Al via il progetto Smartgas, finanziato nell’ambito del Psr Regione Toscana 2014-2020 dal bando per la costituzione di Gruppi operativi del Partenariato europeo per l’Innovazione, con l’obiettivo di consolidare la filiera toscana del biogas agricolo, perseguendo obiettivi agroambientali di valorizzazione agronomica del digestato e di sviluppo di modelli colturali propri dell’agricoltura conservativa. Concetti che si ispirano al modello di “Biogas fatto bene” proposto dal Cib (Consorzio Italiano Biogas), al fine di migliorare la redditività delle aziende agricole da un lato e apportare vantaggi ambientali legati allo stoccaggio del carbonio nel suolo e alla fornitura di una serie di servizi ecosistemici dall’altro.
Articolo tratto dalla rubrica Bioenergie e agricoltura di Terra e Vita
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All’incontro di apertura del progetto, svoltosi il 5 luglio presso il centro di ricerca Enrico Avanzi dell’Università di Pisa e moderato da Martina Pirani di Confagricoltura Toscana, hanno partecipato gli enti e le aziende partner del progetto, Federico Dragoni, Alice Albertini e Giorgio Ragaglini dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, Lorella Rossi e Guido Bezzi del Consorzio Italiano Biogas, Marco Mentessi di Confagricoltura Toscana, Giulio Borgia dell’azienda agricola Le Rogaie in rappresentanza delle sei aziende agricole coinvolte. Una relazione sull’approccio dell’agricoltura di precisione a servizio dell’agricoltura conservativa è stata inoltre presentata da Marco Vieri dell’Università di Firenze.
Una nuova agricoltura per mitigazione e carbon removal
L’ultimo rapporto dell’ottobre 2018 dell’Ipcc, il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici, è chiaro: per invertire la rotta e contenere l’incremento di temperatura causato dall’accumulo dei gas serra in atmosfera, non sarà sufficiente ridurre le emissioni con azioni di mitigazione, ma occorre anche rimuovere parte della CO2 già presente, con la messa a punto di tecniche cosiddette di carbon removal.
«Per lo sviluppo del biogas agricolo – ha spiegato Lorella Rossi di Cib – abbiamo degli obiettivi ambiziosi: la strada della digestione anaerobica permette non solo di produrre energia da fonti rinnovabili ma anche di stoccare la CO2 nel suolo e, se fatta in modo opportuno, di diventare carbon negative, cioè di produrre un bilancio negativo per le emissioni di CO2 in atmosfera» .
Una recente pubblicazione (Valli et al., 2017) ha preso in considerazione l’impatto ambientale di quattro aziende agricole produttrici di biogas, valutando in un’analisi di Life Cycle Assessment tutte le emissioni per la coltivazione, i trasporti e i consumi per la produzione di energia elettrica o di biometano, come anche i crediti derivanti dalle mancate emissioni dovute allo smaltimento degli scarti e degli effluenti, al minor consumo di fertilizzanti e al sequestro di carbonio nel suolo.
I risultati hanno messo in evidenza non solo l’evidente riduzione nelle emissioni dovute al consumo di bioenergie prodotte in azienda rispetto a quelle legate all’uso di energie da fonti non rinnovabili, ma anche che laddove il modello è quello del “biogas fatto bene” e viene utilizzata una quota più o meno rilevante di effluenti zootecnici o di sottoprodotti di coltivazione, a differenza dell’azienda produttrice di biogas “convenzionale” che produce energia con il mais di primo raccolto, il bilancio arriva in alcuni casi a essere negativo, con differenze legate al modello produttivo (fig. 1).
Agricoltura conservativa e utilizzo del digestato
L’approccio proposto da Smartgas, che rappresenta la visione condivisa da tutti i partner del progetto, è quello di un biogas che non va in competizione con le produzioni alimentari ma le completa e le integra con la produzione di energia a partire da effluenti zootecnici, sottoprodotti, colture di secondo raccolto e colture alternative adatte alle aree marginali. Un sistema per produrre di più integrando il reddito delle aziende agricole e apportando contemporaneamente un vantaggio all’ambiente.
Il nuovo modello produttivo di economia circolare applicato al biogas agricolo associa le tecniche sostenibili dell’agricoltura conservativa, che prevede avvicendamenti colturali di copertura e riduzione delle lavorazioni, quelle proprie dell’agricoltura di precisione per ridurre i consumi e gli input produttivi, sia fertilizzanti che idrici, e il reintegro delle asportazioni con il ritorno al terreno del digestato, sottoprodotto della digestione anaerobia.
Incrementando l’attività fotosintetica e riducendo la mineralizzazione della sostanza organica e il compattamento dovuti rispettivamente alle lavorazioni profonde e al passaggio delle macchine, è possibile migliorare la fertilità organica del suolo, che recupera così la capacità di fornire servizi ecosistemici in grado di aumentare la resilienza degli ambienti agrari, dalla regolazione delle risorse idriche e del ciclo dei nutrienti, alla conservazione della biodiversità animale, microbica e vegetale, al contrasto del rischio idrogeologico e dei fenomeni erosivi, ma non solo. Sia l’inserimento delle doppie colture e delle cover crops, sia l’uso di colture lignino cellulosiche poliennali, sia soprattutto il ritorno al suolo con il digestato di sostanza organica stabile con azione fertilizzante, permettono di chiudere il cerchio e di trasformare i terreni agricoli in serbatoi o carbon sink, in grado di fissare nel suolo la CO2 atmosferica catturata nel processo fotosintetico.
«Obiettivo del progetto Smartgas è trovare anche per la Regione Toscana un modello di Biogas Fattobene, che prenda spunto dagli esempi virtuosi già esistenti nelle regioni del Nord Italia, ma che si adatti, con delle esperienze e sperimentazioni guidate, alle esigenze dei produttori anche nelle aree di agricoltura marginale e a forte rischio di abbandono» ha sottolineato Giorgio Ragaglini.
Quali saranno le attività del progetto
«Questo progetto – ha spiegato Federico Dragoni – servirà per avvicinarsi alle aziende e vedere come lavorano, elaborare degli indicatori in grado di misurare le loro performance ambientali, agronomiche ed economiche, verificare l’efficacia dei sistemi produttivi già applicati e i loro possibili miglioramenti, oltre che le potenzialità di nuove pratiche. Lo strumento sarà quello delle prove di campo, nella progettazione delle quali abbiamo voluto adattarci a quello che le aziende già fanno, inserendo elementi di innovazione relativi alle modalità di raccolta, alle tecniche di distribuzione del digestato, al minimum tillage o semina su sodo e agli avvicendamenti colturali, con inserimento di specie poliennali, doppie colture, colture alternative a semina precoce, cover crop o catch crop».
Saranno oggetto di studio e approfondimento in ognuna delle prove aziendali l’efficacia produttiva ed economica, l’efficienza nella produzione di biomassa e nell’assorbimento di azoto, le emissioni di CO2, l’incremento in sostanza organica e l’impatto sulla biodiversità, valutata con un’analisi della presenza degli insetti e dei microartopodi come i collemboli o i coleotteri carabidi e stafilinidi, indicatori del livello di alterazione dei suoli alle diverse profondità esplorate dalla coltura.
Per l’uso del digestato particolare attenzione sarà posta alla messa a punto delle modalità di distribuzione sottosuperficiale o di copertura, più adatte alle condizioni di coltivazione collinari, con la valutazione delle distribuzioni superficiali seguite da aratura rispetto a quella in solchi seguita da erpicatura.
«Nell’ottica territoriale di rendere i digestori anaerobici delle piccole centrali della fertilità i cui benefici possano essere estendibili anche ai suoli esterni alle aziende agricole dove sono prodotti, infine abbiamo pensato di allargare il cerchio e, prendendo a esempio il progetto Digestato 100% realizzato nella Regione Emilia Romagna, di sviluppare una sperimentazione - che per il momento si svolgerà su scala di vasche lisimetriche - per valutare l’utilizzo del digestato in microirrigazione per la fertilizzazione delle colture food, come ad esempio il pomodoro da industria», ha aggiunto il ricercatore dell’Istituto pisano.
Lavorare (anche) per una nuova narrazione del biogas
Le aspettative delle aziende agricole ai blocchi di partenza del progetto sono molte e non riguardano soltanto i risultati materiali e tecnici che le prove di campo permetteranno di ottenere: «Essere all’anno zero, soprattutto per sviluppare delle buone pratiche per l’uso del digestato nelle nostre realtà ci stimola molto. L’auspicio – ha sollecitato Giulio Borgia – è che questo progetto ci aiuti anche a trovare insieme le parole per presentarci nel dialogo con la cittadinanza e spiegare quello che facciamo nel modo più corretto possibile, con l’obiettivo di allontanare i timori e i pregiudizi, alimentati purtroppo anche da alcune organizzazioni professionali, che accompagnano la nostra attività e con i quali dobbiamo fare i conti quotidianamente».
Un appello a trovare una nuova narrazione per il settore delle bioenergie, raccolto nelle conclusioni della giornata da Marco Mentessi, direttore di Confagricoltura Toscana, che ha confermato l’impegno nel supportare le necessità di innovazione degli agricoltori e di creazione di reti di imprese e di conoscenze «Ci stiamo sempre più rendendo conto della necessità di cambiare il paradigma sindacale finora applicato e di dare un supporto diverso agli agricoltori. stiamo lavorando per far dialogare i nostri agricoltori tra loro e con il mondo della ricerca e dell’innovazione».
Il digestato agricolo per la legge
Il Decreto Effluenti del 25 febbraio 2016 definisce i criteri e le norme per l’utilizzazione agronomica del digestato che, in assenza di rifiuti, se prodotto unicamente da materie prime agricole o da scarti agroindustriali, viene classificato come sottoprodotto e come tale può essere utilizzato tal quale in campo, in modo normato, o trasformato in processi di essiccazione o compostaggio e quindi commercializzato come ammendante o fertilizzante.
I parametri e i limiti di utilizzo per i digestati agrozootecnici o agroindustriali sono fissati per una serie di parametri compositivi di interesse agronomico o ambientale (sostanza organica, fosforo, azoto, metalli pesanti – questi ultimi per il solo digestato agroindustriale) e di qualità igienico sanitaria (assenza di Salmonella). Un utile strumento per i limiti e gli adempimenti per i produttori e gli ultizzatori di digestato sono le Linee Guida per l’uso agronomico del digestato, pubblicate dal Cib.