovalorizzazione).
Non rientra invece in tale contesto la digestione anaerobica in quanto, oltre a non risolvere il problema delle eccedenze azotate, complica l'utilizzo dei digestati dato che questi ultimi, per la natura del processo di digestione anaerobica, sono disponibili in forma non palabile.
La trasformazione in concimi organici
Il processo di produzione attualmente praticato passa per la cessione del materiale “fresco” (le lettiere di avicoli da carne estratte dai ricoveri al termine di un ciclo di produzione o la pollina di ovaiole in uscita dai ricoveri/sistemi di essiccazione) a ditte produttrici, le quali ne operano la trasformazione in fertilizzante pronto per la commercializzazione, sia in purezza che miscelato ad altre componenti, sciolto oppure pellettato.
In un'ottica di sostenibilità ambientale la valorizzazione commerciale è conservativa nei confronti sia dell'azoto che della sostanza organica contenuti nelle deiezioni, oltretutto con emissioni aeriformi contenute e/o facilmente controllabili.
Essa oltretutto non necessita di particolari tariffe incentivanti (come quelle per la produzione di energia da fonti rinnovabili), dato che la sostenibilità di tipo economico si fonda sulla qualità intrinseca dei prodotti di partenza e sull'esistenza di una adeguata rete commerciale.
La destinazione finale rimane quella agronomica, ma rispetto all'utilizzo diretto quello “via concime” si realizza in un ambito territoriale molto più esteso (anche sovra-nazionale), oltre che agronomicamente diversificato, rispetto a quello di origine.
Quanto qui sinteticamente esposto mette in evidenza come la scala operativa ideale di questa soluzione sia quella sovra-aziendale, passando attraverso l'organizzazione della raccolta dei materiali presso gli allevamenti ed il loro trasporto in centri di trattamento di dimensioni tali da assicurare adeguate condizioni di redditività (attraverso le opportune economie di scala) e di sicurezza igienico sanitaria.
Concimazione, le norme
Le normative che regolano la trasformazione e la vendita delle deiezioni avicole sul mercato dei fertilizzanti sono due.
La prima è attualmente rappresentata dal DLgs. n. 75/2010 -Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti- che riguarda la classificazione di questi prodotti dal punto di vista delle caratteristiche agronomiche.
Sotto tale aspetto le deiezioni avicole sono considerate un “concime organico NP”, nel dettaglio “pollina essiccata”, con un titolo minimo richiesto di azoto e di fosforo che è del 2% per singolo elemento e del 5% per la somma tra i due.
La seconda è rappresentata dal Regolamento sanitario n. 1069/2009/CE e dal suo attuativo (il Reg. n. 142/2011/UE) che regolano la trasformazione e l'immissione sul mercato (dei fertilizzanti) dei Sottoprodotti di origine animale (Soa).
Per il regolamento sanitario le deiezioni avicole sono classificate come “stallatico”, Soa di categoria 2: per essere immesse sul mercato come fertilizzanti, il Reg CE 142/2011 prevede che lo stallatico di origine avicola debba subire un trattamento termico di igienizzazione ad almeno 70 °C, per almeno 60 minuti (Reg. 142/2011, all. XI), a seguito del quale diventa “stallatico trasformato”. L'avvenuta igienizzazione deve essere altresì confermata da analisi microbiologiche in cui si verifica la conformità ai parametri riportati in tabella 4.
Questo trattamento viene realizzato presso gli stabilimenti delle ditte produttrici di fertilizzanti riconosciuti e autorizzati a ricevere e trattare materiali di categoria 2.
La termovalorizzazione
La termovalorizzazione, a differenza della trasformazione in concimi organici, è un trattamento distruttivo nei confronti dell'azoto (e della sostanza organica), che viene ossidato e trasformato in azoto molecolare gassoso (gas inerte in atmosfera).
Il recupero energetico che può, o meglio deve accompagnare il processo di combustione lo rende interessante, sia qualora detto recupero avvenga con la sola produzione di calore che attraverso la cogenerazione; la scelta tra l'una o l'altra forma dipende dalla taglia dell'impianto, quindi dal quantitativo di materiale disponibile. In entrambi i casi si preferisce parlare di termovalorizzazione piuttosto che di combustione, per sottolineare l'aspetto della valorizzazione energetica.
La tecnologia è applicabile, con soluzioni mature e collaudate riconducibili soprattutto alla combustione con apporto stechiometrico di ossigeno atmosferico, al trattamento delle sole lettiere esauste di avicoli da carne; meno della pollina di ovaiole, se non in miscela con altre matrici ligneo-cellulosiche, ma anche in questo caso con delle problematiche dovute alla natura stessa del materiale.
Pur con questo limite, la diffusione di tale tecnologia in ambito regionale avrebbe un effetto sensibile nella riduzione dei carichi azotati al campo, dato che le sole lettiere di polli e tacchini costituiscono il 63,3% delle deiezioni avicole, con un contributo in termini di azoto del 70,3% (tabella 5).
Tale positivo effetto si estenderebbe all'intera zootecnia regionale, poiché si andrebbe a ridurre la competizione con altri settori (bovino e suino) per l'uso dei terreni.
Ambito aziendale e sovra-aziendale
La scala operativa degli impianti di combustione per lettiere avicole interessa sia l'ambito aziendale che quello sovra-aziendale.
Nel primo caso si tratta di impianti dimensionati in modo tale da risultare autosufficienti per il rifornimento della materia prima, quindi sulla base della produzione aziendale di lettiera esausta. Date le dimensioni medie di un allevamento di polli da carne del Veneto (circa 30.000 capi/ciclo e 5 cicli/anno), si tratta di impianti che permettono il recupero termico ai soli fini del riscaldamento, con potenza al focolare della caldaia di 800-1.000 kW, pari ad una disponibilità annua di 1.800-2.200 t di lettiera.
L'installazione di una caldaia a lettiera in alternativa ad una a combustibile tradizionale (metano, gasolio, combustibile a basso tenore in zolfo) comporta per una singola azienda i seguenti vantaggi: a) la riduzione drastica, se non l'azzeramento, dei costi per il riscaldamento dei ricoveri di allevamento, voce importante nel bilancio di un allevamento avicolo; b) la riduzione dei costi per la distribuzione agronomica delle lettiere esauste, fatto non da poco tenuto conto che spesso le aziende avicole hanno una scarsa o nulla dotazione di terreni di proprietà, ponendole in una situazione di continua incertezza sui tempi e i modi dello smaltimento.
Rispetto ad una caldaia a combustibile tradizionale una caldaia a lettiera presenta costi di investimento sensibilmente più elevati dovuti all'insieme dei sistemi di controllo e di depurazione fumi necessari a garantire emissioni a norma di legge.
Tuttavia l'investimento viene ripagato in breve tempo proprio grazie ai mancati costi per il riscaldamento dei ricoveri e per la gestione delle deiezioni.
Ambito sovra-aziendale
Quando invece la disponibilità di prodotto supera le 4.500-5.000 tonnellate annue gli impianti possono essere di tipo cogenerativo, con potenze elettriche di norma uguali o superiori a 200 kW e termiche disponibili fino a 4 volte superiori. Condizioni, queste, che caratterizzano singoli allevamenti di grandi dimensioni o più allevamenti consorziati tra di loro presenti in ambiti territoriali caratterizzati da un'elevata concentrazione di unità produttive.
Se da un lato impianti di questo tipo godono di una scarsa accettazione da parte dell'opinione pubblica, preoccupata per le conseguenze di tipo ambientale e sanitario derivanti dalle emissioni in atmosfera, è anche vero che la maggiore taglia dell'impianto può offrire maggiori garanzie di controllo delle emissioni rispetto ad uno di taglia aziendale, se non altro perché possono disporre di personale specializzato per il controllo del processo e per la manutenzione dei sistemi di abbattimento dei fumi.
Considerazioni finali
Valorizzazione agronomica indiretta e combustione sono dunque soluzioni che, pur opposte nei confronti del controllo dell'azoto e della sostanza organica (la prima conservativa, la seconda distruttiva), in una logica di soluzione integrata della questione connessa alla gestione delle deiezioni avicole non dovrebbero essere viste come antagoniste, ma invece coesistere per rispondere in modo diversificato, flessibile e rapido alle esigenze contingenti che possono variare nel tempo (tabella 6).
L'uso del condizionale è comunque d'obbligo per il fatto che il ricorso alla combustione, pur risultando il metodo più diretto ed efficace per porre rimedio al problema delle eccedenze di azoto, viene reso incerto sia dalla scarsa accettazione da parte dell'opinione pubblica che da una normativa sull'uso di queste biomasse e sulle emissioni da esse prodotte che diverrà presumibilmente sempre più limitante. Elementi questi che non devono essere assolutamente sottovalutati all'atto della programmazione degli interventi.
La valorizzazione agronomica indiretta,pur risultando meno attrattiva rispetto alla precedente (in buona parte per la mancanza di una tariffa incentivante), può pertanto divenire la via più sicura e corretta, non solo per lo smaltimento delle produzioni eccedentarie, ma anche come strumento di stabilità dell'intera filiera nella importante e delicata fase della produzione zootecnica. Con riferimento al contenuto di tabella 6, tale soluzione:
- non distrugge la materia, ma tende a conservarla, valorizzando la sostanza organica e tutti i nutrienti in essa contenuti;
- permette di gestire elevati quantitativi annui di deiezioni, dell'ordine delle centinaia di migliaia di tonnellate all'anno;
- i concimi da essa derivati trovano grande apprezzamento presso una vasta gamma di produzioni agricole di pregio, spaziando dal settore orticolo a quello delle colture arboree e alla viticoltura;
- trova ristoro economico dalla commercializzazione dei prodotti finiti;
- risulta più accetta dall'opinione pubblica per il sensibilmente minore impatto ambientale prodotto dagli stabilimenti produttivi;
- valorizza e promuove, nei confronti dell'opinione pubblica, il ruolo degli allevatori e dell'intera filiera industriale collegata;
- contribuisce a mantenere, in chiave riveduta e corretta, l'attività di allevamento collegata al sistema agricolo, permettendone addirittura il potenziamento.