Il Sud del Marocco gode di un clima particolarmente favorevole per la coltivazione protetta del melone, sia nel ciclo autunnale (settembre-dicembre), sia soprattutto nel ciclo invernale (dicembre-aprile), con trapianti a fine novembre-inizio dicembre e quindi raccolte molto precoci, che possono iniziare già nella 1°-2° settimana di febbraio. Il modello di serra prevalente è rappresentato dalla cosiddetta “canariana”, una tensio-struttura a tetto piano, del tutto simile al “parral” tipico di Almeria, da cui evidentemente deriva. La principale differenza è che tutte le canariane marocchine sono molto alte, normalmente 5-6 m al colmo, il che consente un buon controllo delle temperature massime nei mesi più caldi. La regola d'oro “più alta è una serra meglio è” qui viene quasi sempre rispettata. Si tratta anche di una struttura assai economica: a seconda che i pali di sostegno siano in legno o ferro zincato, o misti, può costare dai 25mila ai 40mila €/ha, ovvero 2,5-4 €/m2: nessuna struttura multi-tunnel è in grado di competere con questi prezzi in quell'ambiente.
La costruzione richiede molta manodopera, ma in Marocco attualmente non supera i 10-12 €/giorno, quindi l'incidenza per unità di superficie è bassa. I pali di sostegno centrali sono piantati a file distanti in genere 10 m, con passo 2,5 m sulla fila. Sono affogati in piccoli plinti di cemento semplicemente appoggiati, in quanto la struttura viene ancorata a terra con pali diagonali lungo tutto il perimetro (passo 2,5 m), tesi da tiranti legati a grosse pietre interrate a ca. 160 cm di profondità. Anche il tetto viene ancorato allo stesso modo ogni 10 m, a metà tra due file di piantoni, così da far assumere al tetto un profilo leggermente a zig-zag e da raccogliere e drenare all'esterno eventuali piogge, suppur sporadiche. Non è certamente una struttura in grado di sopportare carichi verticali, quali una nevicata, che comunque non è certo un rischio probabile a quelle latitudini, ma ha sicuramente una notevole resistenza al vento, in quanto ancorata saldamente a terra, mentre il peso di un multi-tunnel grava in verticale su piantoni e gronde. Il telo di copertura è in genere Pe da 0,2 mm di spessore di durata triennale, il quale viene fissato tra due maglie di fili metallici “tessuti” in quadrati di ca. 25-30 cm di lato. In questo modo può resistere facilmente anche a venti di oltre 120 km/h. Le aperture di colmo per la ventilazione vengono realizzate semplicemente fissando i teli di Pe su fili di ferro zincato lungo l'asse dei piantoni. Apertura e chiusura vengono modulate a mano solo 3-4 volte l'anno, da operai che camminano sul tetto, in quanto per la maggior parte del tempo si tratta di aperture fisse. Al di sotto del telo di plastica vengono installate reti anti-insetto fisse, per bloccare soprattutto l'entrata della mosca bianca. Per modulare la ventilazione si usano più spesso le finestre laterali, pure fissate a cavi metallici, le quali vengono aperte dall'alto al basso con corde di cotone.
Piante sviluppate in altezza
Una peculiarità importante della coltivazione del melone in Marocco è che viene allevato in gran parte in verticale. Si tratta di una scelta colturale che comporta maggiori investimenti, sia nel sistema di coltivazione, sia nella tecnica, che richiede un maggiore impiego di manodopera, ma che può abbondantemente compensare l'agricoltore con rese più che doppie rispetto alla coltura tradizionale “a piatto”, che domina in Italia. L'allevamento in verticale fino a 180-220 cm di altezza, tutorato con spago, richiede circa il doppio di manodopera per la potatura (120-140 h/ha, contro le 60-70 h/ha della coltivazione a piatto), però consente anche di raddoppiare la densità di piantagione, in media da ca. 0,7-1 a 1,5-2,2 pt/m2 (la densità più diffusa in Marocco è di 18mila-20mila piante/ha). Per rendere fattibile questa opzione, ovviamente, è indispensabile una buona conoscenza della potatura verde selettiva. La continua potatura dei getti secondari (femminelle) permette alla pianta di produrre due “flussi di carica” da 4-5 frutti ciascuno, intervallati da un periodo di “vuoto”. Nel caso di meloni retati fino a 1 kg/frutto, ad esempio, il sistema verticale consente di portare la resa mediamente da 4-6 a 9-12 kg/m2, ovvero più del doppio, e di ripagare ampiamente il maggiore impiego di manodopera. Le maggiori rese si spiegano sia grazie alla migliore intercettazione della luce, in quanto si riduce l'ombreggiamento reciproco delle foglie, sia grazie alla potatura più precisa e continua dei getti secondari, che competono con quelli fruttiferi. Normalmente si osservano anche gradazioni zuccherine superiori (+0,5/1 °Brix). Unico inconveniente “qualitativo” è rappresentato talvolta da una leggera ovalizzazione dei frutti più grossi, in varietà che superano i 1.300-1.500g, a causa della forza gravitazionale che agisce su di essi. A seconda della vigoria della varietà e del periodo di coltivazione (ovvero della radiazione fotosintetica disponibile), la tecnica consiste nell'allevare la pianta a stelo unico, rimuovendo continuamente i germogli ascellari, fino al 12°-14° nodo, quindi vengono fatti allegare 4-5 frutti su tali getti secondari, fino al 18°-23° nodo, cimando le femminelle 1-2 foglie sopra il frutto. La rapida crescita per divisione cellulare di questi primi frutti produrrà una forte competizione nutrizionale sulla crescita del germoglio principale, il quale determinerà, quindi, l'aborto di tutti i nuovi fiori femminili prodotti fino a circa il 28°-33° nodo. A questo punto si ri-creerà l'equilibrio metabolico della pianta, con possibilità di allegare altri 3-4 frutti nella parte apicale dello stelo, il quale verrà infine cimato 2-4 foglie sopra l'ultimo frutto, ma spesso la crescita della cima si arresta da sola, causa competizione metabolica coi frutti. La maturazione di tutti i frutti avviene in circa 4-6 settimane, a seconda della radiazione disponibile, determinando due flussi di raccolta, ognuno di circa 2 settimane, intervallati da 1-2 settimane di “vuoto produttivo”. Il ciclo più redditizio in Marocco è ovviamente quello invernale. I primi trapianti cominciano a fine novembre e terminano a metà gennaio, quindi si potranno ottenere le prime raccolte a partire dalla 1°, ma più spesso, 2° settimana di febbraio fino a fine aprile-inizio maggio, quando cessa il canale di esportazione. La continua selezione dei frutti e dell'apparato fogliare consente di ottenere continuamente un equilibrio germoglio/frutti ottimale, quindi di massimizzare le rese, ma anche la qualità dei frutti, ovvero l'omogeneità di pezzatura, la consistenza e la shelf-life della polpa, il grado Brix° e talvolta anche la colorazione (più intensa soprattutto nei tipi a polpa arancione).
In fuori suolo
In Marocco si sta diffondendo velocemente anche la coltura del melone in fuori suolo, utilizzando soprattutto sacchi di fibra di cocco di elevato volume (circa 25 l per sacchi da 100-120 cm). Il melone è molto sensibile ai patogeni radicali, soprattutto di origine fungina, quindi è una coltura che si può avvantaggiare in modo consistente delle colture fuori suolo, in particolare in aziende marocchine che lo praticano in mono-successione, in quanto richiede un alto livello di specializzazione produttiva. È anche molto esigente in termini di nutrizione minerale e di tempestività di somministrazione di macro- e micro-elementi, quindi non c'è niente di meglio che una fertirrigazione bilanciata; la combinazione di allevamento in verticale e coltura idroponica massimizza rese e qualità, quindi il reddito. Anche i vantaggi agronomici sono evidenti: le caratteristiche chimico-fisiche dei substrati inerti permettono di controllare accuratamente la salinità e la concentrazione di macro- e micro-elementi, in funzione delle fasi di crescita della pianta e del suo fabbisogno nutrizionale: ciò consente di ottenere frutti più uniformi, sia riguardo alla pezzatura, che al grado di maturazione, ma soprattutto frutti con minore contenuto di acqua e maggiore accumulo di zuccheri e sali minerali. Unico importante accorgimento, poiché il melone viene allevato normalmente in serre fredde, è di appoggiare i sacchi contenenti il substrato direttamente sul terreno pacciamato. La coltura, infatti, richiede una temperatura radicale alta e costante, quindi si avvantaggia dell'accumulo termico del terreno e della sua cessione per contatto al substrato inerte durante la notte. In caso di substrati sospesi su supporti staccati dal terreno (canalette, bancali, ecc.), si sono osservati ritardi di precocità fino a 2 settimane. Il substrato che nelle coltivazioni più recenti ha dato le migliori prestazioni produttive e qualitative è la fibra di cocco, contenuta in sacchi di PE bianco/nero “UV-resistant”, al fine di rendere possibile il loro riutilizzo per 2-3 cicli produttivi, previa solarizzazione o sterilizzazione. In genere si trapiantano 4 piante per ogni sacco da 100-120 cm di lunghezza e 22-27 l di capacità. Molto interessante si è dimostrata recentemente anche l'inoculazione dell'apparato radicale con funghi micorrizici e/o ceppi di Trichoderma, in modo da conferire alle radici maggiore resistenza alle malattie radicali, ma soprattutto agli stress ambientali, in particolare alle basse temperature in fase di accrescimento dei frutti a gennaio. Sacchi di elevato volume (>20-25 l) di questo tipo, riutilizzati per 3 cicli produttivi, fanno sì, oggi, che una coltura fuori suolo costi addirittura meno di una coltura tradizionale a terra dove, ogni anno, è necessario rinnovare lavorazioni del suolo, disinfezione e pacciamatura, quindi l'obiezione che le colture fuori suolo non si stanno diffondendo in Italia, a causa dei maggiori costi, è attualmente destituita di ogni fondamento.
Fabbisogni nutrizionali
Dal punto di vista dei fabbisogni nutrizionali, il melone viene ritenuto una pianta tipicamente potassofila, ma non è esattamente vero. Va posta molta attenzione, in particolare, al giusto momento in cui somministrare non solo il potassio, ma anche gli altri macro-elementi. Nelle prime 4 settimane, ovvero nel periodo che precede la fioritura e l'allegazione dei primi frutti, l'apporto di fertilizzanti deve essere attentamente controllato, soprattutto quelli azotati, onde evitare pericolosi aborti fiorali a causa di un eccesso di vigoria della pianta. Nelle 4 settimane successive, in cui i frutti subiscono un'intensa crescita per divisione cellulare, il fabbisogno di nutrienti aumenta esponenzialmente: azoto, potassio e magnesio hanno un andamento relativo molto simile, mentre molto alto è l'assorbimento di calcio e tale si mantiene per ben 2/3 del periodo colturale totale: da questo punto di vista il melone appare più come una pianta calciofila che potassofila. Il picco di assorbimento del potassio avviene tra la fine della crescita per divisione e l'inizio di quella per distensione cellulare. Nella maggior parte delle varietà di melone, la massima traslocazione di zuccheri dalle foglie ai frutti si ha negli ultimi 7-15 giorni prima della raccolta ed è noto che tale processo necessita di abbondanti quantità di potassio, però la sua massima somministrazione deve precedere tale fase, pena il rischio di picchi di pressione osmotica nel frutto e conseguenti spaccature. Importante, inoltre, non far mancare l'azoto nitrico nelle fasi di crescita esponenziale dei frutti. Cautela invece con l'azoto ammoniacale, che può competere facilmente con l'assorbimento degli altri cationi, in particolare calcio e potassio. Da non dimenticare, infine, che anche le modalità di somministrazione della fertirrigazione rivestono una notevole importanza per guidare una crescita equilibrata del melone. All'inizio, fino alla fioritura e allegazione dei primi frutti, è opportuno creare una sorta di leggero stress idrico controllato, al fine di far prevalere la fase generativa della pianta. Successivamente, durante la crescita esponenziale dei frutti, la restituzione dovrebbe sempre eccedere l'ETp, onde non ostacolare il riempimento di sostanza secca delle cellule dei frutti, mentre nella fase finale di maturazione è consigliabile ritornare a una condizione leggermente deficitaria. Ciò previene le spaccature e favorisce una maggiore concentrazione di zuccheri nel frutto.