Ortofrutta, l’ombra lunga della disorganizzazione

Da Madrid il Cso Italy suona la carica. Per un settore sconfitto prima dalla politica interna e poi dalle avversità naturali

A Madrid, a casa della Spagna organizzata che produce ed esporta frutta e verdura in ogni dove (Cina e Vietnam compresi), l’ortofrutta italiana cerca di ricompattarsi e reagire. Ma fosse solo il testa a testa con i cugini spagnoli il problema. Nei mercati esteri le imprese italiane soffrono la consueta concorrenza dei Paesi Bassi e persino di Grecia e Turchia.
E, proprio alla vigilia dell’inaugurazione di Fruit Attraction 2019, è arrivata la doccia fredda del saldo passivo, per la prima volta, dei nostri scambi commerciali. Dodici milioni di euro che ci rendono, a tutti gli effetti, importatori netti di ortofrutta. L’Italia, il paese dei mille campanili e, quasi certamente, delle mille specie ortofrutticole che coltiva.

«Qui vediamo la volontà delle nostre imprese di continuare ad affacciarsi sulla ribalta internazionale con la ferma determinazione di intrecciare nuove relazioni, di cogliere nuove opportunità e di crescere», ha commentato dalla collettiva di Cso Italy il presidente Paolo Bruni. Che ha aggiunto: «Gli accordi internazionali, i famosi dossier, vanno avanti se il nostro governo, se il nuovo ministro si impegnano in prima persona supportando con un’azione politica decisa il lavoro degli esperti. Se non vogliamo che un settore fondamentale della nostra agricoltura, del nostro export, della nostra economia muoia, dobbiamo agire, è il tempo di agire. L’esempio l’abbiamo qui, attorno a noi, in questo Paese che è diventato la locomotiva dell’ortofrutta europea, ruolo che per molti anni è stato nostro. Non è tempo di aspettare. L’ortofrutta non può essere lasciata sola».

All’appello di Bruni è subito seguita l’analisi del direttore del Cso Italy, Elisa Macchi, che ha ricordato come alcune contingenze stiano decisamente condizionando la produzione, a cominciare dal calo delle superfici per alcune colture e dal cambiamento climatico per arrivare alla moria del kiwi, alla cimice asiatica e alla maculatura bruna per le pere. «E’ importante intervenire velocemente per risolvere i problemi della produzione e dare rilancio alla nostra ortofrutta», ha detto Macchi.
I dati commerciali Italia vs Spagna presentati dal Cso proprio in occasione di Fruit Attraction sono avvilenti. A fine 2018 la Spagna registrava un export per oltre 15 miliardi di euro e un import pari a meno di 4,5 miliardi mentre l’Italia si fermava a 4,9 miliardi di export contro un import di 4,6 miliardi, con un risicatissimo +250mila euro. Tutti segnali dell’imminente catastrofe, che si è concretizzata con i cali produttivi del 2019.

A parte la sensazione di un déjà-vu, si percepisce lo sconforto di chi tutti i giorni investe da una vita in questo settore. E’ facile (ma non sbagliato) attribuire responsabilità a ministri che si sono succeduti senza lasciare traccia di politiche lungimiranti. Altrettanto facile dare le colpe all’Unione europea che da sempre eroga risorse finanziarie importanti anche per gli agricoltori italiani che non sempre le hanno sapute usare in modo adeguato. E, ancora, è facile pensare che sia solo la mancata reciprocità delle norme a penalizzarci. Gli spagnoli si sono organizzati meglio e prima di noi. Il resto è retorica. Ora più che mai l’Italia deve mettersi in testa che la politica agricola si fa a Bruxelles e anche il sistema ortofrutticolo può e deve ripartire da lì.

Ortofrutta, l’ombra lunga della disorganizzazione - Ultima modifica: 2019-10-24T21:14:00+02:00 da Raffaella Quadretti

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