Giovanni Gioia, Anga: «I giovani siano al centro del processo decisionale»

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Siciliano, come il suo predecessore, è convinto che si possano coniugare produttività e rispetto dell’ambiente

Pac, redditività, ricambio generazionale, accesso al credito, bandi primo insediamento, sostenibilità, ricerca, sono alcune delle tematiche affrontate dal neo eletto presidente dei Giovani di Confagricoltura Giovanni Gioia, che prende il testimone da Francesco Mastrandrea.

Quali saranno le tre tematiche principali su cui concentrerà il suo lavoro?

In primis un rinnovato protagonismo sindacale dei giovani. In una fase storica così delicata per la nostra agricoltura, sento la forte responsabilità di portare i giovani imprenditori agricoli sempre più al centro del processo decisionale delle politiche di settore. Siamo coloro che vivono già ora e vivranno per i prossimi decenni un mutato contesto economico, climatico e normativo. Dovremo essere gli interlocutori privilegiati nel pensare un nuovo approccio al settore primario, testimoniando come produttività e rispetto dell’ambiente possano dialogare efficacemente, e basando lo sviluppo delle imprese su orientamento al mercato, formazione, innovazione.

L’atro tema riguarda la sostenibilità. Noi giovani agricoltori viviamo nel quotidiano le conseguenze della disinformazione sul comparto, schiacciato da una parte da idealizzazioni bucoliche, dall’altra arbitrariamente accusato delle peggiori responsabilità ambientali, che a loro volta hanno generato norme incongrue agli obiettivi di sviluppo sostenibile che tutti desideriamo raggiungere. Il rischio concreto è che con l’impianto della Farm to Fork, l’Ue sia più dipendente dalle importazioni di derrate alimentari, che potremmo invece produrre noi con gli elevati standard che ci contraddistinguono, se solo ci fosse concesso. Se la Pac vuole essere uno strumento per il rilancio agroambientale deve essere anche un volano di redditività.

Un altro obiettivo sarà lavorare sull’alta formazione dei nostri associati, dalla formazione imprenditoriale di base fino alle tematiche più innovative, perché solo con studio e preparazione potremo sostenere con forza le nostre posizioni sindacali. Daremo grande spazio a temi quali il carbon farming e l’innovazione genetica, senza trascurare gli aspetti economico-fiscali e i nuovi strumenti assicurativi, necessari nell’orizzonte di eventi metereologici avversi sempre più frequenti.

Quanto a Pac e redditività, per i giovani è stato confermato il sostegno all’insediamento con un massimale che passa da 70 a 100mila euro. Previsti, inoltre, 83,5 euro a ettaro. Sono misure sufficienti?

Un aumento di spesa per i giovani non può che far gioire e l’integrazione al reddito con aumento del titolo di base per i primi 90 ettari va sicuramente apprezzata, ma proviamo a calare il tutto nel suo contesto. Gli stati membri hanno avuto più libertà rispetto al passato di declinare le regole europee. L’Italia ha deciso di stanziare appena l’1% del budget per le politiche giovanili. Troppo poco per raggiungere l’obiettivo del ricambio generazionale se pensiamo che, da dati Istat del 2020, in Italia appena il 13,4% dei titolari di impresa agricola è sotto i 44 anni. Chiediamoci allora se gli strumenti messi in campo fin qui siano stati realmente efficaci. Siamo sicuri sia il primo insediamento lo strumento cardine per sostenere il ricambio generazionale in agricoltura?

Non lo è?

Servirebbe un tavolo di verifica nel quale analizzare i risultati delle misure introdotte negli ultimi anni e valutare quante delle aziende giovani insediatesi siano riuscite a stare al passo con il mercato e quante invece abbiano chiuso. Riguardo ai bandi di primo insediamento è indubbio che la palla passi alle Regioni. Un mosaico all’italiana in cui meriti e inefficienze colorano in maniera alternata la cartina del bel paese. Mentre sulle tempistiche di finanziamento il panorama è vario, il minimo comun denominatore evidenziato ovunque dagli associati è il gioco al massacro per guadagnare posizioni nelle graduatorie. Spesso pochissimi punti fanno la differenza e laddove un investimento sovradimensionato o persino non ben integrato nel progetto d’impresa faccia guadagnare punti, il giovane insediando, spesso, si trova costretto a farvi ricorso per non vedersi escluso. Ne derivano così progetti aziendali forse perfetti per la burocrazia ma meno per il mercato reale o ne derivano ancora sovraesposizioni finanziarie con gli istituti di credito e ingenti anticipazioni di liquidità.

Quale soluzione?

Andrebbe, ad esempio, almeno garantito nell’estensione dei bandi di primo insediamento che i fondi destinati alle sotto-misure collegate siano sufficienti per finanziare tutti i progetti legati agli insediamenti previsti. Ricevere il premio di primo insediamento senza vedersi finanziato il progetto collegato è una beffa per il beneficiario ed è spesso causa di rinuncia.

Quali sono le principali difficoltà che incontrano i giovani che decidono di avviare la propria attività?

Duole dirlo ancora una volta. Uno dei problemi principali è l’accesso al credito, specie per l’acquisto del capitale fondiario. Oltre alla poca disponibilità sul mercato immobiliare, si assiste anche ad un innalzamento dei prezzi, insostenibile per qualsiasi giovane che non abbia una pregressa e solida posizione economica. Anche il mercato degli affitti subisce forti oscillazioni e ad oggi mantiene prezzi elevati. È inutile nascondersi: è più agevole insediarsi in agricoltura se l’azienda deriva dalla propria famiglia. Anche in questo caso però, oltre che per remore culturali, il passaggio è ostacolato da un’insufficiente premialità fiscale per il subentro. Inoltre un fattore che in Italia ha una rilevanza maggiore rispetto al resto d’Europa è la minor propensione alla cooperazione per l’accentramento dell’offerta e il conseguente aumento di potere contrattuale dei produttori. È necessario dunque che si continui a lavorare per implementare tutti quegli strumenti finanziari nei quali l’accesso al credito è facilitato da garanzie statali. E che si prevedano misure snelle e di facile accesso per somme contenute a sostegno di piccoli e graduali investimenti da parte del giovane agricoltore, rispettando i suoi tempi e le sue scelte imprenditoriali.

Cosa chiedete al governo Meloni?

Che sia la volta buona per guardare con fiducia alla scienza senza posizioni preconfezionate. È necessario non farsi corteggiare da pratiche agricole alla moda o a volte persino figlie dell’anti-scienza, pena il rischio di prendere strade insidiose. Chiediamo che si guardi alla produttività delle aziende in un’ottica di competitività e sicurezza alimentare del nostro Paese. E che si torni a guardare al settore primario come un settore strategico per il nostro paese. Chiediamo inoltre una seria apertura alle biotecnologie applicate in campo agrario. Ciò significherebbe poter sviluppare varietà vegetali resistenti a patogeni e parassiti, varietà in grado di sfruttare al meglio le risorse disponibili, adatte a superare gli stress dovuti al cambiamento climatico e porsi alla pari sui mercati rispetto ai paesi extraeuropei. Pensiamo agli enormi vantaggi che tutto ciò può significare. Nel resto del mondo la ricerca va avanti spedita. Non perdiamo anche questo treno. Ne va della nostra agricoltura, del nostro pianeta, del nostro futuro.

Chi è

Palermitano, 30 anni, Giovanni Gioia rappresenta la quarta generazione di una famiglia attiva nell’imprenditoria agricola nell’entroterra siciliano, da sempre vocato alla cerealicoltura. È la coltivazione di grano duro da seme certificato il core business della sua impresa, l’Agricola Kibbò, nel territorio di Petralia Sottana (Pa). Oggi l’azienda produce, oltre a grano duro certificato, foraggi di qualità, leguminose da granella, olio extravergine d’oliva, canapa, lino e miele.

Giovanni Gioia, Anga: «I giovani siano al centro del processo decisionale» - Ultima modifica: 2022-11-16T17:50:47+01:00 da Laura Saggio

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