Fauna selvatica, Cia lancia riforma radicale: «subito nuove norme»

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Presentato oggi, in Camera e Senato, un documento con sette azioni per arginare il fenomeno. 60 milioni di euro l’anno: i danni che il comparto agricolo subisce dall’aumento incontrollato della fauna selvatica.

«Una riforma radicale della legge sulla fauna selvatica per affrontare concretamente un problema ormai fuori controllo»: l’ha chiesta Cia-Agricoltori Italiani, che oggi ha portato sul tavolo di Camera e Senato una proposta di modifica della legge 157/92 che regola la materia.

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Dino Scanavino, presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani.

Secondo dati Cia, in Italia ci sono quasi 2milioni di cinghiali (+111%) che causano danni all’agricoltura fino a 60mln di euro l’anno, senza contare i danni ambientali e gli incidenti stradali sempre più frequenti e le minacce alla sicurezza dei cittadini anche nelle aree urbane.

«La questione dei danni da selvatici è diventata insostenibile pressoché su tutto il territorio italiano. Ogni valutazione o stima viene immediatamente superata nei fatti. È del tutto evidente – sostiene Cia - che le attuali politiche, orientate alla mera conservazione della fauna, dimostrano la loro totale inadeguatezza a governare questi processi e a contenerne i danni».

I sette punti chiave

Per queste ragioni, Cia presenta sette punti chiave per intervenire sulla questione degli animali selvatici (ungulati, storni, nutrie), con l’intento di aggiornare una legislazione obsoleta e totalmente carente, sia sul piano economico che su quello ambientale.

  1. Sostituire il concetto di “protezione” con quello di “gestione”. Secondo Cia, la finalità di fondo, indicata già nel titolo della legge, deve essere modificata passando dal principio di protezione a quello di gestione della fauna selvatica. Se la legge del 1992 si focalizzava sulla conservazione della fauna, in quegli anni a rischio di estinzione per molte specie caratteristiche dei nostri territori, oggi la situazione si è ribaltata, con alcune specie in sovrannumero o addirittura infestanti. L’esempio più lampante riguarda i cinghiali, responsabili dell’80% dei danni all’agricoltura: si è passati da una popolazione di 50mila capi in Italia nel 1980, ai 900mila nel 2010 fino ad arrivare a quasi 2milioni nel 2019. È del tutto evidente, quindi, che bisogna tornare a carichi sostenibili delle specie animali, in equilibrio tra loro e compatibili con le caratteristiche ambientali, ma anche produttive e turistiche, dei diversi territori.
  2. Ricostituire il Comitato tecnico faunistico venatorio, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. L’attuale legge divide le competenze in diversi ministeri; occorre riportare alcune competenze di fondo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e, di fatto, ricostituire il Comitato tecnico faunistico e venatorio, partecipato dal Mipaaft e dal Ministero dell’Ambiente, dalle Regioni, dalle organizzazioni interessate e da istituzioni scientifiche come l’Ispra.
  3. Distinguere le attività di gestione della fauna selvatica da quelle dell’attività venatoria. È necessario intervenire radicalmente nella governance dei territori, garantendo l’effettiva partecipazione del mondo agricolo a tutela delle proprie attività. Le procedure di programmazione faunistica e delle attività venatorie devono essere semplificate e armonizzate con le Direttive europee e, allo stesso tempo, vanno ridisegnati e ridefiniti i compiti degli Ambiti territoriali di gestione faunistica e venatoria (al posto degli Ambiti territoriali di caccia).
  4. Le attività di controllo della fauna selvatica non possono essere delegate all’attività venatoria. Per Cia, piuttosto, deve essere prevista o rafforzata la possibilità di istituire personale ausiliario, adeguatamente preparato e munito di licenza di caccia, per essere impiegato dalle autorità competenti in convenzione, mettendo in campo anche strumenti di emergenza e di pronto intervento.
  5. Deve essere rafforzata l’autotutela degli agricoltori. Sui propri terreni, i produttori devono poter essere autorizzati ad agire in autotutela, con metodi ecologici, interventi preventivi o anche mediante abbattimento.
  6. Risarcimento totale del danno. La crescita dell’incidenza dei danni da fauna selvatica è esponenziale. Ad oggi, i danni diretti al settore agricolo accertati dalle Regioni corrispondono a 50-60 milioni di euro l’anno. Secondo Cia, gli agricoltori hanno diritto al risarcimento integrale della perdita subita a causa di animali di proprietà dello Stato, comprensivo dei danni diretti e indiretti alle attività imprenditoriali. Bisogna superare la logica del “de minimis”; mentre criteri, procedure e tempi devono essere omogeni sul territorio, con la gestione affidata alle Regioni.
  7. Tracciabilità della filiera venatoria. Ai fini della sicurezza e della salute pubblica, occorre assicurare un efficace controllo e un’adeguata tracciabilità della filiera venatoria, partendo dalla presenza di centri di raccolta, sosta e lavorazione della selvaggina, idonei e autorizzati, in tutte gli areali di caccia.

«La Cia sarà protagonista, negli stessi giorni del lancio della sua proposta di riforma della legge 157/92, di una mobilitazione generale in tutte le regioni sul tema della fauna selvatica - spiega il presidente nazionale Dino Scanavino -. Sollecitiamo le istituzioni ad agire tempestivamente, utilizzando il nostro progetto di riforma come base di discussione, per arrivare a una nuova normativa sul tema più moderna ed efficace».

DANNI DA CINGHIALI ALLE COLTURE AGRICOLEfauna selvatica

 

PRESENZA UNGULATI IN ITALIA / Stime Cia-Agricoltori Italianifauna selvatica

Fauna selvatica, Cia lancia riforma radicale: «subito nuove norme» - Ultima modifica: 2019-05-15T15:11:40+02:00 da Laura Saggio

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