Fucili e superintensivo contro cinghiali e Xylella

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Patrizio Giacomo La Pietra, sottosegretario al Masaf
A tu per tu con il sottosegretario al Masaf Patrizio Giacomo La Pietra. Le misure per favorire il ricambio generazionale? «Non funzionano, dopo un anno e mezzo le aziende condotte da under 41 chiudono»

Realizzare un piano olivicolo nazionale lavorando a un’unica interprofessionale. Investire su coltivazioni di olivo intensive e super intensive fatte con cultivar italiane. Gestire le emergenze Xylella e fauna selvatica basandosi sulle indicazioni della scienza. Rivedere completamente i bandi Psr per il primo insediamento dei giovani. Il sottosegretario al Masaf Patrizio Giacomo La Pietra fa il punto sui principali dossier di sua competenza e sui temi di attualità che interessano il settore.

Sottosegretario, lei ha deciso di convocare il tavolo olivicolo in tempi brevi, chiedendo dialogo e concretezza. È stato un incontro proficuo? Quali le tematiche centrali affrontate?

Ho convocato il tavolo tra tutti gli attori del mondo olivicolo oleario per aprire una possibilità concreta di confronto e avviare i lavori per costruire insieme un piano olivicolo nazionale per il rilancio del settore. Ho tracciato alcune linee di azione, come tutelare i vecchi impianti di oliveto che rappresentano una nicchia di prodotto di alta qualità e in molti casi anche tutela del territorio. Credo sia utile, laddove possibile, recuperare anche gli impianti abbandonati, perché un terreno non coltivato si presta al dissesto idrogeologico. Altra azione, più determinata, è creare nuovi impianti produttivi. A riguardo sono convinto che dobbiamo investire su coltivazioni intensive e superintensive senza pregiudizi ideologici, purché fatte con cultivar italiane. L’altra tematica affrontata è il fenomeno della Xylella. Ho ribadito che il problema non è regionale ma nazionale. Da Lecce il batterio è arrivato a Bari: stiamo distruggendo il sistema olivicolo pugliese che rappresenta il 50% della produzione nazionale. Queste proposte sono state accolte con favore da tutti. Ho chiesto a ogni attore della filiera di inviarmi osservazioni per poi iniziare a costruire questo nuovo percorso.

All’interno di questo nuovo percorso allargato rientra anche la sua volontà di costruire un’unica interprofessionale? Ci sono le premesse? Che risposte ha avuto dal tavolo?

Il Paese ha bisogno di una interprofessionale unica che possa seguire il nuovo piano di olivicoltura nazionale e permettere di arrivare a un sistema di qualità italiano unico. A oggi posso dire che il confronto è stato franco e credo ci sia disponibilità per lavorare in questa direzione. Nel settore ci sono tante identità, una sana concorrenza è giusta, ma bisogna stare attenti a non farla sfociare in conflittualità, altrimenti ci perde il sistema Paese. È una scelta di campo e il campo è il sistema agricolo italiano. Sui grandi temi dobbiamo essere uniti.

La produzione di olio d’oliva in Italia è in calo strutturale. Come intervenire per recuperare competitività?

Gli altri competitor, inclusi i Paesi emergenti, negli anni hanno puntato su politiche nazionali per accrescere la competitività delle aziende. Penso alla Spagna che ci ha superati. In Italia abbiamo mantenuto un’elevata qualità produttiva grazie agli agricoltori, ma è mancata una prospettiva con obiettivi precisi. Dobbiamo recuperare questo ritardo ed è compito della politica farlo, ecco perché puntiamo alla realizzazione di un piano olivicolo nazionale.

Cosa ne pensa della proposta di incrementare i fondi dell’Ocm Olio, così come fatto per quella sul vino?

Quando ci sono risorse disponibili è sempre positivo. In Italia non sono mai state poche, ma spesso sono state spese male. Anche l’ottimizzazione della spesa passa da una progettualità, altrimenti il rischio è spendere il triplo per tappare dei buchi, facendo scelte non strategiche.

Quindi come possiamo spendere bene le risorse del Pnrr?

Nel Pnrr ci sono tante risorse. Ma anche qui, per alcuni meccanismi sbagliati, non si segue una strategia nazionale e si va invece dietro ai progetti. Con questa logica rischiamo di investire ancora in zone del Paese dove le strutture sono già esistenti e che hanno la possibilità di presentare progetti più organizzati, rispetto a zone in cui le strutture mancano. Il rischio è aumentare sempre più il divario territoriale. Il sistema gestionale del Pnrr va rivisto.

Quanto alla gestione della Xylella, lei ha invocato più volte una lotta netta, basata sulla scienza e non sulle ideologie. Cosa ne pensa dell’eventuale nomina di un responsabile dell’emergenza dotato di pieni poteri, risorse e mezzi straordinari, per attuare l’eradicazione in presenza di un focolaio?

Vista la situazione, pensare a un commissario, tra l’altro già nominato in passato, credo sia una scelta possibile. Tutti gli anni spostiamo verso nord la fascia di protezione e questo significa che quello fatto fino a oggi non ha funzionato. Capisco gli agricoltori che hanno delle reticenze all’abbattimento, ma ci deve essere una responsabilità e presa di posizione forte delle istituzioni affinché diano indicazioni precise su come agire. Se c’è da eradicare degli alberi e mettere nuove produzioni va fatto.

Il non controllo della Xylella per certi versi ha delle somiglianze con la problematica fauna selvatica. Vista la dimensione del fenomeno, l’abbattimento selettivo anche qui sembra diventato ormai l’unica via. Come intendete affrontarla?

Proprio così, la non gestione ha provocato l’emergenza attuale, soprattutto per quanto riguarda la sovrappopolazione dei cinghiali. Una politica ambientalista e animalista troppo spinta, legata a un pregiudizio verso la caccia, i cacciatori e l’abbattimento, non ci ha permesso di controllare la fauna selvatica. Non capisco perché si possono abbattere i suini negli allevamenti e non i cinghiali. Anche qui dobbiamo intervenire in maniera netta, seguendo le indicazioni della scienza. Le statistiche dicono che in ogni ettaro possono esserci due o tre cinghiali, attualmente, a seconda delle zone, ce ne sono dieci o quindici. Quindi è anche ambientalmente insostenibile. In più c’è il problema della peste suina africana che sta impattando in maniera molto forte sul sistema suinicolo nazionale e sull’esportazione dei nostri prodotti di eccellenza. La soluzione non è espandere la zona rossa. Bisogna avere il coraggio di dire: dentro la zona rossa i cinghiali non devono esserci, vanno abbattuti.

E in questo contesto come considera la legge 157/92 sulla fauna selvatica?

È una legge di trent’anni fa, scritta in un contesto faunistico diverso da quello attuale, che sta diventando ingestibile. All’epoca non si parlava di cinghiali, lupi, nutrie, orsi. La legge va rivista. Nell’ultima finanziaria abbiamo inserito un articolo che modifica l’art. 19 della 157 per permettere alle Regioni di fare piani di controllo incisivi sulla fauna selvatica.

Veniamo alla questione manodopera. Nonostante il decreto flussi sembra ancora mancare, soprattutto quella specializzata. Quali misure attuare per arrivare a una soluzione più strutturata?

Dobbiamo portare più tecnologia e meccanizzazione in agricoltura per ridurre il numero di manodopera. La tecnologia ci aiuta anche nel gestire meglio il territorio, nell’ottimizzare risorsa idrica e fertilizzanti. Certamente la manodopera per alcune operazioni è necessaria. I decreti flussi sono stati rinnovati, speriamo di riportare in Italia quella manodopera specializzata che fino a prima del covid ci dava un grande aiuto. Ma dobbiamo fare in modo che la distribuzione del reddito lungo la filiera sia più equa in modo tale che alle aziende venga riconosciuto il giusto reddito e riescano a prendere operai adeguatamente retribuiti.

Le misure di primo insediamento per i giovani agricoltori funzionano?

Per i giovani dobbiamo lavorare su due fronti: riuscire a dare loro un giusto reddito e accompagnarli nel corso dei primi anni di attività. I bandi Psr non funzionano, dopo un anno e mezzo le aziende dei giovani chiudono. È sbagliato dare risorse come un contributo fine a se stesso, queste, invece, devono sostenere una progettualità, come accompagnare gli under 41 anche negli anni successivi all’insediamento e favorire la formazione. È inutile riempirsi la bocca dicendo abbiamo fatto il bando per i giovani e poi, dopo due anni, vedi che il 70% delle aziende costituite con quel bando sono chiuse. Dobbiamo lavorare per capire quale sia la formula migliore per risolvere queste criticità perché è chiaro che i giovani sono il nostro futuro.

Fucili e superintensivo contro cinghiali e Xylella - Ultima modifica: 2023-03-18T14:26:29+01:00 da Laura Saggio

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